Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Dialogo con gli anni ottanta

Enzo Esposito


Opere di pittura

inaugurazione: 28 marzo 2009 - h 18.00

esposizione: dal 28 marzo al 3 maggio

luogo: Sala dei Putti e Sala del Capitolo - Chiostro di S. Agostino - Pietrasanta

orario: 16.00-19.00; lunedi chiuso

ingresso libero


Comunicato stampa

(versione in pdf)

 

Sono tutte opere senza titolo perché senza un margine entro cui rimanere; superfici pittoriche estese oltre il perimetro della tela; gesti e segni decisi, pennellate nervose che attraversano energicamente lo spazio; cromatismi accesi, carichi di forza emozionale; trasmissione di energia inconsapevole ed incontrollata. Non esiste narrazione, ma confronto-scontro sensibile tra l'opera e l'osservatore. Dal 28 marzo al 3 maggio 2009 l'Assessorato alla Cultura del Comune di Pietrasanta, in collaborazione con la Galleria Marcorossi/Spiralearte, presenta la personale di Enzo Esposito dal titolo "Dialogo con gli anni Ottanta", un significativo percorso espositivo a cura di Renato Barilli.

 

Alla fine degli anni Settanta, dopo una prima fase di ricerca in cui è evidente l'influenza dell'arte concettuale e un successivo periodo dedicato all'indagine fotografica, Enzo Esposito è tra i primi artisti italiani ad esplorare una nuova dimensione pittorica "ambientale", realizzando installazioni, opere con evasioni ed integrazioni dipinte direttamente sulle pareti. Proprio lo spazio pittorico, considerato nella sua dimensione oggettiva e reale, si dilata sviluppando una percezione che va oltre i confini della tela.

 

Nel 1980 diviene uno degli esponenti di spicco dei "Nuovi Nuovi", gruppo di artisti della generazione postmoderna fondato da Renato Barilli, che hanno promosso ed affermato, in contrapposizione al concettualismo e al minimalismo dell'epoca, il grande ritorno al segno, al colore. Una rivoluzione che intendeva dimostrare come scegliere la pittura non significasse un anacronistico recupero di olio e tela, né, tanto meno, rinunciare al dialogo con la contemporaneità attraverso l'installazione e l'invasione dello spazio.

 

La mostra si propone di indagare ed approfondire il periodo pittorico degli anni Ottanta, particolarmente interessante e propulsivo nel passaggio dal concettuale all'ambito pittorico, alla luce della più recente produzione dell'artista, mettendo in risalto la continuità e l'evoluzione della sua arte. Le opere degli anni Ottanta, infatti, dialogano, nelle sale Putti e Capitolo, con alcune più recenti creazioni, tra le quali alcune grandi carte degli ultimi anni, tele degli anni Novanta e, in particolare, un'ellissi di grandi dimensioni realizzata dall'artista espressamente per questa mostra.

 

Le opere non hanno titolo così da affermare la mancanza di cornici, limiti alla pittura, in sintonia con la sua poetica non narrativa, ma concentrata sul dialogo con la superficie, sull'accadimento. Esposito annulla l'aspetto autoritario ed impositivo per proporre un dialogo aperto ed estremamente problematico con chi osserva.

 

Al centro del Chiostro trova ideale cornice una scultura in fusione di alluminio proveniente dal Museo di Portofino.

 

Un catalogo con testo critico di Renato Barilli completa la mostra: si tratta di un vero e proprio studio analitico sul periodo in oggetto, nel quale, oltre ai lavori esposti in mostra, saranno riprodotte circa 30 tavole a colori di opere degli anni Ottanta.

 

Mostra: Dialogo con glia anni Ottanta - Enzo Esposito
Date esposizione: 28 marzo - 3 maggio 2009
Luogo: Sala Putti e Capitolo, Chiostro di Sant'Agostino - Pietrasanta
Orario: ore 16-19; chiuso il lunedì
Ingresso: libero

 

Alessia Lupoli -Ufficio Stampa
Assessorato alla Cultura
Comune di Pietrasanta
tel. 0584/795381; fax 0584/795588
e-mail: cultura@comune.pietrasanta.lu.it
www.comune.pietrasanta.lu.it

Presentazione

Pigmenti tattili

Fiumi di colore sedati sapientemente dalla mano dell'artista, contenuti a stento entro i bordi della tela o del cartoncino, inframmezzati da gesti immediati che ne bloccano il flusso, ma che ne esaltano la visione espressiva: le opere di Enzo Esposito sembrano vive e come tali provocano lo spettatore, che ne viene assorbito imbevendosi di colori accesi. Rosso, giallo, arancione, fucsia, bianco, con qualche accento di nero e blu si dispongono apparentemente disordinati, a chiazze, sulle larghe tele. Ma dietro c'è invece l'impeto irruento dell'artista, uno slancio spontaneo che non permette ripensamenti né esitazioni.

 

Chi osserva i lavori di Enzo Esposito rimane catturato da questo ensemble di Jazz contemporaneo, in cui tutti i pigmenti, pur in un insieme, emergono con parti da solista, sempre coordinati però da un unico segno nero: l'artista stesso. E d'istinto viene voglia di toccarli, quasi fossero sculture bidimensionali, questi "pigmenti tattili", la cui forza si potrebbe sentire anche ad occhi chiusi, passandoci sopra la mano, tale è la loro esaltante presenza. Gli inserti polimaterici aiutano in questo senso, muovendo la superficie con isole distinte a sè stanti, quasi che, nella loro diversa consistenza, creassero differenti tonalità tali da sostenere la struttura portante della composizione.

 

Si ringrazia Marco Rossi-Spirale Arte per aver fatto sì che anche Pietrasanta possa godere di questi lavori di Enzo Esposito nel Chiostro di Sant'Agostino, in un tripudio di immagini e colori, che ci fa ancora apprezzare la pittura contemporanea.

  Pietrasanta, marzo 2009

L'Assessorato alla Cultura

Critica

Esposito, una furia che si sviluppa tra le due e le tre dimensioni

È un'eccellente idea, quella cui si ispira la presente mostra, di stabilire un dialogo tra l'opera attuale di Enzo Esposito e quanto egli eseguiva nel corso degli anni Ottanta. Naturalmente, l'idea conta nella misura che si allarghi il raggio del discorso, includendo altre presenze, oltre all'artista beneficiario, e magari anche spingendosi un po' più indietro nel tempo, dato che le novità del momento cominciarono a delinearsi almeno dalla metà degli anni Settanta. Vengo denunciando da tempo un inaccettabile vizio interpretativo che si impose allora, e che consiste nel contrarre i termini e i valori in campo in quello scorcio di tempo, fino a premiare il solo fenomeno della Transavanguardia, per effetto di una colpevole pigrizia mentale e incapacità di leggere i dati di una situazione in una prospettiva a tutto campo. Sono orgoglioso di rivendicare la partecipazione di Esposito alla compagine dei Nuovi-nuovi, che non per nulla sto riproponendo in mostre di varia ampiezza, e questo non solo per ripicca personale, per pretenziosa insistenza su certe mie scommesse critiche del passato, ma perché sul solco dei Nuovi-nuovi, e con l'aiuto degli amici che in quell'impresa mi furono al fianco, la mai abbastanza compianta Francesca Alinovi, il sempre presente e solidale Roberto Daolio, mi fu possibile fornire, di tutta quella situazione, un'interpretazione davvero completa, ad angolo giro, il che mi portava a scorgere la presenza, in essa, di due componenti pressoché equipollenti, l'iconica e l'aniconica, ovvero il gruppo degli artisti impegnati a modellare delle icone all'altezza dei requisiti propri di quei tempi, e l'altro di chi invece ben comprendeva come fosse giunta l'ora di rilanciare in pieno il capitolo di una decorazione all'altezza delle nostre esigenze. I problemi e gli esiti di un nuovo iconismo, allora, parvero prevalere, e in particolare la soluzione migliore parve consistere nel riformularli secondo i termini chiassosi, brutali, sfacciati cari ai membri della Transavanguardia, cui reagivano le modalità più compassate e inamidate degli Anacronisti, ma fermi anche loro nella convinzione che comunque si dovesse trattare di giungere alle confezione di immagini riconoscibili, leggibili. Il bello è che la pattuglia della Transavanguardia imbrigliò fin dall'inizio tra le sue maglie strette il caso pur manifestamente aniconico di Nicola De Maria, senza spendere una sola parola per giustificare una tale annessione, salvo poi, per questo reato di mancata motivazione nell'operare l'inclusione, lasciar cadere l'intruso, facendo calare su di lui un imbarazzato silenzio. Che invece, nella compagine nuova-nuova, ci dovesse essere una presenza necessaria e imprescindibile di un largo fronte di esperimenti neodecorativi, fu riconosciuto fin dal primo momento, puntando con decisione proprio sul caso Esposito, ma assegnandogli una vasta compagnia, in cui figuravano, tra gli altri, i nomi di Luciano Bartolini, Carlo Bonfà, Vittorio D'Augusta. Anzi, questo reclutamento così intensamente motivato e voluto fu addirittura anteriore alla nascita ufficiale del gruppo nuovo-nuovo, devo infatti ricordare in proposito la mostra Pittura-ambiente, da me organizzata con l'entusiastico sostegno dell'Alinovi, al Palazzo Reale di Milano, anno 1979, secondo piano, in una serie di stanze affidate a vari aniconici, italiani e stranieri, procedendo, come è mio costume, a condurre inclusioni al di là di confini nazionali e generazionali. Infatti in quelle stanze furono invitati ad allestire i loro spazi molti artisti statunitensi, ed esponenti italiani provenienti da situazioni precedenti, come Claudio Olivieri e Marco Gastini. E ci fu anche il tentativo di avere la partecipazione di Mimmo Paladino e di Nicola De Maria, poi non andata in porto, forse perché già covavano nell'aria le manovre organizzative che poi avrebbero dato luogo alla formazione della Transavanguardia, con quel poco rispetto dei singoli casi stilistici che ho già lamentato sopra.
Ma Esposito sì, c'era, a quell'appuntamento del '79, a lavorare sulle pareti della stanza assegnatagli, a incistarvi i suoi germi, a innestarvi le cellule di un epitelio vegetale, destinato a sbocciare, a dilatarsi, a far verzicare l'intonaco, magari rifratto e ampliato da qualche aguzzo frammento di vetro. Sappiamo bene come però le pareti siano scomode da maneggiare, finché almeno non nasca una committenza di respiro pubblico a consentire agli artisti di decorare edifici, all'interno e all'esterno. In attesa di quel magico momento, peraltro sempre più vicino, è opportuno che gli artisti si attengano a tele e pannelli, magari di ampie proporzioni, ma comunque trasportabili, portatili, in un certo senso, adattabili alle usuali collocazioni che sono richieste dai collezionisti privati. Esposito può essere paragonato a un sapiente giardiniere o ortolano, che certo dovrebbe innestare e far germogliare le sue pianticelle su uno strato di buona terra fertile, ma nell'occasione riesce a lavorare anche su supporti più limitati, come sono le tele o le superfici di quelli che volgarmente si dicono quadri: basta che questi supporti di comodo non siano troppo stretti così da soffocare la smania impellente di crescere insita in una vegetazione lussureggiante. La metafora del giardiniere è valida anche perchè il nostro artista, proprio come un coltivatore della terra, zappa o cura un intervento intensivo su un primo fazzoletto di terra, ma nel contempo non manca di gettare uno sguardo avido sui confini limitrofi, alla ricerca di un altro appezzamento in cui gli sia possibile continuare a far crescere le sue pianticelle. Da qui un carattere insito in quasi tutta la produzione del Nostro, che non consiste mai in un'unica superficie, ma in genere ne presenta due o tre coordinate tra loro, proprio per predisporre una trincea di contenimento, per accogliere un ardore che non si accontenta di un'unica area di invasione. E dunque, davvero, con Esposito, la pittura si leva dalla usuale soggezione bidimensionale a una sola superficie, e va a investire l'ambiente, raccogliendo con ciò una valida eredità da Vedova e dalla sua idea dei Plurimi. C'è dunque un cocciuto orgoglio, alla base dell'arte del Nostro, la ferma pretesa di giocare univocamente sulla carta dell'aniconico, con proscrizione assoluta delle immagini, fidando nel fatto che quest'unica carta, lungi dall'apparire limitata e qualche sfoltimento. Il buon ortolano sa bene che un eccesso di proliferazione delle sue pianticelle impedisce loro di respirare, di cogliere in giusta dose l'umore acqueo. Del resto, è nel destino di ogni proliferazione cellulare, di ogni crescita organica, che qualche elemento si arresti nello sviluppo, e vada verso una necrosi, una cancellazione, in attesa di essere spazzato via, mentre altre cellule si ingrossano, rafforzano le loro ciglia vibratili, le insinuano con energia tra le pieghe del tessuto, quasi a strutturarlo, a sostenerlo. Visto che siamo in tema di curiose analogie col mondo delle attività artigianali, potremmo anche dire che per tutti gli anni Ottanta Esposito "ha fatto la barba" alle sue superfici, cospargendole di boccoli di sapone spugnoso, morbido, arricciato. Ma dagli anni Novanta in poi all'ortolano, o al barbiere, subentra in lui il carpentiere, o l'imbianchino, che maneggia con risolutezza pennellesse giganti, con cui tracciare ampi tratti, sulle superfici. Si esce da un ambito di metafore e suggestioni strettamente appartenenti alla sfera del biologico, del mondo della vita, per entrare in un universo di graffiti robusti, anzi, spavaldi, fieri di un compito costruttivo. Ora l'artista traccia ampi fendenti incaricati di un doppio compito. Per un verso, si tratta di andare a saggiare la resistenza di pareti, muri, superfici, di vedere se il loro fragile spessore regge all'urto di quelle decise sciabolate, inferte senza risparmio. Ma nello stesso tempo spetta loro anche un compito di segno opposto, costruttivo. Quelle spatolate vogliono andare a coprire cedimenti, crepe, zone deboli dell'ordito precedente, valgono insomma a rinforzare gli strati soggiacenti, a stendere su di loro un secondo strato di rinforzo, quasi ripetendo l'atto tipico previsto nei palinsesti, quando si procede a riscrivere su un papiro già utilizzato in precedenza. E beninteso, sul conto di queste intenzioni strutturali, va pure posto il solito, cos tante intento di non fermarsi mai a una sola superficie, e dunque quelle spatolate spavalde, allungate ogni limite, rispondono anche al compito di incernierare le une sulle altre le varie tavole e tele e pareti. L'impeto, l'esuberanza di una singola pennellata non possono mai essere trattenuti entro un unico bacino di contenimento, occorre apprestarne altri successivi, così come, quando dal tetto cade acqua in abbondanza, non basta a raccoglierla un unico catino, e conviene predisporne tutto un sistema coordinato per ospitare tanta pioggia provvidenziale.

Renato Barilli

Biografia

Nato a Benevento nel 1946, dal 1980 Enzo Esposito vive e lavora a Milano. Dagli anni '90 a oggi sono state allestite numerosissime sue mostre personali, in gallerie italiane e straniere (Milano, Verona, Venezia, Francoforte, Hong Kong) e presso importanti sedi istituzionali, tra cui Palazzo Reale di Caserta, l'Istituto Italiano di Cultura di Rio de Janeiro, il MAC di Santiago del Cile. Ha inoltre partecipato a prestigiose collettive, tra cui "I Nuovi Nuovi": nascita e sviluppo di una situazione postmoderna, a cura di Renato Barilli alla Galleria Civica di Torino ('95), "Arte italiana ultimi quarant'anni: la pittura aniconica", curata da Danilo Eccher alla GAM di Bologna ('98) e Analogie del presente al Danubiana Meulensteen Art Museum di Bratislava (2001). Nel 2006 partecipa alla rassegna "La traccia invisibile del reale" con una personale al Museo della Permanente di Milano curata da Alberto Fiz. Hanno scritto di lui: Francesca Alinovi, Renato Barilli, Claudio Cerritelli, Giorgio Cortenova, Flaminio Gualdoni, Marco Meneguzzo, Catherine Millet, Arturo Carlo Quintavalle, Alessandro Riva, Maurizio Sciaccaluga.