Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Altamente infiammabile

Daniel Milhaud


Opere di scultura

inaugurazione: 9 maggio 2009 -  h 18.00

esposizione: dal 9 maggio al 7 giugno 2009

luogo: Sale dei Putti e del Capitolo  - Chiostro di S. Agostino -  Pietrasanta

orario: da martedi a venerdi 16.00-20.00; sabato, domenica e festivi 13.30-12.30/16.00-20.00; lunedi chiuso

ingresso libero


Comunicato stampa

 (versione in pdf)

 

Umorismo e sottigliezza sono la cifra distintiva dell'opera di Daniel Milhaud che nelle sue sculture fa dialogare il sacro ed il profano, la forma e la linea, l'ombra e la luce, i pieni ed i vuoti. Utilizza materiali tradizionali così come néon e plexiglas. Gioca con le regole della rappresentazione, mischiando parole e volumi, generando suspense. Dal 9 maggio al 7 giugno, nelle sale Putti e Capitolo del Chiostro di Sant'Agostino, a Pietrasanta, Milhaud presenta "Altamente infiammabile", quindici opere della sua più recente stagione creativa.

 

Un volo fantasioso e ironico sui mille linguaggi e le infinite contraddizioni del tempo attuale, dove tutto è dirompente ed allo stesso tempo fugace. Sotto la spinta dell'immaginazione e le inflessioni del desiderio, le forme si snodano serpeggiando, ruotano, si girano e rigirano in un disordine sapientemente costruito. Milhaud rappresenta il presente descrivendone, attraverso le sue opere, ogni suo movimento. La linea prende corpo o diventa lettera, s'illumina o si traduce in simboli e messaggi. Costante è il dialogo tra la pittura ed il volume, in un gioco che guarda sempre all'esito tridimensionale. Il carattere peculiare sta nella mobilità, una vivacità quasi impaziente. Le forme assemblate cercano un'animazione. Malgrado la minuzia dell'investigazione alla quale la sua opera obbliga lo spettatore, la percezione è immediata. Solo ad un secondo sguardo la struttura si rivela nel dettaglio consentendo di cogliere le opposizioni ed i paradossi che la compongono. La leggerezza dei materiali si ritrova nel carattere frizzante dell'opera, spontanea, fresca come un motto di spirito.

 

Nella sua espressione artistica Milhaud si avvale dei più disparati materiali: carta, cartone, poliestere, resina, neon, gesso, filo di ferro. Dagli anni Ottanta frequenta Pietrasanta per lavorare il marmo. Nelle infinite espressioni della sua creatività, anche la pietra declina le sue suggestioni. Non a caso fanno parte della ricca vetrina espositiva, quale omaggio all'intenso legame instaurato con la città, anche alcune opere in marmo, realizzate nel 2008.
L'originale allestimento delle sale espositive dell'antico Chiostro di Sant'Agostino sarà curato dall'architetto Giulio Lazzotti.

 

Cenni biografici

Daniel Milhaud è nato in Francia nel 1930. Compie gli studi negli Stati Uniti dove la sua famiglia si è rifugiata durante la guerra, poi in Austria e in Francia dove torna a risiedere e lavora da oltre cinquant'anni. A partire dagli anni Ottanta si reca frequentemente in Italia, a Pietrasanta, per lavorare il marmo. Vi soggiorna più e più volte e oggi divide il suo tempo tra Parigi e Pietrasanta. La sua opera è varia e multiforme, si avvale di materiali diversi che vanno dal marmo al gesso, dal neon alla carta, al legno. Daniel Milhaud ha esposto le sue sculture e i suoi disegni in numerose gallerie e centri d'arte, in Francia e all'estero. Di grande successo la recente personale ospitata a Montbéliard, a l'Hotel de Sponeck. Sue opere fanno parte di prestigiose collezioni internazionali.

 

Mostra: Altamente infiammabile
Artisti: Daniel Milhaud
Date esposizione: 9 maggio - 7 giugno 2009
Luogo: Chiostro di Sant'Agostino, Pietrasanta (LU)
Orario apertura: dal mar. al ven. 16-20, sab., dom. e festivi 10.30-12.30 e 16-20
Ingresso: libero

 

Alessia Lupoli - Ufficio Stampa
Assessorato alla Cultura
Comune di Pietrasanta
tel. 0584/795381; fax 0584/795588
e-mail: cultura@comune.pietrasanta.lu.it
www.museodeibozzetti.it

 

Presentazione

Il funambolo dei materiali

Qualcuno una volta disse che l'umorismo è una delle più alte forme d'intelligenza. Ed in effetti, sfruttando questa dote innata (che è non è purtroppo trasmettibile geneticamente e quindi dominio di pochi), si possono trasmettere messaggi di somma importanza con grande raffinatezza. Daniel Milhaud sembra essere un mago in quest'arte così difficile e sottile, non solo per l'evidente destrezza e sicura padronanza della materia, ma per l'acutezza e la sintesi dell'espressione stessa.

 

L'apparente freschezza dei termini segnici nasconde un'oculata ponderatezza sull'uso dei materiali e loro combinazione. Nulla spaventa l'artista, che si destreggia con ogni sorta di sostanza, dal marmo al neon, dal legno all'acciaio, dal metallo alla cartapesta. Ciò che prevale però sul tutto è un'assoluto senso di leggerezza che pervade lo spettatore una volta assorbito il senso dell'opera. La scelta di una o altra tecnica, di questo o quell'oggetto risulta gratificante persino per chi guarda le opere di questo artista altamente eclettico, che riesce ad appagare ampiamente il nostro desiderio di comprensione e allo stesso tempo di novità. Le originali idee di Mihauld, tradotte con freschezza in oggetti d'arte, ci fanno esclamare con un sorriso: "È chiaro! Perché nessuno l'ha mai pensato prima?". La brillantezza dell'artista coglie nel segno, lasciando indelebile traccia nella nostra memoria: effetto ancora più efficace della mera proprietà dell'opera stessa.

 

Altamente Infiammabile è un pretesto per accendere ancora i nostri sensi, per tornare bambini con la conoscenza degli adulti, per lasciarsi andare al gioco conservandone la sollecitazione. Daniel Milhaud, Maestro del neon (ma non solo), ci illumina la mente e lo spirito, per cui è un onore poterlo avere ospite presso le Sale del Chiostro di Sant'Agostino di Pietrasanta. A lui, alla moglie Nadine e a tutti i suoi collaboratori va un sentito ringraziamento per aver reso possibile questa mostra unica nel suo genere.

  Pietrasanta, maggio 2009

L'ASSESSORATO ALLA CULTURA

Critica

Chiacchierata

fra Daniel Milhaud e Antonella Serafini

 

Come e quando sei giunto a Pietrasanta?
Negli anni Sessanta ho abitato per un lungo periodo a Firenze, allora facevo solo pittura; avevo i
bambini piccoli e mi fu consigliata la Versilia per le vacanze al mare. E' stato così ho che
conosciuto Pietrasanta e in seguito anche attraverso amici scultori che lavoravano qui. E' trascorso
però un lungo periodo prima che vi tornassi per fare scultura. Sono venuto qui di nuovo intorno al
1975.

E' qui che sei diventato scultore?
No, avevo già cominciato a Parigi, le prime cose le facevo con materiali molto leggeri poi, quando
sono giunto alla terracotta, ho pensato che alcune delle mie sculture sarebbero potute migliorare se
fossero state realizzate in una materia più dura, è stato allora che ho deciso di provare a fare
qualcosa in pietra e sono tornato a Pietrasanta. Da quel mio primo soggiorno qui come scultore è
nata una serie di lavori che sono stati esposti in una grande mostra a Corbeil, vicino a Parigi, in
quell'occasione venne pubblicata una monografia abbastanza completa su vent'anni del mio lavoro,
era il 1990.

Sei venuto a Pietrasanta e tuttavia fra le tue opere non vi sono molti marmi.

Non amo particolarmente il marmo, sono più affascinato dalla pietra, tuttavia ho sperimentato un
po' di tutto: travertino, bardiglio, arabescato, marmo spagnolo, collemaldina, siciliano ... questo
perché tutto il mio lavoro rimane comunque legato a scelte di colore, una "condizione" che deriva
dal fatto che io sono nato pittore.

E invece l'altro aspetto della tua arte quello che si basa su una sorta di giocosità, surrealtà,che sembra nascere anche da una immediatezza nella realizzazione, come si è conciliato con i tempi lunghi della lavorazione della pietra?

Un lavoro, sia che sia fatto in un giorno o in dieci mesi, deve avere lo stesso aspetto di
immediatezza e finitezza.

Come ti sei organizzato, com'è andato l'incontro con la pietra per te abituato a lavorare nello
studio, a fare la pittura, le cose leggere, che tipo di cambiamento ha portato la pietra sia nella
tua creatività sia nell'organizzazione del tuo lavoro?

Il primo incontro che ho avuto con la pietra è stato molto prima di cominciare a lavorarla.
Fu una specie di choc, lo ebbi in Bretagna davanti ai monumenti dei menhir e dei dolmen. Mi resi
conto di quanta forza avesse una pietra in un paesaggio, come essa potesse cambiario totalmente,
ma siccome è "solo" una pietra se la collochi in un museo perde tutto il suo valore dato che non è
scolpita. E' un paradosso: non c'è niente di più importante di quella pietra in quel paesaggio ma non
la puoi togliere dal "suo" contesto, come hanno fatto ad esempio asportando tante cose dai tempi i
in Sud America, in Asia e in Grecia, perché non è scolpita. E' una essenza completamente astratta
della scultura. Dunque la cosa che mi è interessata è stato che se in un paesaggio,in una piazza,ci
metti una cosa esso prende un'altra dimensione, quando la togli esso diventa più vuoto, cioè più
piccolo. Considerazioni di questo tipo mi hanno accompagnato nel lavoro.

Allora quando ti sei avvicinato alla pietra hai pensato ad opere destinate all'esterno?

All'inizio sì, in seguito no.

L'incontro con il marmo, e più in generale la pietra però non ti ha distolto da altri materiali.

Infatti. Venendo qui a Pietrasanta ho scoperto per esempio, a Viareggio, gli hangar del Carnevale
dove facevano armature con il giunco e questo materiale subito mi ha parlato. Ho chiesto dove si
poteva prendere, l'ho comprato e contemporaneamente a certe realizzazioni in pietra ho fatto l'Arc
che è fatto di giunco, legno e due tavoli di ottone.
La mia scelta è sempre plurale, le cose vivono insieme, per me non c'è differenza perché per ogni
tipo di lavoro cerco il materiale giusto. La storia ha considerato nobili il bronzo, il marmo, la pietra,
per la sola ragione che sono materiali che resistono all'aperto ma quando Picasso, nel 1910, ha fatto
una scultura con la carta ha dimostrato che la scultura si fa con tutto.

Parliamo del Paris Boum Boum. Come nasce questa scultura di "finto" giornale?

E'finto perché se Paris Boum Boum fosse rimasto di giornale sarebbe deperito rapidamente, è stato
necessario un "trucco": coprire di resina il giornale e dopo, attraverso la resina trasparente,
dipingere il giornale, ossia ottenere una pittura acrilica che resiste alla luce e non invecchia. E' stato
un lavoro molto lungo durato circa due anni e mezzo. Per quanto riguarda la struttura dell'opera
invece l'ho cambiata continuamente finché non ha funzionato. L'ho cominciata con un elemento
centrale all'interno del quale avevo messo dei "tubi"; come si metterebbero dei fiori in un vaso, ma
non lo trovavo molto interessante, ha cominciato a diventarlo quando ho iniziato a cercare dei ritmi
contrari, ossia forme collocate in direzioni che creavano fra di loro tensioni, il lavoro è stato
costruito cercando queste tensioni ed è finito quando, alla fine, girando intorno ho visto che
dappertutto funzionava senza ripetizioni.

Paris Boum Boum è un'opera che ogni volta va smontata e rimontata, questo pone dei
problemi?

No

E' stata questa la prima opera in cartapesta?

No, ne ho fatte altre piccole prima,qui a Pietrasanta,dopo avere visto la tecnica che adoperano al
Carnevale, mi è interessata perché assomiglia molto ad un altra tecnica che allora, e anche adesso,
mi è congeniale: il collage.

Tu dici che cerchi ogni volta il materiale adatto a quello che vuoi fare, una sorta di nature
correspondante, ma non scommetti anche sulla diversa immagine di sé che ogni forma può
assumere a seconda del materiale?

Ogni cosa ha il suo peso. Per esempio quando ho adoperato il neon era perché si legava alle parole,
dava una evidenza diversa alle parole, inoltre il neon è colore puro e questo mi piaceva molto.

Parliamo della complessità di un'opera come Smoke

Prima avevo fatto un'opera che si chiama Fumées. Spesso parto da una parola per fare un lavoro: ho
cominciato con la parola "smoke': l'ho messa nel mezzo e, come si dice non c'è fumo senza fuoco,
ho indicato l'idea del fuoco con qualche led luminoso rosso nella parte inferiore della scultura, poi è
nata un'altra forma che sembra alzarsi come un aquilone nel cielo: è infatti un pezzo di cielo che
raccoglie il ricordo di gente morta a causa del fuoco, per questo ci sono tutti questi teschi dentro che
si mescolano con le luci, non si vedono quasi. La scultura può essere vista solo nel buio e nella sua
propria luce. Fumées si chiama così per una analogia strana ed è tutta un'altra cosa rispetto a
Smoke. Sono parole che nascono da carbas africani, tutte parole che cominciano per "f': C'è una
ragione: mi piace la "f" perché è una lettera che ha due ali, la parola dunque comincia con due ali e
va verso l'alto. La scultura è composta di parole che insieme non assumono un significato, è un pout
pourri; di parole diverse. Guardando il lavoro terminato, l'insieme di questi elementi verticali che
scrivono parole che vanno verso il cielo mi ha fatto pensare al fumo. Questa è stata le genesi.
Dopo quest'opera m i sono ho detto "ora faccio Smoke"

Abbiamo parlato finora della scultura ma tu nasci pittore. Vogliamo parlare della pittura, che
non hai mai abbandonato per la scultura, che ti sei portato dietro nella scultura come per
esempio in opere come Otto Noche

Ho fatto pittura su tela per tanti anni poi piano piano ho cominciato a mettere dei volumi nei quadri,
ho cominciato con il legno ed ho fatto molti lavori con legno incollato, dipinto, ecc.. E' stato logico
che ad un certo punto uno di questi elementi invece di rimanere attaccato al piano venisse fuori e si
potesse dire scultura perché completamente tridimensionale.
Otto Noche nasce perché, a forza di "giocare" con le parole, ho trovato questa somiglianza fra la
parola "otto" e la parola "notte" in molte lingue e che tuttavia non ha alcuna spiegazione
etimologica. Questo mi ha interessato perché c'è sempre qualche mistero nelle parole, come mai
queste cinque parole hanno il loro doppio che ha tutto un altro senso? E stato così che ho deciso di
metterle su questa specie di totem; dapprima lo avevo intitolato Le parole, oggi lo chiamo Lettres et
le neon perché anche questo è un gioco di parole con il titolo di un libro di Sarte L'être et le néant.
Ho scelto il neon perché, come dicevo, per me è associato alla scrittura e al colore e prima di tutto
mi interessa la superficie, il flux, anche quella è importante.

Il tuo incontro con Pietrasanta, come è capitato per molti artisti, da occasionale è diventato
consueto, essa è ormai la tua seconda patria, come mai?

Perché ci sto bene, lavoro molto qui anche se non sempre si tratta di scultura o di scultura in pietra.
Per esempio adesso ho un progetto in marmo e allo stesso tempo sto realizzando un'opera in gesso.

A prescindere dal fatto che qui ci sono a disposizione molti materiali l'hai scelta proprio come
luogo di creazione e qui hai realizzato anche le opere destinate a luoghi urbani. Esse non sono
interventi né di tipo monumentale né di tipo ornamentale, sono delle presenze che entrano
discretamente in uno spazio urbano ma allo stesso tempo lo connotano, lo caratterizzano. Che
significato ha avuto per te realizzare queste opere, come ti sei posto quando ti sono state
commissionate, come le hai progettate, pensando a cosa, come hai scelto i materiali ...

Per la fontana mi ci volevano due colori, ma non in contrasto come nero e bianco o nero e rosso.
Dapprima ho scelto il travertino senese, poi c'è voluto molto tempo prima di trovare l'altro, giravo
con due pietre in tasca finché non ho trovato quella giusta, e non solo il colore giusto per la scultura
ma anche per l'ambiente parigino a cui era destinata,anche questo era importante. La loro misura è
adatta per una piccola piazza. Secondo me ogni scultura deve possedere qualche cosa di intimo,
anche nel monumentale, altrimenti sono forme vuote.
La cosa che mi ha commosso quando ho visto le pitture di Tarquinia è che non sono mai "dilatate"
come quelle dei Romani, sono sempre piccole, come le stanze dove puoi pensare di compiere
qualsiasi gesto quotidiano, friggere le uova o fare un pisolino. Gli affreschi sono di spirito
monumentale perché molto semplici sintetici, molto belli, hanno la loro misura e questa è la misura
che mi interessa. L'opera collocata a Bobigny è composta di tre sculture che ho fatto a misura
d'uomo, una è addirittura più piccola, sono elementi famigliari, questo mi interessa. Però attenzione:
elemento intimo non vuoi dire piccolo, ci sono anche delle cose molto grandi che lo posseggono,
l'elemento intimo sta nel "credo" che genera l'opera. Ritorno ai menhir: non si sa come siano stati
collocati lì, solo un "credo" può averli sollevati. Noi non sappiamo nulla delle popolazioni che li
hanno eretti però si sente che non sono stati posti lì per decorazione. Il "credo" dà loro la forza.

E' la prima volta che esponi a Pietrasanta, sessanta anni di ricerca artistica sono sempre
difficili da riassumere, con quale criterio hai deciso di rappresentarti in questa mostra?

Questa mostra avrà una specie di leit motif che è l'idea dell'autoritratto.
Dico "idea dell'autoritratto" perchè ho adoperato l'immagine della mia testa come un oggetto e l'ho
messo in situazioni diverse, cioè il contrario dell'autoritratto di uno che si guarda allo specchio e si
dipinge.
Uno di questi si chiama Nr.1, Le Voyeur: è la mia faccia nascosta che guarda attraverso una siepe di
serpenti. Ce n'è un altro fatto attraverso un montaggio di elementi che sono presenti nella mia vita
come i dadi, le carte, i piccoli teschi, una mano che fa le corna, la mia testa è un piccolo profilo
ritagliato, un elemento fra gli altri della composizione. Ce n'è un terzo dove la mia testa è tagliata in
due come un melone su una bilancia: molti di noi hanno una doppia personalità ...
Cerco in questi autoritratti di raccontare situazioni della vita "altre".
Ce n'è uno ad esempio dove non c'è la mia figura ma solo il sentimento. Uno con un candelabro
ebraico che tiene in equilibrio un segno di neon che è un simbolo sessuale preciso, ovvero la
contraddizione fra il profano e il sacro. Uno che mi piace molto è fatto con due duettisti su un
piccolo tavolo: c'è una raffigurazione del mio naso e un cappello che copre parte del viso, accanto
c'è un neon che ha la forma del mio naso davanti ad un piccolo specchio, in equilibrio su questo
piccolo specchio c'è un altro cappello: uno riferisce all'altro e viceversa.

Questi autoritratti li hai fatti tutti in uno stesso periodo?

Sì, uno dopo l'altro

Si possono intendere anche come una sintesi di tutti i linguaggi che hai utilizzato in questi
anni?

In un certo senso sì

Cioè hai riproposto attraverso te stesso la storia della tua ricerca

Si, si può dire così.

E come mai l'autoritratto ... come mai sei giunto anche tu a Canossa?

Era già un pezzo che ci pensavo. La prima idea di farlo mi venne proprio qui a Pietrasanta quando
vidi in fonderia un pezzo di una forma che era il negativo di un volto, pensai che sarebbe stato
interessante fare il negativo della mia faccia come autoritratto e lo feci circa sei o sette anni fa. Ho
fatto cinque edizioni di questa testa in negativo con variazioni, tutte e cinque le teste sono diverse.
Questo mi ha dato l'idea di continuare, ma d'altra parte faccio sempre "serie" nel mio lavoro, ma
non mi dedico mai ad un'unica serie, ad esempio mentre facevo gli autoritratti realizzavo anche altri
lavori come Fumè ...

Per questa mostra quindi hai deciso di presentare una serie di lavori recenti che sono stati
fatti con lo stesso spirito, che danno una immagine del tuo percorso degli ultimi cinque anni
più o meno. Ma fra queste opere c'è un intruso, L'oracolo, in che modo si lega?

E' una figura che ha uno sguardo come se fosse una cosa notturna, che vede nella notte ...

Biografia

Daniel Milhaud nasce nel 1930 in Francia. Inizia gli studi negli Stati Uniti, dove la sua famiglia si
era rifugiata durante la guerra, che poi prosegue in Austria e in Francia dove torna a stabilirsi nel
1960.
Dagli anni Ottanta soggiorna a Pietrasanta per lavorare il marmo con cui ha realizzato alcune opere
collocate in spazi pubblici a Parigi e a Bobigny. Dalla fine degli anni Novanta vive fra la Versilia e
Parigi.
Chi conosce Milhaud sa che niente per lui può essere considerato definitivo, o comunque nulla può
essere considerato univoco, anche nell'ambito di una semplice conversazione per quell'abitudine che
egli ha di giocare con tutto a cominciare dalle parole. Egli è un "nomade" della creatività, sottopone
la realtà alla verifica di diverse "versioni" dei fatti, di differenti punti di vista. Nulla è stabilito o
stabile, dichiara con la sua arte, e di conseguenza le sue opere non potrebbero mai porsi come
oggetti di univoca interpretazione.
Il leit motif di questa esposizione è l'idea dell'autoritratto, opere in cui l'artista adopera l'immagine
della sua testa come un oggetto messo in situazioni diverse - il contrario dell' autoritratto di chi si
guarda allo specchio e si dipinge - allo scopo di raccontare situazioni della vita "altre".
La prima idea degli autoritratti nacque a Milhaud proprio qui a Pietrasanta, alcuni anni fa, vedendo
in una fonderia un elemento di una forma che era il negativo di un volto: pensò che sarebbe stato
interessante fare il negativo della sua faccia come autoritratto.