Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Il "linguaggio" dell'iride

Tommaso Cascella


Opere di pittura e scultura

inaugurazione: 1 aprile 2006 - h 17.00

esposizione: dal 1 aprile al 7 maggio 2006

luogo: Sale del Chiostro di S. Agostino - Pietrasanta 

orario: 16.00-19.00; lunedi chiuso

ingresso libero


Comunicato stampa

(versione in pdf)

 

Modulazioni tonali che rivelano profondità insondabili per un viaggio nell'inconscio dove l'emozione ha origine. E' questa l'opera di Tommaso Cascella che l'Assessorato alla Cultura del Comune di Pietrasanta presenta, dal 1° aprile al 7 maggio 2006, nel Chiostro di Sant'Agostino. Un ampio percorso - oltre 25 tra opere pittoriche e di scultura - che ripercorre il pensiero creativo più recente dell'artista.

 

Pittura e scultura sono per Tommaso Cascella linguaggi naturali, il frutto di un'eredità tramandata di generazione in generazione. La sua pittura è incline a una trasposizione tridimensionale, in simbiosi con la sua scultura in bronzo. Le intense composizioni cromatiche sono vere e proprie architetture costellate di simboli, quasi un alfabeto alchemico carico di significati universali. Si avverte la volontà di contaminare la vista con il tatto, la superficie liscia del colore con una stratificazione di gesti e di segni, il piano ideale della pittura con vistosi inserti materici.
Le sculture, ancestrali e primitive, rivelano un ordinato cosmo di simboli. Forme ellittiche, semicircolari, sferiche, che disegnano elementi primordiali.
"E il colore? Il colore è la luce - scrive Vladeck Cwalinski nel saggio critico del catalogo - la vita che si agita e cresce attorno, l'ambiente naturale nelle quali sono disposte, la polvere che le accarezza, si posa, l'ombra che proiettano, siamo noi che le osserviamo e, per questo ci mettiamo in relazione con esse".
Le sculture più recenti hanno un tono che varia dal verde al rossastro e sono in rame, materiale estremamente malleabile. Appaiono interamente giocate sull'equilibrio di elementi geometrici come la retta, il piano, l'arco, il cerchio e il cono.
I titoli delle opere sono spesso presi in prestito dalla letteratura, a testimoniare la profonda passione di Cascella per i libri e la sua esperienza diretta in una casa editrice e in una stamperia d'arte. Titoli poetici, che diventano parte integrante dell'opera stessa.

 

"Con Tommaso Cascella - spiega l'assessore alla cultura Daniele Spina - va avanti il percorso dedicato all'arte contemporanea ed ai suoi linguaggi più significativi. Una mostra importante, che apre la ricca vetrina degli appuntamenti espositivi della stagione estiva a Pietrasanta".


Mostra: Il "linguaggio"dell'iride
Artista: Tommaso Cascella
Date esposizione: 1 aprile - 7 maggio 2006
Inaugurazione: 1 aprile, ore 17.00
Luogo: Chiostro di Sant'Agostino - Sale Putti e Capitolo, giardino
Orario apertura: 16,00-19,00 / lunedì chiuso
Ingresso: libero


Ufficio Stampa Assessorato alla Cultura
Comune di Pietrasanta
tel. 0584/795500; fax 0584/795588
e-mail: cultura@comune.pietrasanta.lu.it
www.museodeibozzetti.it

 

Presentazione

Grandi campiture di colori primari ci introducono alla pittura di Tommaso Cascella, che questa primavera viene presentata nelle Sale del Chiostro di Sant'Agostino di Pietrasanta. Linee che creano forme agili e leggere, modulazioni pigmentarie che delimitano aree dai morbidi confini, giochi di colori che s'intersecano e sovrappongono in aeree definizioni, rapiscono lo spettatore, che ignaro si lascia trasportare in mondi 'altri' di inconsistente materia ed imperante fluidità cromatica.

I colori del cielo e della terra, del mare e dell'infinito si presentano profondi ed intensi in composizioni ritagliate solo dall'imposizione della cornice, che sembra infatti quasi che imponga i suoi definiti parametri ad un flusso altrimenti inesauribile ed infinito.

A tale susseguirsi ponderato di colori, si accompagnano nel Giardino e nel Chiostro le sculture in bronzo dell'artista, caratteristicamente connotate da grande levità ed equilibrio strutturale. I segni dei suoi dipinti diventano tridimensionali, visivamente modulandosi a seconda del contesto in cui sono collocati. La statica si trasforma arte nelle sue opere, che richiedono un'accurata scelta nella ripartizione dei pesi, e che ricevono forza proprio dai punti di sospensione che ne scandiscono lo studiato equilibrio: l'essenzialità delle linee premia la raffinatezza del segno, che a sua volta, tagliando lo spazio, genera la scultura.

Siamo grati a Tommaso Cascella per aver animato il Chiostro di Sant'Agostino con le sue opere, che si distinguono per la leggerezza del segno e per l'evidente poliedricità, e che invitano lo spettatore ad una stimolante ricerca interiore, riflessa da e nell'opera stessa.
L'Assessorato alla Cultura

 

Critica

Il "linguaggio" dell'iride

Con il suo taglio di capelli Tommaso Cascella assomiglia molto più al volto di un imperatore romano impresso su un nummus aureus, rinvenuto durante uno scavo, all'immagine di un Ottaviano Augusto o di un Sulpicio Severo che a un artista. Ma, tant'è, si vede, e qui la fisiognomica sembra proprio dimostrarlo, che la discendenza da una tradizione, e una pratica e una sensibilità poetica, artistica familiare, consolidata e riconosciuta (a tal punto che il grande Raffaele Carrieri per indicarli aveva coniato l'appellativo di Dioscuri ), in questo periodo, vale molto di più di altre competenze o knowledges vere, o presunte tali. La pittura di Cascella, perché qui anche di pittura si tratta, (lui la chiama "pratica monacale desueta"), solo in una visione parziale sembra disposta per campiture apparentemente piatte. Ma in realtà assume in sé una concentrazione cromatica che rivela una profondità arcana e assoluta. Sublime. Vengono alla mente, per quanto riguarda le cromie, riferimenti internazionali quasi obbligati: naturalmente, Osvaldo Licini, quello degli anni Cinquanta, dei notturni e delle marine. Certo. Ma, le forme flessuose soprattutto, hanno 'assorbito' per trasformarle in visioni assolutamente originali, non epigone, quelle di Willem De Kooning, nel periodo immediatamente precedente la serie delle Women, quello di Pink Angels, di Mailbox, Gansevoort street, e, anche, il sentimento delle composizioni surreali di Sebastian Matta, il grande "vecchio socialista" cileno, suo maestro, che gli insegnò a sentire il colore, a vederlo, a respirarne il profumo inatteso; quello di The vertigo of Eros, conservato al Moma, che passa dal monocromo a tinte sfolgoranti, solo per citare una sua opera particolarmente conosciuta. Ma anche Kline, Motherwell. Questi parallelismi storici, visto che Cascella è cresciuto nell'ambiente dell'arte in maniera assolutamente pratica, concreta, non intellettualistica, risultano utili ma parziali, perché lui rispetto alla School of New York possiede un lirismo più modulato, ironico, meno aggressivo. Decisamente più europeo. Con rimandi anche mediterranei che vanno dal romanico al Cinquecento. Potrebbe far venir in mente per le stesure anche un Antoni Tàpies, dal quale però si distingue per una concezione cromatica meno austera e, quindi, diametralmente opposta. In questa sua caratteristica peculiare ha giocato, certo, la sua esperienza giovanile di editore e stampatore del 'Cervo Volante' e quindi il confronto continuo e assiduo con i colori dei dipinti. Ma non solo. Sono ponti gettati nel vuoto cosmico, negli spazi dimenticati dai raggi solari, verso galassie lontane. Per tentare di colmare la distanza, incolmabile, tra noi e le stelle. Servono solo in parte, dunque, a cercare di definire l'originalità del suo lavoro. Un collegamento utile allo storico, quindi, ma non all'osservatore attento. Come se fosse possibile fare paralleli tra percezione e percezione, occhio e occhio, cuore e cuore, vita e vita. Maggior attinenza all'originalità di questa vera e propria visione del mondo, fluida, non incasellabile, sempre in fuga, che può, se recepita, trasformarsi da un momento all'altro in qualcosa di inaspettato, si ottiene, invece, con un'appassionata, insistente e accanita osservazione dei tessuti cromatici. Composizioni molto classiche, equilibrate, popolate da segni, incollati, incisi o distesi con un dripping millimetrico, mai urlato. Sempre con delicatezza, moderazione, tatto. A prima vista i suoi dipinti, appaiono subito orchestrati in modulazioni tonali, talvolta da colori primari, il rosso, il giallo e il blu, di cui Cascella non ha affatto paura, che rivelano profondità inaudite, insondabili. Si tratta, quindi, di veri e propri stendardi, la cui composizione pesca nell'inconscio, dove il pensiero ha origine, nella pre-consapevolezza più recondita dell'anima. La differenza tra astratto o meno, dato che per un pittore nulla è più concreto e reale di un colore, d'un accostamento, d'una linea, oggi non ha più ragione d'esistere. La loro relazione segreta però è indubbia ma estremamente difficile da scandagliare, quanto una galassia o le profondità dell'anima. Ben consapevoli che le parole sono insufficienti a descrivere un tono. Si osservi, ad esempio, D'una eterna rovina, superficie graffiata eintercalata da inserti neri arcuati, con svolazzi, che s'inseriscono, sottili ma decisi come antenne, nella notte, profonda, ma serena, del blu, modulato per toni dove fanno la loro comparsa, anche, toni neutri. Talvolta qualcuno di questi ognuno con una sua caratteristica, un suo timbro, s'inserisce nell'intercapedine lasciata tra una forma flessuosa e un'altra, come un'impronta, per colmare gli spazi di vuoto. Così è per L'occasione degli eventi, delicato e colto, tenue, raffinatissimo e sottile, tutto giocato sulle infinite variazioni tonali del grigio, il colore dell'attesa, (e solo lui sa quanto questo dipinto, inconsciamente, contenga dell'ambiente della vecchia soffitta di Roma nella quale è cresciuto come "dentro a un quadro di Burri") silenzioso e immobile, in una quantità di variazioni, dal nero fino all'argento, disposto in maniera copiosa, libera e immediata, con screpolature volute, cercate. In alto a sinistra, s'osserva anche un ironico timbro, che assomiglia più a un contrassegno postale che ad altro, il quale potrebbe quindi alludere al poetico titolo. Infatti, talvolta, sono proprio questi segni apparentemente casuali che popolano le sue tele ad apparire ai nostri occhi come misteriosi protagonisti rivelando analogie e, talvolta, vere e proprie chiavi di volta nella lettura delle sue composizioni. Ma questo sfasamento è una rilettura personale, originale della pratica surrealista, per cui i titoli, davvero poetici, diventano parte integrante dell'opera. E' uno sfasamento, inconscio, sempre nuovo, sempre inaspettato, che crea dei problemi a chi osserva. Crea degli equivoci nel rapporto con l'osservatore. Dei rimandi. Il sole che si deforma, invece, contiene in sé la massima luminosità legata a tutti gli acuti del giallo, il colore del Solis cursus. Squilli di tromba di una marcia trionfale. Da quello, pieno e caldo, caratterizzato da una concentrazione estrema, potente, a uno più tenue, chiaro ma intenso. E' lui il paladino dell' ante lucem, quello che vuole sedurti un po' alla volta, per accenni, prima dello spuntar dell'alba. Disposto con dosaggi sapienti talvolta lascia spuntare la tela grezza, altre invece è lasciato lì, a caso, per accenni, in piccole parti, come a decantare. Altre opere, come Corpo acido, invece, sono costruite su un contrasto solare, ma spigoloso, appunto, tra rossi tulipano e fucsia venati di rosa, oppure di bianco, tra l'arancione puro e quello terroso, come faville o lapilli che si scontrano, fuoriusciti da un'eruzione vulcanica. Le sue geometrie, se si può parlare così di esse, piuttosto che d'una visione sinfonica della linea, non sono mai rigorose ma accennate, poetiche, in un certo modo quasi una specie di preludi. C'è dell'ironia in questo, senza dubbio, un non fidarsi troppo degli schemi rigidi, ma piuttosto scommettere sull'imprevedibile, su qualcosa che potrebbe accadere. Altre opere invece, una serie di lavori come Senza impronte, Senza Sindone, Appena squillata, presentano inserti metallici in ottone che hanno lo stesso compito che in altre è svolto dalle sue linee. La loro struttura, (che mi ricorda, in parte, un concetto simile a quello espresso da Lucio Fontana nei suoi Teatrini), ha qualcosa di scenografico, come se presentasse alcuni silenziosi personaggi davanti ad un panorama. "L'arte astratta non esiste. Si deve sempre partire da qualcosa ", diceva Pablo Picasso, in una delle sue espressioni più felici. Così è per Tommaso Cascella. Si osservino opere come Affabulando fabula, o Sotto arcate di nulla sono caratterizzate, invece, da inserti in legno, che si appoggiano sulla tela con fare delicato, mai violento. E' come se avesse assorbito dal suo ambiente nativo, dai colli romani, ma soprattutto dall'opera umana dalle vestigia passate, mura, cornicioni, colonne, capitelli e pietre, i colori del travertino, basalto, celticum, lunense, carystium, laterizio, porfido, granito, mattone, calcestruzzo. Colori, suoni e percezioni tattili, quindi, e li avesse trasformati, come a noi non è dato sapere, in un vero e proprio "linguaggio", termine da me aborrito, ma che, in questo contesto, mi pare proprio insostituibile. Le sue sculture ancestrali, primitive, arcaiche e dal forte valore simbolico, che per alcuni aspetti possono assomigliare a quelle filiformi dell'Alberto Giacometti del periodo surrealista, sono invece esempi di un cosmo ordinato da una mente Suprema, (Anghelikós, ma, senza elementi ribelli, nemici), che il termine "intelligente", vale appena a descrivere, tanta è la sproporzione, incommensurabile per le nostre povere menti, mortali, euclidee. Queste forme ellittiche, semicircolari, sferiche, disegnano quindi costellazioni, orbite, talvolta di pianeti guerrieri, come nel caso di Marte. Si tratta di un vero e proprio processo di decantazione della pratica scultorea nei suoi elementi primordiali, primigenii. Dai dolmen ai menhir, dalle costruzioni nuragiche alla disposizione delle statue dell'isola di Pasqua, dai ruderi di Roma Antica, scavati, da ragazzino, presso il Teatro di Marcello, agli etruschi. Mai la teoria ha portato alla pratica in Cascella ma esattamente il contrario. E' come se le strutture dei suoi dipinti, quelle appena accennate, ironiche appunto, qui prendessero vigore e una solidità straordinarie, disegnando longitudini siderali. E il colore? Il colore è la luce, la vita che si agita e cresce attorno, l'ambiente naturale nelle quali sono disposte, la polvere che le accarezza, si posa, l'ombra che proiettano, siamo noi che le osserviamo e, per questo ci mettiamo in relazione con esse. Niente e nessuno può fermare il colore. Così come la musica e la vita, d'altronde. Le sue ultime hanno un tono che varia dal verde al rossastro e sono in rame, metallo particolarmente malleabile. Spesso appaiono particolarmente giocate sull'equilibrio di elementi geometrici, quali la retta, il piano, l'arco, il cerchio, il cono, talvolta inseriti in strutture cuboidali, in cui si giocano equilibri precari, 'pericolosi', appunto, come allude uno dei suoi ultimi titoli. D'altronde il pericolo è sempre in agguato anche dietro, o dentro, le situazioni che dovrebbero essere più protette. Trasporto di piume, invece, visto il dondolio cui viene sottoposta tutta la struttura, porta in sé, un elemento cinetico, che permette allo spettatore d'interagire con l'opera con la semplice pressione del dito, in un'atmosfera surreale, spostando questi elementi astratti. Talvolta compare anche il numero 8, che è anche simbolo d'un legame che non si spezza, infinito e continuo pur tra i piani che s'incurvano sotto la forza della spinta opposta del disco. Qui la partita si fa drammatica, carica di tensione, e l'arco che deve reggere queste due forze, incommensurabili, eppure necessarie l'una all'altra si tende. L'8, l'infinito, dialoga in equilibrio, precario, drammatico, con un cerchio, o disco, forma ideale alla quale, assai prima dei tempi di Leonardo da Vinci, che l'adattò nei suoi disegni alla mentalità umanistica, s'è sempre legata l'idea di una presunta perfezione, umana, della quale l'uomo è solamente un riflesso. Ferito. Perché il cielo, per cui siamo fatti, nonostante tutto, rimane il cielo. Più in là. Incommensurabile. Oltre.

Vladek Cwalinski

Biografia

Tommaso Cascella nasce a Roma nel 1951. La pittura e la scultura sono per lui linguaggi naturali, frutto di un'eredità plurigenerazionale. La sua pittura è incline a una trasposizione tridimensionale, in simbiosi con la sua scultura in bronzo. Le intense composizioni cromatiche di Cascella sono vere e proprie architetture costellate di simboli, quasi un alfabeto alchemico carico di significati universali. Pittura e scultura vengono trattate con la volontà di contaminare la vista con il tatto, la superficie liscia del colore con una stratificazione di gesti e segni, il piano ideale della pittura con vistosi inserti materici. I titoli delle opere sono spesso presi in prestito da poesia e letteratura, a testimoniare una profonda passione per i libri - Cascella si è infatti anche occupato di una casa editrice e di una stamperia d'arte. La sua prima mostra personale è allestita alla Galleria di Luigi De Ambrogi a Milano nel 1985. Nel 1987 restaura un grande edificio cinquecentesco a Bomarzo (VI), dove impianta un nuovo studio. In seguito viaggia in India, allestisce la sua prima mostra di scultura a Roma, e partecipa alla XXI Biennale di Gubbio. Nel 1995 viene nominato "accademico per la scultura" all'Accademia di S. Luca, e una sua opera in bronzo viene collocata nel quartiere Tachikawa City di Tokyo. E' presente con la scultura Cielo alla XII Quadriennale di Roma, e al Kaohsiung Museum of Fine Arts di Taiwan con una selezione di opere grafiche. Dal 1997 al 2003 è protagonista di tre mostre retrospettive: a Ischia, al Palazzo dei Priori di Certaldo, e al Palazzo Orsini di Bomarzo. Negli stessi anni si susseguono numerosissime esposizioni personali in molte regioni d'Italia ma anche all'estero (Svizzera, Germania, Slovacchia, Giappone). In particolare, si ricordano le mostre Analogie del presente, allestita al Danubiana Meulensteen Art Museum di Bratislava insieme a Enzo Esposito e Armando Fettolini nel 2001, e la personale Rosssso alla galleria Spirale Arte di Pietrasanta nel 2003. Nell'aprile del 2006 verrà allestita una mostra pubblica nei Chiostri di S. Agostino a Pietrasanta.

Hanno scritto di lui: M. Apa, G. Albertini, V. Apuleo, O. Aprile Ronda, P. Balmas, G. Babini, E. Bargiacchi, E. Battarra, F. Bellocchio, M.T. Benedetti, S. Bonfili, G. Bonomi, F. Brinati, S. Bruni, S. Camin, M. Cappelletti, L. Caprile, L. Caramel, C.F. Carli, D. Carlesi, C. Casorati, C. Cerritelli, A. Cochetti, T.F. Conti, G. Cortenova, M. Cristaldi, T. D'Achille, F. D'Amico, A. D'Avossa, M. De Candia, R. De Grada, L. De Venere, V. Dehò, A.B. Del Guercio, F. Di Castro, E. Di Martino, G. Di Meglio, G. Dorfles, P. Echaurren, S. Evangelisti, M. Fauci, C. Ferraresi, A.P. Fiorillo, A. Filieri, A. Fiz, S. Fizzarotti, P. Fontana, E. Frolet, F. Gallo, E. Gallian, L. Giudici, W. Guadagnini, V. Gravano, F. Gualdoni, K. Harting, L. Lambertini, G.G. Lemaire, M. Lestingi, P. Levy, O. Lottini, M. Lunetta, P. Magi, V. Magrelli, L. Mango, G.R. Manzoni, G. Menato, M. Meneguzzo, D. Micacchi, N. Miceli, R. Miccichè, S. Misiano, F.R. Morelli, M. Novi, M. Padovan, T. Paloscia, S. Parmiggiani, F. Pietracci, E. Ragone, A. Riva, E. Santese, I. Scamperle, S. Simoni, F. Simongini, L. Spadano, A. Spatola, S. Sperandio, G. Taddeo, P. Vangelisti, L. Vega Gramunt, M. Vescovo, G. Viviani, C. Vivaldi, B. Vinciguerra.