Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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L'umana condizione - The Human Condition

Joseph Sheppard



Opere di scultura e pittura

inaugurazione: 5 settembre 2009 - h 18.00

esposizione: dal 5 settembre al 4 ottobre 2009

luogo: Sala dei Putti - Chiostro di S. Agostino - Pietrasanta

orario: 16.00-19.00; lunedi chiuso

ingresso libero


Comunicato stampa

(versione in pdf)

 

Il culto della forma prorompe in tutta la sua imponenza
nell'espressione artistica di Joseph Sheppard, artista americano, da lungo tempo legato a
Pietrasanta ed al suo circolo creativo. Le sue tele sono sempre animate dal movimento di corpi
pieni di vitalità o gravati dal destino. Corpi perfettamente resi nei termini anatomici, vibranti
di energia, di eloquente simmetria e composizione. "L'umana condizione" è l'esplicativo titolo
della mostra che Sheppard presenta a Pietrasanta, nella sala dei Putti del Chiostro di
Sant'Agostino, dal 5 settembre al 4 ottobre 2009. Un intenso percorso sull'esistenza dell'uomo,
tra pittura e scultura, a cura di Giuseppe Cordoni.

 

Come un artista del Rinascimento, Sheppard fin dalla sua prima formazione al Maryland Istitute of
Art, studia e rappresenta l'anatomia del corpo umano. La preziosa borsa di studio del Guggehnheim
lo conduce nel 1957 a Firenze per una completa immersione nell'arte dei grandi maestri del disegno
e della prospettiva. Elementi che caratterizzano da sempre ogni sua creazione, nella pittura così
come nella scultura, ma dietro tutti questi ‘volumi umani' si svela il quid che tiene assieme le sue
composizioni, quella profonda situazione caratteriale che definisce i suoi personaggi nella loro
condizione umana. Cavatori, artigiani, artisti, ristoratori, atleti, modelle, giovani fanciulle,
personaggi mitologici, lavandaie, minatori, zappatori ... tutti ritratti nel loro individualismo e muto
coinvolgimento. Tutti uniti da un medesimo destino.
Le sue figure pittoriche destano attenzione, sul filo del particolare e talvolta dell'ironia, provocano
una meditazione. Lo spettatore ne rimane coinvolto, anche a posteriori. E ancora di più dalle sue
sculture, quasi brutali nel loro realismo, impressionanti.
Nel 2008 Joseph Sheppard, insieme all'artista olandese Aart Schonk, ha ricevuto il premio
internazionale di scultura "Pietrasanta e la Versilia nel Mondo", promosso dal Circolo Culturale
"Fratelli Rosselli" cittadino, per aver fatto conoscere nel mondo, attraverso la sua arte, il talento e la
maestria degli artigiani di Pietrasanta. La mostra è dunque un omaggio che l'artista ha voluto
rendere alla città che lo ha accolto sin dagli anni Ottanta.

 

Cenni biografici
Joseph Sheppard nasce nel 1930 a Owings Mills nel Maryland (USA), premi e onorificenze
costellano la sua lunga e prestigiosa carriera. A lui si devono numerose pubblicazioni d'arte e le sue
opere sono conservate in spazi pubblici e privati delle maggiori città americane. Pittore e scultore è
membro della Allied Artists of Art, del Knickerbocker Artists, della Society of Animal Artists e
della National Sculture Society. Il primo soggiorno in Versilia risale al 1984: da allora vi trascorre
lunghi periodi per creare nel suo buen retiro di Valdicastello.

 

Mostra: L'umana condizione
Artista: Joseph Sheppard

Date esposizione: 5 settembre - 4 ottobre 2009
Luogo: Chiostro di Sant'Agostino, Sala dei Putti - Pietrasanta (LU)
Orario: ore 16.00-19.00; lun. chiuso
Ingresso: libero
Inaugurazione: sabato 5 settembre 2009, ore 18.00

 

Ufficio Stampa Assessorato alla Cultura
Comune di Pietrasanta
Tel. 0584-795500; fax 0584 -795588
e-mail: cultura@comune.pietrasanta.lu.it
www.comune.pietrasanta.lu.it 

Presentazione

Le morbide linee della figura umana
Non ci sono segreti per la matita di Joseph Sheppard, artista americano che ha fatto di
Pietrasanta la sua casa, dove lavora, traducendo i suoi bozzetti in sculture. I suoi energici disegni,
che in quanto a studi anatomici sembrano rifarsi a quelli degli acclamati Maestri del Rinascimento
Italiano, mostrano una sicura abilità esecutiva e creativa. E così paralleli corrono anche i suoi
dipinti, in cui la luce, i particolari aneddotici e la maestria della definizione giocano il ruolo di
protagonisti assoluti, che quasi sviano dal soggetto prescelto.
Le sue figure, anche se statiche, in ogni caso provocano, che siano un pensiero, una
meditazione, una risata. Lo spettatore ne rimane coinvolto, anche a posteriori. E ancora di più dalle
sue sculture, quasi brutali nel loro realismo, impressionanti. Come indulgono spesso
nell'abbondanza delle forme femminili, così riportano a corde vibranti le muscolature segnate dei
corpi maschili, atletici e forti.
Ma dietro a tutti questi ‘volumi umani', precisi fin nei minimi dettagli, si svela il quid che
tiene assieme le sue composizioni, quella profonda situazione caratteriale che definisce i suoi
personaggi nella loro condizione umana. Cavatori, artigiani, artisti, ristoratori, atleti, modelle,
giovani fanciulle, personaggi mitologici, lavandaie, minatori, zappatori ... tutti ritratti nel loro
individualismo e muto coinvolgimento. Nel 2008, Joseph Sheppard, assieme ad Aart Schonk, ha
ricevuto il Premio Internazionale di Scultura "Pietrasanta e la Versilia nel Mondo", promosso dal
Circolo Culturale "Fratelli Rosselli", per aver portato la sua arte ed il talento degli artigiani di
Pietrasanta nel mondo. Questa mostra vuole rendere merito all'artista, che procedendo nel suo
percorso creativo continua a coinvolgere l'universo del nostro artigianato artistico.

Pietrasanta, settembre 2009

L'Assessorato alla Cultura

Critica

L'umana condizione
Joseph Sheppard e la sua poetica della visione

 

"Anormale, ma possibile, è il bene.
Che l'arte ne dia coscienza".
Simone Weil


Sotto l'occhio del buon pastore

L'aula del giudizio è quella d'un grande studio di scultura in penombra. Un luogo nel quale per
antonomasia si fondono lavoro e immaginazione. Uno di quelli che ancora, a fatica, resistono nel
cuore di Pietrasanta. Lui, l'artista famoso, il vecchio pittore e scultore, con la sua candida,
imponente figura campeggia, seduto al centro della tela. Argutamente ci osserva, con un'aria al
contempo severa e divertita. In alto, in volo alle sue spalle, due angeli con una maschera sul viso
irrompono irriverenti. Ai suoi lati, due busti in gesso, severi emblemi d'una giustizia così
improbabile nell'universo dell'arte, osservano interdetti fra stupore e silenzio. Mentre ai suoi piedi
si accalca la folla dei giudicati. Eccolo, l'arbitro della Bellezza, l'infaticabile demiurgo dello
sguardo che, come un Gulliver fra sorpresi lillipuziani, ad uno ad uno, passa al vaglio d'una lente
d'ingrandimento gli interpreti più noti che, in questi ultimi vent'anni, hanno animato la scena
artistica di Pietrasanta.


Una così singolare avventura creativa nel nostro tempo. Un alto concentrato di talenti, ambizioni,
scambi, amicizie, rivalità. Come per un prodigio, lo spazio e il tempo dell'arte, concentrati in un
unico luogo. Scultori qui approdati da tutto il pianeta, per poter dar forma concreta alla loro
ispirazione. Vecchi artigiani nelle cui mani conservano ancora sapienze antiche. Ognuno di loro vi
appare, in piedi, ritratto a tutto tondo. Marcato nel tratto umano che meglio lo definisce, come un
eterno bambino assorbito per sempre dal gioco fertile delle forme che sta inventando. Non v'è
giudizio più acuto e umano di quello dell'ironia. Basta indicarne qualcuno per cogliervi un garbato
contrappasso. L'esile silhouette d'un tutto bianco Botero che quasi si trascina dietro quelle sue
straripanti figure nere. Quel blocco immenso che Aart Schonk non riuscirà mai a finire. E che dire
dell'ossimoro percettivo di Kan Yasuda, dedito ad incorniciare il vento e il vuoto nella fluidità d'un
cerchio di marmo da cui sbuca la sua testa?


Tale è il variopinto universo umano che anima "Il buon pastore - Omaggio agli artisti di
Pietrasanta"
, una tela di grandi dimensioni che Joseph Sheppard ha eseguito l'anno passato,
allorché gli è stato conferito il premio "Versilia nel mondo" e che ora qui ci introduce al carattere di
questa mostra: capire quale sia la relazione più profonda che corre fra chi siamo e il nostro operare.
Il lavoro e l'umana condizione. Una sorta di ex-voto, di ringraziamento verso una terra e una
comunità creativa che da oltre trent'anni lo accoglie: fra il verde degli olivi di Regnalla, nel
frastuono delle fonderie, nella polvere dei laboratori o nella conviviale luce di Piazza Duomo. Un
grande autoritratto fra amici e colleghi artisti. Ironizzando, sin dal titolo, sul suo stesso proprio
nome, in questa sua doppia veste di giudice-pastore. Oh, il giudizio finale di Joseph non può essere
che d'assoluzione! Per quanto è vero che l'arte assolve l'uomo nella misura in cui essa è capace di
comprenderlo.


In principio era il disegno: specchio e coscienza di ciò che appare
Ora, non si può cadere sotto lo sguardo di Joseph Sheppard senza restarne catturati e posseduti.
Straordinaria è, infatti, la sua capacità d'attenzione verso ciò che esiste. Mai, come attualmente, noi
abbiamo disposto di strumenti così potenti per "fotografare" il mondo che ci circonda, eppure esso
seguita a restarci opaco, anonimo e incompreso, se a prenderne coscienza non interviene uno
sguardo del cuore. Perché il grado di tale comprensione non può che dipendere da due fattori:
l'intenzione estetica ideale che l'artista si prefigge e la perfezione tecnica degli strumenti linguistici
di cui dispone per domare, ostile e inafferrabile, la materia che gli resiste. Impari risultando,
comunque, il duello fra la sua mano e ciò che vede, immagina e trascrive. Ci tornano alla mente, a
tale proposito, le parole di Baudelaire:"Natura, incantatrice e spietata rivale sempre vittrice,
lasciami! Cessa di tentare desideri ed orgoglio! Lo studio del bello è un duello in cui l'artista grida
di spavento innanzi d'essere vinto." ¹


Così, al pari dei maestri del passato e di Pontormo fra tutti, Joseph ha ben compreso come proprio il
disegno sia l'arma più affinata di cui disporre. La prima e più elaborata forma d'arte, senza la quale
sia la pittura e la scultura si riducono come a dei corpi privi di spina dorsale. Precisando, inoltre,
che di per sé il disegno non costituisce la forma, quanto piuttosto la stessa maniera di vedere la
forma. ² Ed essa, in Sheppard, s'impone quale "stenografia" della visione. Immediata, incisiva,
essenziale e luminosa. Astratta (spirituale!) nella sua sintesi, eppure così concreta in questa sua
perfetta aderenza alla fluidità del reale, così solenne nel mondo con cui attinge e si nutre ai più
grandi modelli del passato. È lo stesso ritmo vitale dei corpi, la misura anatomica che li sostiene, a
risultarne esaltato. Come nella splendida sanguigna di "Due ragazze, 1983" qui esposto, ove il tratto
"racconta" lo stupore delle due adolescenti dinnanzi alla grazia e al mistero della loro crescita.


Luce d'una Versilia felix


Non v'è angolo del pianeta in cui Joseph, con la sua pittura, non abbia colto il segno più brutale
della fatica degli uomini. Quando, per la più stentata delle sopravvivenze, ancora quasi sono ridotti
in schiavitù di massacranti sforzi fisici, nonché di ancor più umilianti vessazioni morali. Pochi altri
sguardi d'artista come il suo hanno penetrato con altrettanta estensione e profondità le abissali
ingiustizie del Novecento. "Stenografandole" ovunque, al diapason più alto del loro eccesso di
pena. Gialli dagli stenti subiti, ecco quei suoi battellieri cinesi, sotto le corde, piegarsi in uno sforzo
disumano. Come Sisifo, esili portatrici di mattoni del Bali, condannate, senza requie, a risalire
lungo un sentiero da capogiro; o minatori della Serra Pelado che marciscono nel fango, sollevando
sacchi più grandi di loro. Scaricatori di banane che fuoriescono dal ventre di una nave come da un
ventre infernale. Oh, la violenza inaudita sui bambini obbligati a crescere e incattivirsi di colpo,
scendendo come gli adulti nella tenebra delle miniere! O, ancor peggio, ridotti dalla storia a
praticare, anzi tempo, la rivolta e la guerra: ovvero le più tragiche delle occupazioni umane.


Secondo Sheppard, v'è una deprivazione ancor più degradante che subiscono queste creature. La
mortificazione in loro d'ogni ipotesi di bellezza. Essendo, ai suoi occhi l'uomo, oltre che un
animale sociale, innanzi tutto una animale poetico. Ovvero un essere in grado di realizzare se stesso
in un lavoro indissociabile da un disegno d'armonia. Quel disegno che egli ha visto, invece,
realizzato qui, in quel "fare artistico" versiliese ov'egli ha avuto l'opportunità di lavorare da oltre
trent'anni. Un fare non ancor del tutto ottenebrato - per dirla dantescamente - dalla "matta
bestialità" del guadagno e del cieco sfruttamento, dove il laboratorio, lo studio e la fonderia
conservano (chissà ancora per quanto!) quella collegialità inventiva, rigorosa e conviviale, che
caratterizzava le antiche botteghe rinascimentali, soprattutto fiorentine. Come se ognuno che vi
partecipa, vi si sentisse ancora attratto e animato da un qualche scopo superiore, forse persino
inconsapevolmente ubbidendo ad un pensiero formulato da Simone Weil con estrema lucidità:
"Anormale, ma possibile, è il bene. Che l'arte ne dia coscienza". ³


Cosicché è una ben singolare gioia d'esistere quella che Joseph proclama nelle opere che meglio
rispecchiano questo lungo soggiorno versiliese. Innanzi tutto nel confronto con la maestà d'un
paesaggio pervaso da segrete energie. Lassù, nella ciclopica cava delle Cervaiole, come sospesi sul
vuoto dinnanzi al mare, sotto l'estiva calura, esausti dormono i cavatori. Candore abbacinante del
grembo terrestre portato alla luce; magistrale invenzione d'uno spazio pittorico bilanciato
dall'ombra, la tenda che li ripara. Sognano, come se nelle loro braccia fosse stata trasfusa
l'immensità del mondo che li circonda, (Il riposo dei cavatori, 2009). Analoga penombra scandisce
lo spazio in primo piano dello "Studio di Arturo, 2006". Le figure scolpite dall'amico vi emergono,
sfumate, in controluce. Come i cavatori, anch'esse dormono e sognano. Nel marmo delle loro forme
sinuose è stata trasfusa la profondità e l'enigma che avvolge i nostri miti. Il michelangiolesco
profilo dell'Altissimo domina nella porta spalancata. Dinnanzi, sul piazzale, lo scultore a torso nudo
si misura con blocchi giganteschi. Natura e creazione! Le montagna e le mani si confrontano in un
dialogo quasi religioso. Nondimeno, in un mondo ormai al limite del collasso ecologico, edenica si
rivela la percezione del paesaggio fluviale del Serra.4 Purezza di un'acqua che rimbalza fra le
rocce, inventando appartate piscine trasparenti. E proprio qui che in tutta la sua innocente beltà può
rispendere la nudità dei corpi di questi Adamo ed Eva d'oggi, inconsapevoli, battezzati da una
vergine luce mattutina (Malbacco, 2009). Mediterranea luce versiliese! Limpida, persino nei miti
inverni, Joseph quasi ne "ascolta" il passo silenzioso sui limoni del suo giardino. Luce turgida di
terrestre vitalità, ma che il pittore proietta e trasmuta in un'aura sospesa: nella gloria d'un giallo
senza tempo che ci rammenta quello radiante e barocco di certe classiche nature morte olandesi
(Limone, 2009).


Traversando l'umana condizione


Del resto, quella di proiettare le proprie immagini in una dimensione atemporale, in virtù d'una
scelta linguistica apparentemente classica ed alta, persino anacronistica direi, costituisce un tratto
costante in tutta la lunga ricerca di Sheppard. La critica, a più riprese, ha parlato d'una sorprendente
poetica del vero, di realismo sociale, d'una sofferta attenzione alle miserie e grandezze del nostro
tempo. Al pari del grande Ungaretti, anch'egli è stato giustamente apostrofato come un uomo di
pena
. A me piace, invece, insistere su quel costante processo illustrativo (nel senso più alto del
termine) con il quale, in lui, questa poetica dello sguardo tende a trasmutarsi in poetica della
visione
. Realismo visionario o visionarietà del vero? Questo suo essere un instancabile viaggiatoreosservatore
nello spazio come nella memoria, lo induce, con estrema vivezza, a registrare una
messe straordinaria d'immagini-emozioni. Testimoni del proprio tempo, premono dentro lui
d'essere finalmente rivelate. Devono farsi racconto, soggetto di storie vissute, esempi dell'umana
condizione qualunque essa sia. Attraverso un processo plastico-pittorico sempre più affinato, eppure
pressoché immutato e che dura da più di sessant'anni. Dove l'obiettivo primario rimane quello del
"rappresentare", inteso nell'originario, pieno significato del termine: ovvero del "render presenti le
cose passate, agli occhi della mente figure o fatti". Cosicché in ogni sua opera, sia essa di pittura
come di scultura, tale visionarietà narrativa sempre scaturisce dall'effetto fulmineo e dilatato (talora
persino barocco) d'una mise en scène all'apice della sua tensione emotiva e drammatica.


Cosicché le opere che, in tal senso, toccano il loro più alto ed emblematico grado d'intensità e di
pathos espressivo sono quelle nelle quali ci è dato sempre di cogliere l'ineluttabile compiersi d'un
destino. Quanta rabbia e amarezza sul volto seminascosto d'un pugile dal fisico immenso. Ormai
quasi suonato dai troppi colpi che gli sono stati inferti. Ancora ostenta forza e prestanza. Come un
automa. Con le gambe divaricate e i pugni nei guantoni minacciosi. Più che dai suoi avversari,
battuto dalla sua stessa esistenza, essendo già stata essa a gettargli la spugna (Il pugile, 2009). Le
due versioni qui presenti (l'una, più illustrativa e dettagliata, di ridotte dimensioni in gesso a colori,
mentre l'altra ancor più drammatica e possente, in gesso patinato di nero, più grande che al naturale
e d'un formidabile impatto visivo) ci appaiono come distinte rappresentazioni d'un medesima pièce.
Ben sapendo come, già a partire della materia prescelta, lo scultore sia in grado di trarne effetti
differenti e imprevedibili.


La verità vissuta d'ogni volto


Non solo dramma! Nella fluidità del suo svelto modellato, Sheppard cattura, annota e anima anche
l'essenza quotidiana della vita che fugge. La fatica dei gesti ripetuti, non senza una loro grazia.
Come nelle "Lavandaie, s. d.", ove assieme allo sforzo, le movenze dei corpi femminili tradiscono
una beltà che rivela la loro pienezza vitale. Nondimeno, in ogni suo ritratto, non è soltanto
l'indagine d'un carattere o un'approssimativa somiglianza ciò che l'artista persegue. Con la
psicologia del personaggio, è il senso del tempo vissuto a farsi storia e racconto. Il disegno ne
investiga le tracce, mentre il colore ne accende e rivela l'inevitabile caducità. Con che rigore e quale
nostalgia di giovinezza l'anziana dama s'è agghindata per l'ultima festa. Secondo una modalità
dominante di tutta la ritrattistica di Sheppard, anche qui sono minimi dettagli esteriori a rivelarcene
lo stato d'animo. Mani e volto impreziositi dal bianco dei merletti inamidati. Quel rosso troppo
accesso dell'abito la cui vistosità sarebbe apparsa assai più consona per ben altre stagioni. E quel
suo sguardo di sbieco, fulmineo e risentito, come a tenere a bada il passo del tempo che incalza
insensibile dietro di lei (La signora, 2000).


Modellando nei corpi l'esuberanza e la malinconia


Ma è soprattutto nella rappresentazione del nudo scolpito che Joseph meglio esprime la sua
meraviglia dinnanzi all'élan vital che, ad ogni età, lo attraversa. Corpi come strumenti musicali,
studiati nella loro più intima, anatomica perfezione, quasi a voler comprendere il mistero d'armonia
che accende il loro respiro (Torso, 2009). Corpi che la luce sorprende, all'improvviso, nella loro più
castigata e prorompente sensualità (Ragazza - Spogliarsi, 1989). Radiosi e vellutati come frutti
d'estate, corpi di donne giovani, esitanti a mostrarsi; e mature matrone che ostentano, con naturale
indolenza, la loro straripante esuberanza carnale. Come in "Donna seduta, 1994", a mio avviso, uno
dei vertici più intensi del modellato di Sheppard. Ove la stessa forma della sedia e una postura così
irritale e sfrontata del corpo s'accordano e si fondono in un gioco sinuoso di linee e volumi
sontuosamente barocco. Corpo che finalmente liberato, in questa sua integrale sovrabbondanza di
vita, reclama, invade e domina lo spazio senza più alcuna reticenza o pudore. Mentre il nudo che
qui le fa da "pendant" è quello d'un Arlecchino, tutto muscoli e poco cervello, vanesio e pieno di
sé, con un corpo alacremente e con pazienza ricostruito fra gli attrezzi di un "body center".
Convinto com'è che questa sua maschera possa renderlo ormai invincibile in ogni suo gioco di
seduzione. Forse di gran lunga più suasivo, per il vecchio scultore, rimane invece il corpo leggiadro
della sua bella "Fausta", piuttosto che al naturale, plasmato di nuovo attraverso la combinazione di
forme acquisite dall'arte. Una donna, e al tempo stesso una dea. Una flora dal volto pervaso di
malinconia e che ad ogni primavera riconduce la vita nei giardini, o una Giunone forse che torna ad
allattare la nostra fantasia. Senza la quale la nostra condizione umana finirebbe per essere sempre
più desolata.

Pietrasanta, 17 luglio 2009
Giuseppe Cordoni


Note
1 Charles Baudelaire, Spleen de Paris, III Confitéor de l'artiste, Trad. Giovanni Raboni,
Mondadori, Milano 1981, p. 328
2 Cfr. È Paul Valéry a raccontarci come Degas fosse solito "urlare" frequentemente questo 3 Notes
sur Venise sauvée, in Anurée Mansau, Simone Weil auteur de théâtre, in « Bulletin, 7», Association
pour l'étude de la pensée de Simone Weil
4 Il torrente che sgorga dalla Polla del Monte Altissimo e che dopo un rapido e accidentato percorso
s'incontra con il Vezza, dando luogo al fiume Versilia.

Biografia

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