Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
 ... > Mostre > 2008 > Apocalisse  le mostre
Apocalisse

Enrico Baj


Opere di pittura 

inaugurazione: 15 marzo 2008 - h 18.00

esposizione: dal 15 marzo al 25 maggio 2008

luogo: Sale e Chiostro di S. Agostino- Pietrasanta

orario: 16.00-19.00; lunedi chiuso

ingresso libero


Comunicato stampa

 (versione in pdf)

 

Tragica e grottesca, ironica e preoccupata, l'Apocalisse di Enrico Baj mette in scena, quasi teatralmente, il degrado della contemporaneità, le macchie nere e gli incubi generati dal sonno della ragione, le attese e le premonizioni, l'esuberanza del mostruoso. Un collage psicologico costruito da tele a tecnica informale, animate da sagome dipinte o intagliate nel legno. Dal 15 marzo al 25 maggio 2008, nel Chiostro di Sant'Agostino, a Pietrasanta, si inaugura la mostra di Enrico Baj dal titolo Apocalisse, a cura di Luciano Caprile, Roberta Cerini Baj e Stefania Trolli.
L'esposizione presenta un percorso articolato tra le sale del chiostro e la sottostante sala Grasce. A testimoniare la perenne attualità dell'opera e del clima apocalittico che pervade l'umanità, compaiono in mostra alcune tele nucleari e le ultime aggiunte di Baj suggeritegli dal ciclo poetico di Gilgameš. Il catalogo, con testo critico di Luciano Caprile, contiene un'ampia documentazione sulla storia dell'opera.

 

L'Apocalisse di Baj ha quasi trent'anni. Concepita come work in progress, cioè passibile di aggiunte e cambiamenti nel corso del tempo, è costituita da teli, vuoi a macchie e colature eseguite con la tecnica del dripping, vuoi con figure, e da sagome in legno di svariate dimensioni. Nella presentazione dell'opera tali elementi possono essere tutti o solo in parte utilizzati, possono essere composti in modo variabile, possono essere riuniti in un'unica grandissima parete, oppure distribuiti in spazi diversi.
Le motivazioni che lo spinsero a comporla sono da Baj così spiegate: "È da Gli otto peccati capitali della nostra civiltà di Konrad Lorenz che la mia Apocalisse prese le mosse. Qui Lorenz analizza l'attuale situazione dal punto di vista delle colpe (o peccati) comportamentali, essendo l'etologia, della quale appunto Lorenz è specialista, la scienza del comportamento. I peccati capitali visti da Lorenz non sono più i peccati contro un ipotetico Dio, non sono più trasgressioni a comandamenti sacrali o rituali, ma trasgressioni a comandamenti che definiremo naturali; o meglio si tratta non di comandamenti violati ma di norme di condotta che sono insite nella natura e che gli uomini non dovrebbero trasgredire, quanto meno così massicciamente: facendo della natura, da cui pure dipendono, la loro latrina."

 

Motivazioni che appaiono oggi per nulla inattuali, anzi forse ancora più fondate di allora.

 

Sala Putti, sala del Capitolo e sala delle Grasce accolgono questo grande puzzle, con la possibilità di riproporre la primitiva divisone dell'Apocalisse in tre parti, attuandola naturalmente con la libertà che la struttura dell'opera ci consente. In tre parti, infatti, era stata installata per la sua prima esposizione a Milano allo Studio Marconi nel 1979, in occasione della quale fu pubblicato un libro a cura di Umberto Eco, che così la descrive: "Non millenaristica, la nuova Apocalisse è, come si diceva all'inizio critica. Capacità di leggere i segni della distruzione. Spogliando la rappresentazione di ogni afflato mistico, restituendoci angeli e demoni nella forma grottesca della citazione deformante, Baj a modo proprio ci ricorda che gli agenti della distruzione sono di questa terra. Siamo noi, citati attraverso le citazioni umane dell'arte che noi abbiamo prodotto."

 

"La fama di Enrico Baj - spiega l'assessore alla cultura Daniele Spina - è universalmente nota, la sua figura e la sua creatività sono testimonianza di mezzo secolo di avanguardie e di imprese culturali che hanno profondamente segnato la sensibilità artistica dei nostri tempi. Un evento espositivo che siamo onorati di ospitare negli spazi del complesso di Sant'Agostino e che sono certo non mancherà di suscitare profondo interesse e curiosità".

 

Catalogo CdeV editore.

 

La mostra ha ricevuto il patrocinio della Provincia di Lucca, della Regione Toscana e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

 

 

Mostra: Apocalisse
Artista: Enrico Baj
Date esposizione: 15 marzo - 25 maggio 2008
Luogo: Chiostro di Sant'Agostino, Pietrasanta
Orario: 16.00-19.00; lun. chiuso
Ingresso: libero
Inaugurazione: sabato 15 marzo, ore 18.00

 

 

Ufficio Stampa - Assessorato alla Cultura
Comune di Pietrasanta
tel. 0584/795500; fax 0584/795588
e-mail: cultura@comune.pietrasanta.lu.it
www.comune.pietrasanta.lu.it

 

Presentazione

La rivelazione di Baj 

Come con "l'alzarsi di un velo" (apokalypsis), si è rivelata a noi l'Apocalisse di Enrico Baj, una scoperta fittamente popolata di una miriade di personaggi fantastici di tutti i tipi, dai più piccoli agli immensi, dai più mostruosi ai più inermi: un meraviglioso universo, denso di significati, racchiusi in mille arzigogoli e colori sgargianti. Ciò che colpisce a prima vista è l'inesauribile fantasia dell'artista, che continua a giocare e a divertirsi egli stesso proponendo ardite provocazioni ad un pubblico che può essere solo che spettatore, in un lavoro portato avanti, riveduto e continuamente costruito in molti anni, e per questo maturato e sempre più consapevole della meta da raggiungere.
Secondo l'esegesi della parola stessa, l'Apocalisse è una rivelazione di cose nascoste da Dio a un profeta scelto, e Baj ora si rende interprete di questo messaggio, il nostro profeta che ne dispiega e, allo stesso tempo cela in molteplici spire, i significati più pregnanti di una filosofia umana di cui lui si rende portavoce. Come in una cabala o in un dipinto del Quattrocento, i significati stessi non sono sempre palesi, ma si immedesimano in immagini che vanno interpretate, parte integrante di un vocabolario iconico, misterioso per i più. E allora trionfa ciò che immediatamente si percepisce e ci coinvolge emotivamente in un mondo trascinante e assolutamente fantastico.
Giunta l'ora dell'Apocalisse, siamo onorati di presentarla nelle Sale del Chiostro di Sant'Agostino di Pietrasanta, in un turbinio di immagini e di colori, favorendo un clima vivace e festoso, anziché temutamente truce. Un sentito ringraziamento va a Roberta Cerini Baj, Luciano Caprile e Stefania Trolli per la cura e organizzazione di questa favolosa rappresentazione di opere del Maestro Baj recentemente scomparso

Pietrasanta, marzo 2008
  L'Assessore alla Cultura

Dott. Daniele Spina

Critica

Da sempre, fin dalle prime prove, emerge in Enrico Baj il demone, il "daimon" dell' apocalisse; ovvero si fa prepotentemente strada in lui quella forza vitale magica che lo induce a interpretare le sinistre derive dell'umanità con la critica interrogazione e con la relativa denuncia degne di una classica rappresentazione tragica dove però la catarsi viene sostituita dallo sberleffo, dal piacere ludico della burla. Ma ciò che rappresenta Baj non è giocoso e neppure legato al mondo delle ipotesi. Egli intinge puntualmente il dito nelle evidenti, ricorrenti piaghe sociali e politiche del nostro tempo. Magari alla fine di un'opera o di un ciclo di opere egli potrebbe lasciare intendere di aver scherzato. E invece non scherza mai. Quel che ha fatto, in termini pittorici, è sotto i nostri occhi ed è inutile nascondere le nostre colpe o le nostre debolezze sotto le passamanerie o al di fuori di un'esagerata ostentazione del mostruoso. Baj si avvale ampiamente del mostruoso e lo traduce solitamente in maschera mascherando in tal modo se stesso non per sfuggire a una cattura della propria identità ma per poter penetrare nella nostra identità più facilmente, senza colpo ferire. Così noi ci sentiamo, almeno di primo acchito, esenti da colpe e lui può corroderci nei tempi lunghi del ripensamento. Poi un giorno succede di guardarci allo specchio (magari nei suoi specchi spezzati e ricomposti a sua immagine e giustificazione) e di rinvenire rughe inattese, diffusi frantumi di insicurezza, domande insidiose a cui non intendiamo (non sappiamo?) rispondere. Siamo definitivamente caduti nella sua trappola. E da allora non se ne esce più.
Ma essere compartecipi dei problemi da lui accesi nel cuore delle situazioni non ci è di particolare conforto poiché le soluzioni risiedono di solito altrove, in altre mani, in altri pensieri abituati a convivere col mostruoso non sotto forma di rappresentazione ma sotto forma di vita abituale da manovrare, da blandire o da tiranneggiare, da trattare al massimo alla stregua di un soprammobile che può indurre qualche sussulto di sgomento ampiamente passeggero per chi è abituato, novello Mitridate, a ben altre atrocità da ingurgitare con ricorrente noncuranza. L'apocalisse (in questo caso la "nostra" personalissima apocalisse) prolifera anche nel terreno fertile dell'indifferenza, dell'omologazione, della patinata superficialità.
Baj conosce perfettamente l'argomento e le sue applicazione attuali non solo per aver frequentato culturalmente le apocalissi medievali, i giardini di Bosch o i più recenti travestimenti di Picasso, ma per la chirurgica attenzione con cui ha saputo leggere la contemporaneità attraverso qualche suggerimento di un passato anche lontano. Infatti le apocalissi si rinnovano a dismisura come gli errori dell'uomo che non intende chiedere mai soccorso, in certi frangenti, all'intelligenza. Baj enuncia e denuncia, Baj spalanca le porte di quegli inferi che possono identificarsi con quelle di casa o dell'inconscio o di un commissariato di polizia o di una caserma o di una discarica (di rifiuti o di corpi o di anime) o di un luogo qualunque di potere assoluto.
Possiamo dunque identificare l'inizio dell'avventura artistica del nostro personaggio col movimento nucleare da lui fondato nel 1951 insieme a Sergio Dangelo e col suo primo libro d'artista ispiratogli nel 1952 dal de rerum natura di Lucrezio. I due eventi esprimono i lati contrastanti dello stesso problema: l'atomo, le sue interpretazioni e i suoi usi. Così annota Baj: "Lucrezio si compiace talvolta a immaginare le forme degli atomi che, ad esempio, per le sostanze dolci, devono essere ben rotondi, senza la minima asperità, tali da scivolare gradevolmente e provocare un piacevole sapore: mentre puntuti, addirittura spinosi hanno da essere quelli delle sostanze aspre, amare e sgradevoli".
Dalla suggestione di quel testo provengono le "teste solari" caratterizzate dal bonario sorriso promesso quotidianamente grazie al bombardamento calorico dell'astro da cui deriva la nostra vita. Altro bombardamento invece suggeriscono i "funghi atomici" che crescono sinistramente sulle tele del medesimo periodo. La vita si scioglie, si consuma nel lampo che l'afferra, si vanifica nel masochismo dell'autocancellazione. Baj qui non gioca affatto, non può giocare con la narrazione dell'orrore prodotto da una distruzione che annienta l'anima di chi è sopravvissuto e possiede ormai solo gli occhi per vedere l'inenarrabile e per morire di riflesso, a poco a poco. Il domani non esiste più come misura di speranza, come elementare concetto di vita.
Se figura atomica si può considerare la liquida impronta fantasmatica di una persona sciolta al suolo, come è successo a Hiroshima, quamisado 2 è la follia genetica e degenerativa che trova il modo di manifestarsi compiutamente. Siamo al margine di un incubo che si espande e incontra terreno fertile in ulteriori aberrazioni sceniche: vangatori della luna e nella foresta v'era un tremendo animale sono tele che raffigurano il seguito della nuova "normalità" dove la parola esistenza assume un sapore sconosciuto e da riconquistare, se è possibile, respiro dopo respiro, un respiro diverso e adattabile al nuovo panorama offerto dal "day after".
Baj intinge il dito nella piaga con creativa perseveranza cercando in ogni occasione dei collegamenti oggettivi alle sue denunce pittoriche affinché la gente non creda mai di essere semplice spettatrice di un evento bensì l'interprete o la vittima, magari di riflesso o in posizione più defilata, di ciò che viene rappresentato. Nessuno si deve sentire escluso a propria discolpa da questa reiterata incursione alienante nei peggiori incubi scatenati da un tempo di paura quotidiana per una catastrofe che potrebbe cambiare i connotati e il senso del mondo. Se il nostro artista ha interpretato con puntuale terribilità le angosce planetarie degli anni da lui accesi nel cuore delle situazioni non ci è di particolare conforto poiché le soluzioni risiedono di solito altrove, in altre mani, in altri pensieri abituati a convivere col mostruoso non sotto forma di rappresentazione ma sotto forma di vita abituale da manovrare, da blandire o da tiranneggiare, da trattare al massimo alla stregua di un soprammobile che può indurre qualche sussulto di sgomento ampiamente passeggero per chi è abituato, novello Mitridate, a ben altre atrocità da ingurgitare con ricorrente noncuranza. L'apocalisse (in questo caso la "nostra" personalissima apocalisse) prolifera anche nel terreno fertile dell'indifferenza, dell'omologazione, della patinata superficialità. Baj conosce perfettamente l'argomento e le sue applicazione attuali non solo per aver frequentato culturalmente le apocalissi medievali, i giardini di Bosch o i più recenti travestimenti di Picasso, ma per la chirurgica attenzione con cui ha saputo leggere la contemporaneità attraverso qualche suggerimento di un passato anche lontano. Infatti le apocalissi si rinnovano a dismisura come gli errori dell'uomo che non intende chiedere mai soccorso, in certi frangenti, all'intelligenza.
Baj enuncia e denuncia, Baj spalanca le porte di quegli inferi che possono identificarsi con quelle di casa o dell'inconscio o di un commissariato di polizia o di una caserma o di una discarica (di rifiuti o di corpi o di anime) o di un luogo qualunque di potere assoluto. Possiamo dunque identificare l'inizio dell'avventura artistica del nostro personaggio col movimento nucleare da lui fondato nel 1951 insieme a Sergio Dangelo e col suo primo libro d'artista ispiratogli nel 1952 dal de rerum natura di Lucrezio. I due eventi esprimono i lati contrastanti dello stesso problema: l'atomo, le sue interpretazioni e i suoi usi. Così annota Baj: "Lucrezio si compiace talvolta a immaginare le forme degli atomi che, ad esempio, per le sostanze dolci, devono essere ben rotondi, senza la minima asperità, tali da scivolare gradevolmente e provocare un piacevole sapore: mentre puntuti, addirittura spinosi hanno da essere quelli delle sostanze aspre, amare e sgradevoli".
Dalla suggestione di quel testo provengono le "teste solari" caratterizzate dal Cinquanta attivate e incentivate dalla cosiddetta "guerra fredda", il seguito non è da meno perché l'uomo non tiene conto delle paure e degli errori: ama ripeterli, anziché evitarli, per corroborare il proprio desiderio di onnipotenza non solo nei confronti del prossimo meno fortunato ma anche nei confronti dello stesso mondo che ciascuno di noi dovrebbe considerare se non come la Grande Madre che da sempre ci nutre, almeno come la Grande Casa da mantenere linda e accogliente. Sono pertanto seguite opere di grande impatto sociale e politico: pensiamo ai funerali dell'anarchico Pinelli del 1972 che non solo si riallaccia idealmente ai funerali dell'anarchico Galli dipinto da Carlo Carrà sessant'anni prima ma si lega strutturalmente e ideologicamente alla Guernica di Picasso (tra l'altro rivisitata artisticamente dallo stesso Baj nel 1969) come a voler far incontrare sullo stesso palcoscenico gli orrori della guerra con gli orrori/errori di una giustizia che talora privilegia una più agevole ricerca dell'opportunità piuttosto che la ricerca, impervia e scomoda, della verità. Si tratta di un'apocalisse strisciante e diffusa che va a investire argomenti di rimbalzo planetario come la nixon parade del 1974, preannunciata dalla parata a sei di dieci anni addietro, dove il potere si traveste di disumanità, dove gli "ultracorpi" o i mostri/incubi di derivazione nucleare hanno nel frattempo acquisito terreno e medaglie che rispondono adeguatamente ai feroci ghigni e agli sguardi allucinati degli interpreti in perenne tenuta di marcia e di conquista. Pertanto l'apocalisse che si avvia nel 1978 trova nutrimento in un terreno estremamente favorevole e sembra raccogliere le varie sollecitazioni catastrofiche ampiamente enunciate nei lustri precedenti. Baj si è sempre preso delle pause sabbatiche dove deponeva anche per mesi colori e pennelli per impugnare la penna e per cercare nei testi dei grandi pensatori del passato e del presente spunti utili a evitare la banalità dei gesti artistici: egli ha continuamente cercato di investire la forma di contenuti la cui vera o presunta seriosità veniva temperata e resa gradevole dal gioco delle apparenze. Una sorta di sciroppo medicinale da accettare e da deglutire grazie all'accattivante gusto di fragola o di cioccolata che ai bambini alla fine fa esclamare: "Ne voglio ancora!". Infatti i personaggi di Baj incontrano la fortuna (e anche la subdola complicità) degli infanti, che capiscono immediatamente dove sta il trucco, e la fortuna degli adulti più avvezzi a fermarsi sulla soglia dei problemi, più propensi a barattare le cose del mondo a scapito delle idee di principio, a danno di una ricerca delle motivazioni delle immagini che hanno di fronte e quindi a danno di una ricerca consapevole di sé. Dunque il maestro milanese ha deciso di prendersi a un certo punto una pausa di riflessione che gli consentisse di volgere le future immagini nella direzione più consona ai suoi ideali e critici comportamenti: "Mi diedi a interrogare le teorie e le previsioni di sociologi, ecologi, behaviouristi, psicologi e antipsicologi, iatrologi, semiologi, epistemologi e antropologi. Me ne venne un quadro impressionante ove teorie e previsioni di tanti illustri autori alimentavano quel comune pessimismo di fondo che ciascuno reca tra i bassorilievi chiaroscurali della propria coscienza, quando è alla coscienza che ci si rivolge per chiarimenti. Paura della morte? Paura della divinità? Paura del dolore? Presi quindi lo spunto da un bestsellerli otto peccati capitali della nostra civiltà di Konrad Lorenz, g e immaginai una Apocalisse divisa in tre gironi". E l'ha costruita come una sequenza di paure, di attese della catastrofe e come centellinata descrizione della catastrofe stessa secondo la successione emozionale dell'ineluttabile che tocca a chi precipita nel buio profondo della fine da non far coincidere poi necessariamente col termine fisiologico della vita stessa ma col senso desolante della sua inutilità. Non esistono risposte per chi non si è posto mai domande. E ne è derivata una costruzione mobile, smontabile e rimontabile, adattabile ai vari luoghi e alle varie strutture: emergente dal nulla sconfinato e alienante dell'immensa sala dell'Arengario del Palazzo della Ragione di Mantova oppure frantumata ed esplosa contro la parete bianca, al culmine dello scalone del Palazzo delle Esposizioni di Roma. Insomma, ognuno può costruirsela da sé questa apocalisse secondo partecipazione e cultura, in particolare collocandola in quel segreto spazio dell'anima dove vengono relegate o esposte, a ricorrente e inquietante sollecitazione, le paure del tempo che ci contraddistingue, ci consuma e in fin dei conti ci determina. Nel pensarla e nel comporla, Baj ha chiamato a raccolta tutti i gesti e tutti i pensieri che fino a quel momento avevano accompagnato il suo itinerario creativo rivolto anche alla trasparente citazione di alcuni grandi maestri di un passato recente o più lontano. Il grande lenzuolo che accoglie alle sue estremità rubamangiabambini e mangiabambini si ispira, quale dolce contrasto, al digradante cromatismo pointilliste di Seurat, da lui omaggiato nella ripetuta rivisitazione della grande jatte. Infatti la fuga ascensionale e arcobalenica del blu verso il rosso tempera per un attimo la fagocitaria terribilità dei due mostri. Altri teli di corredo si riallacciano invece da una parte alla tecnica del dripping di pollockiana derivazione e dall'altra a certe essenziali immagini rivolte, con voluto rimando mnemonico, al periodo nucleare. In particolare le "spirali" rimandano inevitabilmente al fungo atomico, mentre civetta e pipistrello, diavolo cornuto e diavolo volante si confrontano con le deiezioni di tipo zooantropomorfo scaturite dalla catastrofe. Altre forme, simili a queste, espresse preferibilmente nel bianco e nero avvalendosi della tecnica delle colature e utilizzando la spinta di un sorvegliato automatismo gestuale, invadono la scena come fondali di fuga prospettica oppure come utili sottolineature narrative. Tale complessa costruzione, che riscuote un forte impatto emozionale, vive di immediatezze gestuali e di ricercatezze pittoriche, di messaggi "poveri" (i teli in generale) e di strutture che non disdegnano la cura dei particolari da assommarsi a certe raffinatezze cromatiche (le sagome).
Il contrasto tra l'immediatezza e la ricercatezza giova, in un simile frangente, alla causa dell'artista perché pone l'osservatore in un continuo stato di necessaria adattabilità visiva che non gli consente un'agevole fuga nella contemplazione, d'altro canto resa traumatica dal frequente ricorso al frazionamento delle figure, che galleggiano contro le pareti, o alla evidente perdita della loro completezza anatomica. Un senso di smarrimento, di provvisorietà e di ineluttabilità proviene da questo affascinante e terribile racconto capace di condurre antiche sollecitazioni ai piedi del nostro tempo. Certe immagini mostruose possono riallacciarsi emotivamente ai "grilli" medievali (teste umane direttamente inserite sulle membra) o alle sulfuree visioni pittoricamente accolte, quale efficace monito per i fedeli, nel cuore delle chiese. Gli esempi sono numerosi e vanno dall'ambito paleocristiano al Rinascimento, dall'anonimo affrescatore al Luca Signorelli della Cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto. Ma Baj sembra essere stato particolarmente attratto da Coppo di Marcovaldo e dal suo giudizio universale, un mosaico concepito nella seconda metà del XIII secolo per la cupola del Battistero di Firenze. Il particolare dei dannati precipitati nell'inferno è stato indagato e sezionato dal nostro autore che ha inteso enucleare e rileggere, pro domo sua, alcuni efficaci elementi. Il più immediato rimando è Cazzorittocannibalmangiabambini, fedele trascrizione del diavolo cornuto divoratore di dannati col concorso delle serpi che gli fuoriescono dai padiglioni auricolari. A lui strettamente imparentati, dal punto di vista concettuale e formale, sono sputafuoco e mangiagiduglie variamente modulati sul medesimo tema. Il passo successivo, che possiamo per comodità investigativa far coincidere con rubamangiabambini, vede un deciso cambiamento fisionomico (il volto ha assunto le fattezze bajane di alcuni "ultracorpi") mentre permangono i comportamenti antropofagi. Una interessante divagazione sul tema riguarda cacacazzo colto nell'atto di vomitare fiotti di bisce agitando le numerose braccia e ostentando il tratto gastrointestinale col concorso di altre frattaglie. Smarrite le corna e le bocche laterali, si perviene quindi al mangiabambini, al ladro di bambini e al ladro di gemelli. Da quel fuoco (è proprio il caso di dirlo) la mostruosità dilaga in altri nuclei o frammenti collaterali e periferici mantenendo sempre elevato il clima di precarietà delle cose che si contemplano e dei pensieri che accendono o alimentano lo spettacolo nelle menti di chi osserva sentendosi, suo malgrado, parte di una allegoria dell'umana aberrazione e perdizione. Infatti ci possiamo magari riconoscere nella esibita disperazione di santa ildegarda e di linguinbocca che rimandano ad altre disperazioni: la prima allude alla caduta della figura centrale del Pinelli, la seconda ripropone l'urlo al cielo dei due personaggi collocati ai lati estremi della sua guernica. Oppure preferiamo confonderci tra i profili delle "folle", in quell'anonimato che non è affatto salvifico perché accomuna ed esalta citazioni di morte che il popolo (è la Storia nei suoi corsi e ricorsi a documentarlo) esprime e riceve come un'eco o come un boomerang. Oppure ci sentiamo isolati nelle "teste" annegate nel nulla, magari spezzati nel corpo e nell'anima oppure definitivamente smarriti nelle sagome non dipinte, relitti alla definitiva deriva di un'estrema identità.
Perfino il linguaggio, come ci dimostra Edoardo Sanguineti col suo alfabeto apocalittico graficamente interpretato da Enrico, può assumere ritmi ossessivamente infernali: "Balza bolsa la bestia babillonica,/ bruto bruco di bubbola bubbonica" oppure: "Mostri, a me in mostra, mutoli, mostrate/ mille, & poi mille no, medievalate", ancora: "Udite l'urlo di upupe ululanti,/udite le umide ugole uggiolanti"(5). A questo punto ogni scelta è un accesso alla perdizione, una non scelta equivale all'oblio definitivo che concede al massimo una sequenza gestuale di mani mozzate, di piedi, di occhi solitari spalancati sul baratro. Intanto proliferano ulteriori insidie di corredo che riempiono il vuoto dei cieli e mortificano ogni tentativo di fuga anche solo mentale. Si tratta di serpi di varia misura e voracità, di lucertole e di rane recuperate nel vasto repertorio offerto dal sopra menzionato mosaico fiorentino. E siccome l'apocalisse è un continuo fiume in divenire, Baj ha aggiunto in seguito altri interpreti suggeritigli dal fantastico bestiario di Borges: ecco pertanto spuntare nel 1983 il linguadicazzo, il patacanguro, la sirena dell'isola di patmos e lo squonk, mentre il mangiagiduglie del medesimo anno funziona da ideale collante coi cornuti primi attori della serie iniziale. Come si è potuto notare in più occasioni, il gioco dei rimandi non conosce approdi conclusivi: fa parte della vita e fa parte della cultura mentale e artistica di Baj che tiene sempre in gran conto la memoria. Infatti ritroviamo alcuni di questi protagonisti nei quaranta fogli che corredano nel 1986 la sua interpretazione del paradiso perduto di Milton dove riecheggiano, come necessari e auspicati momenti di respiro, anche certe pagine edeniche del lucreziano de rerum natura.
Altri scenari si susseguono nel tempo a mantenere sempre viva l'attenzione sulla nostra sorte messa in crisi dalla vocazione alla catastrofe, all'autodistruzione. Il ciclo dei manichini, realizzato tra il 1984 e il 1987, si sofferma su personaggi robotizzati, frutto di una completa perdita di identità, a misura di un mondo non più abitabile secondo canoni umani. Altra misura di sofferenza è il sovraffollamento planetario che Baj evidenzia nei combinatoires del 1989-90 dove gruppi di teste si comprimono, si accalcano al limite di questi dipinti frutto di assemblaggi, di disagi esistenziali e comportamentali scanditi dai titoli: 7 miliardi per il 2000, quindi 12 miliardi per il 2030. Come si vede e come sappiamo o dovremmo sapere, l'apocalisse possiede numerosi volti: alcuni sono apparentemente seduttivi come la tecnologia, i cui eccessi applicativi possono condurre allo smarrimento dell'identità di ciascuno.
Ma torniamo a Baj che ha continuato fino all'ultimo dei suoi giorni a coltivare un impegno artistico e civile rivolti alla vigilanza e all'ammonimento. le storie di Gilgamesh, concepite tra il 2000 e il 2003, possono venir considerate l'ultimo tassello dell'apocalisse e anche il suo compendio. Radunano infatti le istanze "nucleari", si soffermano sulla gestualità dei teli e delle sagome del 1978 ricalcandone l'orripilante efficacia con la proposizione del toro del cielo e dell'uomo scorpione col cazzo a pungiglione strettamente imparentati con cazzorittocannibalmangiabambini e con cacacazzo. Non a caso accolgono la gente all'ingresso della scala che conduce al Chiostro di Sant'Agostino e ne sorvegliano l'uscita: un invito e un sigillo alla visita. Con noi Baj si è fermato qui, ma purtroppo la quotidiana, planetaria apocalisse continua inesorabilmente il suo cammino. 

Luciano Caprile

 

Biografia

Enrico Baj (1924-2003), nasce a Milano, frequenta l'Accademia di Brera e contemporaneamente consegue la laurea in legge.
Nel 1951 fonda il Movimento Nucleare e partecipa ai movimenti d'avanguardia italiani e internazionali con mostre, pubblicazioni e manifesti, collaborando con Lucio Fontana, Piero Manzoni, Arman, Yves Klein, il gruppo Phases, Asger Jorn e gli artisti del gruppo CoBrA. A partire dagli anni Cinquanta è presente sulla scena internazionale e in particolare espone regolarmente a Parigi. Le mostre più significative dell'ultimo decennio della vita dell'artista hanno avuto luogo alla Pinacoteca Casa Rusca a Locarno (1993), all'Institut Mathildenhöhe a Darmstadt (1995), al Musée d'Art Moderne et d'Art Contemporain di Nizza (1998), al Musée de Chartres (2000), al Palazzo delle Esposizioni a Roma (2001). Nel 2003-2004 al Castello di Masnago (Varese) si è tenuta una mostra concernente le connessioni tra arte e poesia nell'opera di Baj; a Milano a cura della Provincia una grande retrospettiva che si è svolta in spazi diversi in una sorta di itinerario attraverso i momenti salienti della sua carriera.
Nella primavera 2004 si apre a Pontedera Cantiere Baj, una serie di manifestazioni che si concludono con la realizzazione nel dicembre del 2006 di un grande mosaico lungo cento metri sul muro che corre lungo la ferrovia a Pontedera. Il progetto per il Muro di Pontedera, costituito da dieci cartoni con collage di elementi di meccano, è l'ultima opera dell'artista, portata a termine pochi giorni prima della morte. Nel maggio 2007 la Friedrich Petzel Gallery di New York presenta una selezione di opere di Baj dalla fine degli anni Cinquanta al 2002.
Vi è una costante che dà significato, coerenza e unità alla vita e al lavoro di questo artista: nei suoi oltre cinquant'anni di attività Baj non ha mai cessato di sperimentare e di rinnovarsi, sia nella scelta delle tematiche, sia delle tecniche pittoriche e incisorie. Tra queste certamente preferito è il collage che, associato o meno al colore, applicato anche nelle opere grafiche, gli ha dato modo di utilizzare ogni sorta di materiale in un gioco combinatorio continuamente rinnovabile. Oltre alle stoffe e alle passamanerie, ai cordoni, ai bottoni, ai pizzi, alle medaglie dei Generali e delle Dame, entrano nelle sue opere, di volta in volta, vetri colorati, specchi spezzati e ricomposti, elementi di impiallacciature e intarsi, parti di Meccano e di Lego, plastiche e celluloidi, pezzi di legno e oggetti di uso quotidiano. A mezza via tra l'omaggio e la dissacrazione Baj ha rifatto usando le proprie tecniche alcuni capolavori di Picasso, tra cui Guernica e Les Demoiselles d'Avignon (1969-1970) di Seurat (1971).
Negli anni Ottanta Baj ha dipinto una serie di tele dedicate a Ubu (1983-84); e i Manichini, che fanno riferimento alla pittura metafisica e nello stesso tempo denunciano il rischio di spersonalizzazione nella civiltà dei robot e del computer (1984-87), opere in cui abbandona totalmente il collage. Lo riprende assemblando oggetti di uso quotidiano e legni nelle Maschere (1993-95) e nei Totem (1997-2000), che ironizzano sulla ricerca di un certo primitivismo oggi alla moda. Infine compie una propria personalissima ricerca del tempo perduto eseguendo una serie di piccoli ritratti dei proustiani Guermantes (1999-2000); per le sue ultime Donne-Fiume e per i Monumenti Idraulici (2002-2003) utilizza tubi, sifoni, rubinetti, eccetera: entrambe queste serie di opere sono state esposte a Milano alla Galleria Giò Marconi, rispettivamente nel 2000 e nel 2003.
Se da un parte c'è nell'opera di Baj un aspetto ludico che si esprime nella scelta dei materiali e nel gioco combinatorio del loro assemblaggio, dall'altra Baj si è sempre impegnato contro la violenza e l'aggressività del potere. A partire dai quadri nucleari che con una forte componente espressionista rappresentano gli incubi e le paure dell'uomo dopo Hiroshima, attraverso le immagini dei Generali e delle parate militari che denunciano l'arroganza e la stupidità del potere, Baj approda negli anni Settanta a tre grandi composizioni in cui maggiormente si concretizza il suo impegno: I funerali dell'anarchico Pinelli (1972); Nixon Parade o Watergate, (1974); Apocalisse (1978-2000), work in progress a composizione variabile che mette in scena il degrado della contemporaneità e i mostri generati dal sonno della ragione. In seguito i cicli dei Combinatoires e del Kitsch (1989-1990) rappresentano l'esplosione demografica alla fine del millennio e le masse affascinate dal sistema dei consumi e dal kitsch, che secondo Baj e l'unico vero stile della nostra epoca. Per quanto feroce, la sua critica è sempre temperata dall'ironia che conferisce alle sue opere una certa leggerezza: Baj non dimentica mai la lezione di Rabelais e soprattutto di Jarry e la figura emblematica di Ubu; infatti ha fatto parte del Collège de Pataphysique di Francia dal 1963 in qualità di Trascendente Satrapo.
Oltre alla sua attività di pittore e scultore, Baj è stato fertilissimo incisore: a partire dal 1952 ha realizzato più di 700 stampe, di cui una parte sono raccolte in libri d'artista che illustrano sia poeti e scrittori del passato (Lucrezio, Marziale, Milton, Lewis Carroll e altri), sia moderni quali Raymond Queneau, André Pieyre de Mandiargues, Benjamin Péret, Alain Jouffroy, Jean-Clarence Lambert, Roberto Sanesi, Giovanni Giudici, Paolo Volponi, Italo Calvino, Edoardo Sanguineti, Guido Ballo, André Verdet, Fernando Arrabal, Giovanni Raboni, Andrea Zanzotto, Raphael Rubinstein. Enrico Baj è stato anche scrittore e critico: ha redatto numerosi manifesti, ha collaborato a molti giornali e riviste e ha pubblicato un certo numero di libri.
Sue opere si trovano in collezioni private italiane e straniere e nei seguenti musei: Civiche raccolte d'arte, Milano; Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma; GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea, Torino; Fondazione Peggy Guggenheim, Venezia; Università di Parma; Musée National d'Art Moderne, Centre Georges Pompidou, Parigi,; Musée d'Art Moderne, Saint-Etienne; Tate Gallery, Londra; Stedelijk Museum, Amsterdam; Museum Boymans-van Beuningen, Rotterdam; Museum voor Schone Kunsten, Gand; Moderna Museet, Stoccolma; Museum des 20sten Jahrhunderts, Vienna; Musée d'Art et d'Histoire, Ginevra; Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarno; Musée d'Art Moderne, Skopje; Museum of Contemporary Art, Chicago; The Art Institute, Chicago; National Gallery, Washington; Australian National Gallery, Canberra.