Nall
Mostra di scultura, pittura, scultura, installazione
inaugurazione:17 giugno 2006 - h 18.30
esposizione: dal 17 giugno al 3 settembre 2006
luogo: Chiesa, Sale Chiostro di S. Agostino, Piazza Duomo, Sala della Grasce - Pietrasanta
orario: 18.30-20.00/21.00-24.00; lunedi chiuso
ingresso libero
Comunicato stampa
Presentazione
Pietrasanta, città d'arte, contribuisce alla cultura della pace con la voce che le è più naturale: quella della bellezza artistica. Della stagione espositiva 2006 di Pietrasanta protagonista sarà, infatti, l'artista americano Nall con l'evento Violata Pax. Chiesa di Sant'Agostino e Piazza Duomo ospiteranno opere scultoree e pittoriche in un dialogo intenso e coinvolgente con il grande tema della pace assente, continuamente aggredita e violata. Un percorso artistico che per due mesi, dal 17 giugno sino al 3 settembre, darà un nuovo volto al centro culturale cittadino, animato da simboli ed icone di una umanità smarrita, alla ricerca di valori. Violata Pax è un'iniziativa dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Pietrasanta con l'alto patronato di Sua Altezza Principe Alberto II di Monaco, il patrocinio della Fondazione Festival Pucciniano progetto Scolpire l'Opera, la collaborazione dell'associazione Artigianart Pietrasanta e il coordinamento della Galleria Barbara Paci di Pietrasanta.
Nella chiesa di Sant'Agostino troverà spazio un allestimento unico nel suo genere, una "liturgia barocca'. L'artista ha ideato sei opere pittoriche da applicare su altrettanti altari, a guisa di pale, raffiguranti fiori variopinti, spirali avvolgenti di foglie e frutta. Al centro, davanti all'altare maggiore, una grande croce alta quasi tre metri, composta da coloratissime tessere di mosaico, pezzi di vetro e specchio, legno, pittura. Ogni altare recherà un'installazione di candele, oggetti, frammenti, stoffe. Al centro del pavimento della Chiesa, a completamento del più tradizionale arredo liturgico, sarà steso un lungo tappeto che condurrà il visitatore dal portale d'ingresso fino all'altare centrale. All'esterno la facciata della Chiesa, divisa in tre ampie arcate cieche sormontate da una teoria di altre piccole arcate, ospiterà, in ognuna di esse, pannelli sul tema della pace ferita. Immagini di particolare intensità e di immediato richiamo.
Nella Piazza del Duomo sarà collocata una monumentale Cornice in bronzo (6x4 metri), all'interno della quale sarà possibile sedersi e riposarsi in un gioco di suggestive visioni. Ad essa si affiancherà una Colomba Ferita, alta tre metri, in bronzo, e diversi blocchi di marmo bianco di Carrara, collocati al centro della piazza e costellati da decine di colombe in bronzo.
"Si tratta di un evento nuovo per Pietrasanta - spiega l'assessore alla cultura Daniele Spina - che sicuramente può destare scalpore e meraviglia e, allo stesso tempo, generare dibattiti, e forse controversie: un'operazione di forte valenza simbolica, creata ad hoc per la chiesa e la piazza. Non a caso Pietrasanta è stata scelta assieme ad Assisi per annunciare questo forte, quasi estremo desiderio di pace intensamente sentito dall'artista. Del resto l'arte è un linguaggio universale, un alfabeto efficace ed immediato composto di immagini che arrivano dirette al cuore".
"La colomba mutila, l'imponente cornice e la grande croce sull'altare maggiore della Chiesa di Sant'Agostino - afferma Valerio Meattini, autore con Vittorio Sgarbi dei saggi critici di Violata Pax - sono le più significative stazioni di un pellegrinaggio per rivivere interiormente il dramma della pax violata. La cornice di Nall è una soglia, che c'invita a varcare il breve spazio delle nostre individuali esistenze e a ricongiungerci con l'opera e la vita di chi, nei secoli, è stato creatore di bellezza e perciò costruttore di pace.
Se l'arte, infatti, ha il diritto e il dovere di celebrare i propri valori, la forza che essa genera in chi la contempla è fra quelle che possano arrestare il saccheggio del mondo, l'oltraggio dell'anima, insomma la violenza che ci stravolge".
Critica
Pace Violata
La mostra di Nall a Pietrasanta e ad Assisi vuole trasmettere un messaggio specifico, un inno alla pace, contro la violenza quotidiana di cui siamo vittime costanti: guerre, genocidi, razzismi, crisi di valori, inquinamento, dissesti morali e scelte di vita discutibili, tutto ciò che può essere contro la persona, contro il rispetto e l'amore naturale che dovrebbe unire i popoli tra di loro. Nall risponde a queste provocazioni con il colore e la luce campiti in larghe immagini floreali e figurative, su cui risalta simbolicamente la rappresentazione di una colomba ferita che si staglia su di un'aureola d'oro in mosaico. Tanto profonda è la sensazione di male subito dall'umanità, tanto monumentale è la risposta dell'artista, composta da molteplici tessere di 'bene' e positività, tradotte anche in un immenso tappeto ed in un'alta croce in legno e mosaico all'interno della Chiesa, in vaste personificazioni femminili sulla facciata del Sant'Agostino ed in una grande Cornice affiancata da una Colomba della Pace di tre metri in bronzo in Piazza del Duomo, realizzate a Pietrasanta per Pietrasanta. Si tratta di un evento diverso per la 'Piccola Atene', che sicuramente può destare scalpore e meraviglia e, allo stesso tempo, generare dibattiti, e forse controversie: un'operazione di tale portata non era ancora stata presentata a Pietrasanta, creata ad hoc per i suoi prestigiosi ambienti storico-artistici, ma soprattutto con una forte valenza simbolica e religiosa. Non a caso è stata scelta assieme ad Assisi, per annunciare nel migliore dei modi questo forte, quasi estremo desiderio di pace intensamente sentito dall'artista. E noi siamo grati a Nall per aver 'osato' tanto, per aver creato un precedente, su cui poi basare una linea di moralità e spiritualità da proporre nel nostro futuro. Bisognerebbe sempre ricordare che l'arte è un linguaggio universale, usato fin dall'antichità per comunicare con tutti i tipi di gente, un alfabeto efficace ed immediato composto di immagini che arrivano dirette al cuore.
Pietrasanta, aprile 2006
L'Assessorato alla Cultura
Nall - Violata pax ferite dell'umanità Immagini per una liturgia barocca
Non ha paura della magniloquenza Fred Nall Hollis da Troy, Alabama, comunemente noto con il solo nome di Nall. E' un punto a suo favore, cosciente delle responsabilità culturali e civili che storicamente sono state attribuite alla figura dell'artista. E' un atteggiamento certamente coraggioso, incurante di possibili perplessità fra i benpensanti; così come è coraggioso un progetto artistico di grandi dimensioni e di grande ambizione etica che, passando per Pietrasanta, colleghi in un solo discorso Montecarlo e Assisi, ovvero i luoghi che in Europa rappresentano forse più di ogni altro la mondanità e la spiritualità, cosa che a qualcuno potrebbe sembrare difficile come mettere d'accordo il diavolo e l'acqua santa. Nall non si tira indietro davanti alle sfide, non disdegna l'azzardo, anche quando si dovesse sfiorare il limite della contraddizione. La magniloquenza non è un peccato. E' sbagliato identificarla nell'abuso di retorica, come vorrebbe un'accezione semantica ormai dominante. Tutta la grande arte del passato è stata magniloquente. Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Raffaello, Michelangelo sono stati artisti magniloquenti, spesso in maniera sfacciata. Non possiamo negarlo, non possiamo fare finta che non lo fossero, credendo che quegli artisti si preoccupassero solo di fare arte allo stato puro, art pour l'art, libera da ogni altra preoccupazione che non potesse giustificarsi all'interno di sé stessa. Perché l'arte dei tempi di Giotto, Masaccio, Piero della Francesca,Raffaello, Michelangelo fosse giudicata grande, doveva trattare gli argomenti "grandi": l'historia, la morale, la religione, la filosofia, il senso della natura, i massimi sistemi. Per trattare gli argomenti "grandi", l'arte doveva necessariamente conformarsi ad essi; doveva, cioè, esprimersi "in grande", che non vuol dire, o non vuol dire solo, impiegare il grande formato, ma ricorrere ai toni alti, fare la voce grossa e impostata, usare vistose simbologie, esibirsi in pose eroiche. Era certamente una questione di decorum, di adeguatezza della forma alla nobiltà del contenuto, ma anche il bisogno di elaborare uno strumento di persuasione in grado di raccogliere la giusta attenzione da chi ti guarda, di impressionarlo, di coinvolgerlo emotivamente, eventualmente fino a travolgerlo. Il che significa che in arte, la magniloquenza è retorica che tende a far sfociare la forma in spettacolo. Non sono forse spettacoli, teatri da guardare a bocca aperta, sentendo addosso tutto il peso della loro grandezza, la Cappella degli Scrovegni, la Trinità di S. Maria Novella, la Leggenda della vera Croce a Arezzo, le Stanze Vaticane, la Cappella Sistina? Con il Barocco, la magniloquenza ha raggiunto il suo culmine: non più uno strumento, ma il fine stesso dell'arte. Tiepolo è stato l'ultimo, grande artista della "magniloquenza per la magniloquenza". Poi, a partire dall'Ottocento, la contrapposizione fra modernisti e tradizionalisti ha finito per relegare la magniloquenza nell'ambito dell'accademia. Di qui l'accezione negativa assunta dalla magniloquenza, come sinonimo del peggiore passatismo, di ricorso reazionario a forme antiche e grandiosità fuori luogo, vuote, kitsch, incapaci di comunicare con il mondo moderno. Mentre la magniloquenza era ancora strumento prediletto dell'arte di Stato, non solo nelle dittature totalitarie, l'Avanguardia preferiva prenderne le distanze rinchiudendosi nelle gallerie, nei circoli, nelle case private. Una distanza che si ripercuoteva anche sulle tematiche affrontate, portando l'Avanguardia a un'impropria identificazione fra la magniloquenza e gli argomenti "grandi" che solitamente veicolava. Così l'arte moderna ha finito per battere i sentieri prevalenti del disimpegno dal mondo reale, dai problemi in cui esso era coinvolto, dalla riflessione sul senso delle cose, anche quando gli artisti mostravano nel proprio intimo un interesse spiccato per queste materie. L'arte doveva essere discorso indiretto e sublimato, distacco dal mondo, dalla sua corruzione, dalla sua volgarità, eremo beato in cui confrontarsi solo con le esigenze espressive e spirituali di esseri speciali, non accomunabili agli uomini qualsiasi. L'arte, per certi versi, tornava a essere art pour art, discorso per pochi privilegiati, per un numero limitato di operatori del settore e di appassionati. Va dato merito a Nall e al regista dell'operazione Alberto Bartalini di avere voluto infrangere certe abitudini e certi luoghi comuni. Anche a rischio di sembrare a qualcuno un retrogrado, Nall si rifiuta di fare un'arte che non parli in prima persona e non faccia discorsi diretti nell'affrontare le grandi tematiche morali dell'attualità. Allo stesso modo, Nall vuole fare riferimento a un'idea dell'arte che recuperi la magniloquenza in quanto equivalenza di retorica e di spettacolo. E' un modo per ripristinare un antico rapporto con la migliore arte del passato, cosa che sta certamente a cuore a Nall, ma anche per stabilire un rapporto corretto con la modernità. Viviamo in un'epoca che non a caso è stata definita da Guy Debord come quella della "società dello spettacolo":tutto ciò che non è apparente e appariscente, dunque che non è in grado di evidenziarsi dall'ordinario, non è in grado di comunicare a largo raggio. Bisogna usare i toni alti per farsi sentire da un uditorio sempre più vasto, e non c'è dubbio che Nall aspiri a parlare al maggior numero possibile di persone. Il rischio, come sosteneva Debord, è che l'apparire diventi un gioco sociale talmente vasto e capillare da farci dimenticare l'essere, la sostanza che ci dovrebbe essere dietro l'immagine. Nall è consapevole di questo pericolo: non vuole abusare dell'apparire, in questo caso di un ciclo mastodontico che si dirama in cinquantadue opere, alcune di dimensioni colossali e en plein air, fatte per coinvolgere la gente qualsiasi. Non dimentica di trattare lo spettacolo come uno strumento, non come un fine, e che a quella gente bisogna parlare di cose serie. Il fine è altro, è il concetto alla base del ciclo della Violata Pax: un messaggio che riflette criticamente sui destini del mondo contemporaneo, rilevandone con sconcerto la degenerazione dietro la spinta degli istinti individuali e collettivi più bassi, la vanità, l'invidia, la sopraffazione, la violenza, la discriminazione razziale, riportando la contingenza storica del momento a termini di universalità che potrebbero valere ieri come domani. Vuole essere un Savonarola dei nostri tempi, Nall, un generico fustigatore del male? Non credo. Sebbene il tema religioso non possa non essere attraversato da questo ciclo, ho l'impressione che Nall sia sufficientemente laico per guardare al genere umano in modo disincantato. Nall non vuole essere moralista, un profeta di disgrazia che invoca la punizione del Cielo su questo mondo in via di perdizione. Non vuole nemmeno invocare l'aiuto della Provvidenza come unica possibile salvezza, con gli uomini che da soli non sarebbero in grado di procurarsela. Sarebbero visioni medievali che, per quanto non prive di suggestione nell'artista
Vittorio Sgarbi
La soglia e la cornice "Che cosa c'è qui e ora?"
Indubbiamente una messa in scena, in cui la grande cornice bronzea di Nall è accolta qui e ora, nella e dalla piazza di Pietrasanta dove il duomo, il campanile, il Sant'Agostino, la rocca del Castracani e le reliquie della rocca di Sala sono da secoli le dominanti visive e monumentali. Si tratta, però, soltanto di una temporanea collocazione che lascerà il posto ad altre sistemazioni?
Dipenda da noi. Sappiamo vedere che la grande cornice non è soltanto un ospite effimero della piazza, ma cattura e riconfigura dalle sue sempre diverse prospettive quei monumenti? che quanto quotidianamente è appena sfiorato da uno sguardo assuefatto è ri-tagliato ora da questa e in questa vuota-non-vuota architettura? In uno spazio che è teatro d'arte e proscenio dell'arco apuano, in cui un tempo innumerabile ha compresso e formato la più nobile (per secoli) materia della scultura, una bronzea intelaiatura si staglia e ritaglia nuove possibilità alla vista. Non s'impone, non compete, ma dialoga. Lo sguardo non può ignorare la cornice e la cornice, in quanto 'vuota', non può ergersi in piena autonomia davanti a noi, l'attraversa il 'non vuoto' che è costretta a testimoniare. Questo framezzo, che è la cornice, non è un semplice trovarsi qui; i suoi scorci ridelimitano quanto l'attraversa. Come framezzo, la cornice è un emblema che ci costringe a sostare, a sospendere il nostro sorvolare disattento. Ci dispone a passare e ripassare, ad attraversare. Ecco allora che la cornice non è più soltanto una grande intelaiatura per nuove, semplicemente curiose inquadrature, ma un telaio in cui si fila il tempo che da essa separa e una soglia che divide il modo usato di condursi, rispetto all'avvicendarsi o incontrarsi casuale delle opere d'arte, da un impegno a capire arte. Capire arte, capire questa possibilità umana, tornare a pensarla, vincere la propensione a farci di bocca buona, sottrarci alla mania di 'avvenimenti' (in verità pseudoavvenimenti che confidano nella nostra partecipante credulità e dabbenaggine) e al terrorismo verbale degli 'esperti', è quanto possiamo fare raccogliendo l'invito silenzioso della soglia. Traversando la soglia-cornice soltanto spazialmente ci troviamo in un luogo circoscritto; temporalmente, invece, si apre uno slargo, tanto più ampio e profondo quanto più la nostra attenzione evoca e convoca il nostro provenire. Ma, chi ha progettato la soglia-cornice? Nall, è la risposta. Nall che è anche l'autore delle colombe disseminate nella piazza e della fastosa multicromatica croce sull'altar maggiore del Sant'Agostino, cui conduce una lunghissima variopinta guida dello stesso autore,che, in quadri avvicendantisi sugli altari laterali, libera il suo tripudio delle stagioni, la loro piena gloria e la loro estenuazione. Croce che non è patibolo, ma già resurrezione - come in certe opere medievali, e mi sorprendo allora a pensare alla gemmata croce della mirabile Deposizione di Benedetto Antelami nel duomo di Parma -; e stagioni che rispondono alla mitologia e alla voluttà panica dell'artista, alla sua viscerale grammatica di oggetti, forme, colori, allusioni che si compenetrano a dispetto della più stupefacente etorogeneità, come se tutti gli elementi primordiali del mondo pulsassero all'unisono nelle sue opere e compissero incessantemente il ciclo della vita. Nall espressionista, simbolista,vitalista, ideatore di immagini dette da un segno senza storia,scrupoloso e al contempo paradossalmente indifferente. Nall che convoca tante componenti della tradizione dell'arte, il fiorire e dissolversi della vita, in stupefacenti e disorientati realizzazioni, Nall tentatore di ogni tecnica Nall? Certamente, Nall può essere tutto questo e chissà quanto altro ancora, ma noi abbiamo il diritto di fermarci al semplice esercizio delle analogie, dei rimandi, delle spiegazioni per continuità o contrapposizione, a quell'armamentario del critico che troppo spesso gira e rigira intorno alle opere, descrivendoci quel che già vediamo bene da noi? O non abbiamo forse il dovere di porci, in questa piazza e al cospetto di questa soglia-cornice, le domande su che cosa attraversi la cornice e a che cosa la soglia conduca? Dicevamo che l'opera di Nall ri-configura, in quanto cornice, lo spazio d'intorno; in quanto soglia, invece, porta l'attenzione sul nostro provenire. Così, noi già sappiamo che oggi "non è il primo giorno del mondo" (come invece sosteneva polemicamente Blaise Cendras). Ciò che attraversa la soglia-cornice e vi sosta è una differenza di stili e di modalità espressive, è un tempo concretatosi in tante storie. Il framezzo, che è la soglia-cornice, ci costringe ad una diaspora temporale, a convocare le assenze-presenze che rendano comprensibile la distanza fra quest'opera e le opere che essa ri-quadra e su cui si libra, e che ci diano la ragione e la misura del perché non si tratti di oggetti, ma di opere che, appunto, continuano ad operare, rendendo di rimando operante l'astanza della bronzea intelaiatura che le presenzia, tenendole nella loro differenza. Perciò davanti alla soglia-cornice di Nall siamo costretti a sostare interrogando un lungo passato che a noi sembra presentarsi unitario nel suo linguaggio, ma che ha anche dietro le spalle una più recente stagione in cui si è consumata la disarticolazione di ogni linguaggio artistico, celebrata ogni dissoluzione e fin la negazione dell'arte. Lo scenario della piazza di Pietrasanta accoglie, dunque,questo cuneo temporale intriso di tutti i tentativi e gravido di ogni scelta. La scena, però, riapre al dialogo, grazie ad un artista che raccoglie in noi le forze e la potenza evocativa della figura che trasfigura, del segno che trapassa la rappresentazione e rintraccia nell'animo di chi guarda gli elementi del mondo e della vita. Cesare Brandi sosteneva che l'opera d'arte è un fenomeno-che-fenomeno-non-è, una realtà senza esistenza, perché in quanto esistenza l'opera d'arte è un oggetto fra gli oggetti, se non si riaccende nell'interiorità di chi la vive. Più profondamente (forse) Giorgio Colli pensava che l'opera d'arte fosse una particolare forma di ri-presentazione dell'intreccio originario di gioco e violenza che è nel fondo della realtà, uno "strappo" nella tessitura del tempo che ha irrigidito la sue sequenze e che l'arte nuovamente riaccende percorrendole a ritroso, in un ricongiungimento che va alle spalle del mondo come ormai si è costituito. Qui e ora restituisce la soglia-cornice a ciò che lascia intra-vedere, alla vita e alla perizia che gli artefici di un tempo vi destinarono? Scioglie la presenza muta della monumentalità nel dialogo che riattinge la forza propulsiva che in quelle opere si è arrestata realizzandosi,ma che in noi può tornare operante? E la grande cornice,la trascolorante croce, le colombe e le stagioni sanno parlare di sé e della loro differenza che vuol essere e negarsi nel dialogo fra opere? Soltanto l'eccellenza artistica di ciò che si dà nello scenario può sciogliere questi interrogativi, dipende, però, anche da noi con che cosa torniamo a casa.
Valerio Meattini