Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Cammino ed ascesi

Medhat Shafik


Mostra di scultura e di installazione

inaugurazione: 22 marzo 2008 - h 18.00

esposizione: dal 22 marzo al 25 maggio 2008

luogo: Chiesa di S. Agostino e Piazza Duomo - Pietrasanta

orario: 16.00-19.00;  lunedi chiuso

ingresso libero 


Comunicato stampa

(versione in pdf)

 

Come antichi saggi, i marmi si stagliano sulla piazza, segnando le tappe di un coinvolgente cammino verso il sacro. I cammini, tutti i cammini, sono disseminati di domande, curiosità, attese. Il peso della pietra, nel suo approssimarsi all'altare della chiesa di Sant'Agostino, si riduce a poco a poco, quasi si annulla: i monoliti si fanno leggeri e fluttuanti, sospesi nello spazio come pendoli del tempo. Medhat Shafik, pittore e scultore egiziano, presenta a Pietrasanta, dal 22 marzo al 25 maggio 2008, Cammino ed ascesi, un intenso percorso espositivo in cui avanguardie occidentali e sensibilità orientali s'incontrano in un linguaggio di raffinata poesia dell'anima.

 

Dalla piazza del Duomo alla prospiciente chiesa di Sant'Agostino, le opere si susseguono in un incedere di forme, simboli e suggestioni verso la città celeste, luminosa come lo spirito, come la gioia dell'essere. Il cammino approda alla catarsi ed il fulgore pervade lo spazio, intimo specchio dell'infinito. Shafik, abile alchimista di materiali e tecniche, traduce il palpito dell'anima, il mistero dell'invisibile. Dai candidi marmi, dalle garze semitrasparenti, dalle sottilissime strutture di metallo, dalla leggerezza della cellulosa, dai legni odorosi, dagli improvvisi squarci di colore, di ori e di argenti, si leva un sussurro, un respiro lieve ed etereo.

 

Blocchi monumentali di marmo bianco di Carrara, di dimensioni variabili, si allungano sulla piazza costellati di segni ancestrali, come soste, momenti di sospensione e astrazione. Shafik per la prima volta scolpisce il marmo, rendendo omaggio alla sua preziosa consistenza, ad una bellezza materica senza contaminazioni.

 

Nella chiesa di Sant'Agostino sei grandi installazioni come luoghi irreali, immaginari, come stanze dell'emozione e delle memoria: da La Città celeste a Il volo della Fenice, dalla Colonna del viaggiatore alla Barca di Ulisse, a Luogo di Ascesi. Un racconto lirico ed artistico tra passato e presente.

 

"Medhat Shafik, artista internazionale da alcuni anni attivo in città - spiega l'assessore alla cultura Daniele Spina - ha creato per Pietrasanta un percorso d'intenso contenuto spirituale. Un viaggio, tra realtà metafisiche e favolistica orientale, che partendo dalla centrale Piazza del Duomo si conclude nelle grande navata della Chiesa di Sant'Agostino generando atmosfere di assoluto fascino".

 

Catalogo a cura di Spirale Arte con testo critico di Antonella Serafini.

 

Mostra: Cammino ed ascesi
Artista: Medhat Shafik
Date esposizione: 22 marzo - 25 maggio 2008
Luogo: Chiesa di Sant'Agostino e piazza del Duomo, Pietrasanta
Orario: 16.00-19.00; lun. chiuso
Ingresso: libero
Inaugurazione: sabato 22 marzo 2008, ore 18.00

 

 

Ufficio Stampa - Assessorato alla Cultura
Comune di Pietrasanta
tel. 0584/795500; fax 0584/795588
e-mail: cultura@comune.pietrasanta.lu.it
www.comune.pietrasanta.lu.it

Presentazione

La leggerezza del marmo

Quanto può essere leggero il marmo? Sotto le sapienti mani di Medhat Shafik i possenti marmi esposti in Piazza del Duomo, pur non perdendo la loro corposa identità, appaiono più lievi, scavati ed incisi dai tratti tipici dell'artista, che affondano ed emergono in un gioco particolare di luci ed ombre. Graffiti più o meno elaborati, segni semplici e lineari, simboli isolati, scanalature ripetute: è un discorso ponderato ed importante, creato ad hoc per Pietrasanta e ora reso eterno nel candore del marmo.
E se c'è l'accenno alla leggerezza nei blocchi di marmo, in effetti è più che mai presente nella Chiesa di Sant'Agostino, in cui le opere sono 'fatte d'aria'. Se in Piazza la tridimensionalità è più che mai concreta, in Chiesa è solo suggerita da volumi creati con garze, carte, stoffe, intelaiature di rame. é un cammino reale verso l'ascesi, dove la materia perde sempre più consistenza fino ad arrivare all'impalpabilità dello spirito nel luogo ad esso più idoneo. Così Medhat Shafik con i suoi lavori non solo rende omaggio all'idea della spiritualità dell'arte, ma anche alla sacralità del marmo, alla sua preziosa consistenza e pura bellezza senza contaminazioni.
Spazio, materialità e luce sono gli elementi fondamentali di questo percorso, che per volere dell'artista conduce all'infinito, un primo passo per portare lo spettatore in un'altra dimensione carica di significati. Un sentito ringraziamento va alla Galleria Spirale Arte di Pietrasanta per averci offerto questa opportunità di 'meditazione concreta' attraverso le opere di un grande Maestro.

Pietrasanta, marzo 2008
L'Assessore alla Cultura

Dott. Daniele Spina

Critica

Lo scrigno della memoria

La storia degli uomini ha un debito grande con i viandanti, fin dai tempi remoti fondamentali traghettatori di notizie, idee, racconti, miti e convinzioni, verità, da un villaggio all'altro, da una comunità ad un'altra; indoli curiose e irrequiete, travestiti di volta in volta da cantori, zingari, pellegrini, venditori ambulanti delle più svariate merci ma soprattutto del loro sapere. Riconosciuti prima di tutto dai poeti, loro simili, alle penne degli scrittori dobbiamo memorabili rappresentazioni di questi reporter ante litteram, scrigni preziosi del presente e della memoria, e la trasformazione di essi in un atteggiamento dello spirito, una condizione dell'essere. Se è vero che ogni personaggio di Hermann Hesse è un Wanderer, il suo speculare è il Melquìades di Gabriel Garcìa Màrquez che apparendo dal nulla nell'atmosfera ferma e polverosa di Macondo spariglia le carte e la quiete.
Il viandante è colui per il quale è il viaggio la meta del suo cammino, la curiosità e la scoperta sono il senso della vita, la ricerca il suo destino. Ogni sua azione è segnata da una costante dialettica fra le regioni della sua anima e quelle del mondo.
Ogni artista coltiva dentro di sé il Wanderer, quello di Medaht Shafik si muove nello spazio e nel tempo del Mediterraneo edificando con le sue mostre agorà, luoghi per un dialogo teso a ripristinare la memoria comune, conditio sine qua non per sottrarsi a ciò che egli definisce "il naufragio della storia". L'ultimo scorcio del XX secolo ha visto cadere il muro di Berlino, il XXI si è aperto sulle macerie delle Twins. Questi due "crolli", provocati da cause tanto diverse e imparagonabili, hanno provocato da un lato una progressiva parcellizzazione dell'Europa con il moltiplicarsi di "razze", identità, etnie, dall'altro un presunto scontro di civiltà pronte a rivendicare con orgoglio e con ogni mezzo supremazia e inconciliabilità. Un revanscismo di diversità sempre più incapaci di considerare l'"altro" fonte di ricchezza e sponda di un dialogo, quanto piuttosto uno straniero da esiliare quando non eliminare. Si può vivere senza conflitto nella diversità solo se ci si sente uguali, se si è consapevoli di avere tutti una comune origine, l'arte di Shafik si incarica di questo: un percorso a ritroso sulle tracce della storia in cerca dei segni che testimoniano l'esistenza di una comune matrice delle civiltà, del senso dell'essere e della vita. I segni sono quelli che gli uomini hanno lasciato su ciò che hanno costruito, creato per dare prova della loro esistenza, delle loro convinzioni, dei loro valori. Le arti figurative hanno marcato il passaggio delle culture nel tempo, le loro contaminazioni e le loro similitudini ossia la comunanza di archetipi. Quanto si è compiuto nell'arte dell'Europa occidentale fra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX è l'esempio più recente di questo: basti pensare all'influenza che l'arte giapponese ha esercitato sui linguaggi simbolisti, l'arte africana in quelli espressionisti, le astrazioni frutto dell'iconoclastia araba sulle ricerche astratte. Shafik, cittadino del Mediterraneo, cresciuto in Egitto e vissuto in Italia, immerso nei codici delle culture le cui radici leggono tuttora il nostro inconscio e nutrono la nostra coscienza civile, con la memoria colma dei paesaggi, dei colori, dei profumi della sua infanzia e la mente colta, educata alla curiosità del mondo, ci appare come il mentore di un nuovo umanesimo che attinge alla tradizione intesa come insieme di azioni tese a tramandare significati fondamentali dell'agire dell'uomo, di ogni uomo. Shafik dipinge e costruisce città: la città è l'immagine per eccellenza degli itinerari della dialettica fra tradizione e innovazione, delle stratificazioni della storia; edifici costruiti con forme che ricordano archetipi naturali, la volta del cielo, i fusti degli alberi, è anche costituita dagli oggetti che gli uomini e le donne che in esse vivono e costruiscono quotidianamente ciò che è necessario alla loro esistenza, su cui lasciano le impronte delle loro mani, l'energia dei loro gesti: la pelle delle cose nell'assorbire i nostri gesti assorbe anche il senso della nostra vita.
La città (il villaggio nell'oasi come la metropoli) è il luogo dove l'uomo vive, i caratteri che essa assume sono quelli attraverso cui gli abitanti si presentano ai forestieri, dalle architetture ai panni stesi ad asciugare tutto è città. Le installazioni di Shafik sono strutture trasparenti che lasciano intravedere gli interni, i piani sovrapposti sono gli strati del tempo, contribuiscono contemporaneamente alla solidità dei luoghi e a testimoniare che quel che oggi è fa parte di ciò che è stato e viceversa, e nel dare responsabilità (peso) al passato automaticamente lo conferisce al presente. Se le "città" hanno mura trasparenti, quella dei profumi non ne ha alcuna: gli aromi - perduti nei nostri agglomerati moderni - nelle medine arabe sono le essenze delle molteplici azioni che in esse avvengono contemporaneamente: cuocere il pane, bruciare incensi, colorare tessuti, fondere metalli, preparare i cibi. Il mescolarsi dei profumi è l'interagire degli esseri fra di loro, è la prova che ciò che ognuno di noi fa raggiunge l'altro, che non siamo impermeabili, che il senso delle nostre azioni si propaga. La "Città dei profumi" è il simbolo per eccellenza dell'umanesimo di Shafik, i singoli odori distinguibili e allo stesso tempo fusi in un unico aroma sono l'allegoria delle differenze e la prova della loro possibile fusione, intensi e invisibili ci inseguono come una musica, sono l'esprit di ciò che noi andiamo cercando. La "Città dei profumi" con la sua silenziosa e mite prepotenza è l'opera d'arte, l'arte intesa come atto di conciliazione: la pietra filosofale del nostro tempo, la ricerca del punto comune di origine che possa definitivamente sconfiggere ogni abuso di supremazia. Shafik viene da una terra dove ogni città ha i suoi "pilastri", colonne, obelischi, destinati a narrare in eterno i trionfi dei Faraoni e dei loro Dei, i pilastri che Shafik innalza sono affollati dei segni genetici/poetici delle culture dei popoli, mescolati fra di loro come i profumi, come fuse vi sono le impronte delle mani di coloro che con la loro fatica contribuirono ad erigerli. Le superfici dei materiali su cui Shafik scava e incide, su cui cerca e con cui dialoga sono la manifestazione fisica dello scambio che ogni essere umano ogni giorno fa con il circostante, di cui l'artista è capace di cogliere ciò che dell'immanente si trasforma in Storia, in memoria. Ma le opere di Shafik non sono reliquari e neppure un approdo, sono piuttosto fonti a cui liberamente attingere e un'istigazione ad andare noi stessi a cercare, perchè è la certezza della memoria che dà un senso al nostro presente, lo rende riscattabile dall'oblio, agibile senza il lutto dell'effimero. Sono la barca di Ulisse: piccolo guscio carico dell'essenziale per andare alla scoperta del mondo ma con una pelle carica di significato, la superficie trattiene memoria delle mani del Re di Itaca e di quelle dei suoi compagni che l'accompagnarono nel "folle volo", dell'energia dei loro gesti, della trepidazione, della paura, dell'orgoglio, della sorpresa.
Shafik ha prodotto un video, Flash back, nel quale narra e dichiara le origini del suo linguaggio, mostra come ciò che ha visto, vissuto, conosciuto si è trasformato nelle sue immagini, nelle sue installazioni. Un filmato affascinante dove egli compare di quando in quando sottoforma di gambe che camminano e mani che trasformano. Il viaggio di Shafik è giunto nella terra del marmo e il Wanderer, di fronte ai blocchi caduti ai suoi piedi direttamente dalla montagna, ha cominciato a cercare. Rabdomante di memorie mentre le sue mani incidevano la pietra essa rispondeva con quel che portava dentro. Le quattro opere nate da questa esperienza, esposte in sequenza rappresentano la genesi e lo svolgersi di questo dialogo, dalla prima scultura, composta come le prime balbuzie di chi va imparando una lingua nuova, alla seconda dove il linguaggio comincia ad essere più coordinato fino alle terza e poi alla quarta, in cui le parole si fanno significato e comunicazione.
Le opere recenti di Shafik sono connotate dal prevalere dei toni chiari e dalle trasparenze, superfici da cui emergono, talvolta affiorano solo impercettibilmente, lievi volumi. Segni estratti dal passato ma anche sottratti alle prepotenti luci del cielo e del mare. I popoli del Mediterraneo, i naviganti, sono abituati a intravedere volumi e ombre anche quando la forza del sole appiattisce ogni forma.
Individuare le ombre nella tirannia delle grandi luci del Mediterraneo è analogo alla capacità di raccogliere il ricordo e la memoria nella tirannia del tempo, atti possibili a fronte di una consapevolezza di sé come elemento della trama dell'anima del mondo. La bellezza delle opere di Shafik è anche nel modo in cui le sue superfici vibrano della gioia di questi ritrovamenti. Quel che Shafik comunica è l'entusiasmo, non la nostalgia, del viandante. Non è un Wanderer in cerca di qualcosa che ha perduto ma, come Ulisse, insegue la sua curiosità nel sogno di un nuovo umanesimo.
Viareggio, aprile 2008
Antonella Serafini

Biografia

Medhat Shafik è nato in Egitto nel 1956. Dal 1976 vive ed opera in Italia.
Si è diplomato in pittura e scenografia presso l'Accademia di Belle Arti di Brera.
Artista di successo internazionale, Shafik coniuga le suggestioni e i colori dell'arte orientale con le più avanzate tecniche compositive delle avanguardie occidentali.
La sua consacrazione arriva con la Biennale di Venezia del 1995: al Padiglione Egitto, da lui rappresentato, viene assegnato il Premio delle Nazioni.
Negli ultimi anni l'artista ha ottenuto molti riconoscimenti: ha vinto il premio Alcatel alla VIII Biennale d'Arte Contemporanea del Cairo, ha esposto alla Galleria d'Arte Contemporanea di Bad Homburg in Germania e nel prestigioso Palazzo Racani Arroni di Spoleto dove ha inaugurato la mostra Nidi di Luce. Nel 2002 ha iniziato un nuovo ciclo di opere Sabbie, impronte su carta, che ha presentato, a cura di Marco Meneguzzo, alla Galleria Spirale Arte contemporanea di Pietrasanta e Milano. Ha esposto una sua rassegna personale all'Accademia di Belle Arti di Brescia, un'installazione a Palazzo Forti a Verona - entrata a far parte della collezione permanente del Museo. Ha partecipato alla XVII edizione del Festival Internazionale delle Arti Plastiche Mahres a Tunisi ed è entrato nel sito del Metropolitan Museum di New York come uno dei più interessanti artisti del mondo arabo del XX secolo. Nel 2007 presso la Rocca di Umbertide ha presentato la mostra Luogo di Frontiera, curata da Martina Corgnati, e Le città invisibili a Palazzo Forti di Verona, curata da Giorgio Cortenova.