Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Il linguaggio allegorico

Mario Sironi


Opere di pittura

inaugurazione: 8  luglio 2006 - h 18.00

esposizione: dal 8 luglio al 10 settembre 2006

luogo: Sale del Chiostro di S. Agostino - Pietrasanta 

orario: 18.30-20.00/21.00-24.00;  lunedi chiuso


Comunicato stampa

 (versione in pdf)

 

L'allegoria come chiave di lettura trasversale dell'esteso corpus di opere pittoriche di Mario Sironi, del suo parlare per simboli, per miti, per parabole. Un inedito approccio all'opera sironiana attraverso cinquanta dipinti, individuati tra gli anni Venti e la fine degli anni Cinquanta, promosso dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Pietrasanta, a cura di Claudia Gian Ferrari con la collaborazione di Andrea Sironi. La mostra si svolgerà nelle sale del Chiostro di Sant'Agostino, da sabato 8 luglio sino al 10 settembre 2006.

 

L'allegoria è una figura retorica mediante la quale un termine (denotazione) si riferisce a un significato più profondo e nascosto (connotazione), ovvero un racconto di carattere simbolico o allusivo. In questi termini viene definita l'allegoria da Antonio Marchese nel Dizionario di retorica e di stilistica (1978), ed è da questa definizione che prende spunto la possibilità di costruire un nuovo percorso attraverso le opere di Mario Sironi.
Nel grande poema sironiano l'allegoria è uno strumento praticato con dovizia per narrare l'epopea dell'uomo moderno attraverso forme e parabole, leggende e mitologie dell'uomo antico, gettando così un ponte fra la contemporaneità e le radici classiche dell'umanesimo, fino a risolvere il tema o il soggetto dato senza scivolare nella retorica o nell'accademia.

Guido Ceronetti, in un breve testo dedicato a Sironi, esprime, con il suo modo tagliente, una lettura estremamente aderente: "L'istinto del Valore, combinato con quello dell'Affinità, mi spinge infallibilmente verso Sironi, questo notissimo Sconosciuto. Sempre una sua pittura, qualche suo segno grafico, mi attraversano come un dito angelico, un brivido di conoscenza ulteriore. Forse il nome stesso - duro, chiuso, a forma di solido: Mario Sironi - è già luce improvvisa, perché con lui il contatto col grande si ristabilisce, la verità eterna e mutevole della visione è toccata. Sironi non ha mai scherzato con quel che faceva, giocare gli ripugnava come se già fosse barare. Non ha figure che mentiscono, colori vogliosi di piacere all'occhio. Vissuto, morto pazzo di verità, impone un rispetto assoluto. La sua arte è distante, non familiare, fraterna solo a chi sente, a chi cerca verità per mezzo della visione".

 

Accanto a "Melanconia", tema ricorrente dell'artista, troviamo opere i cui titoli: "Solitudine", "Lazzaro", "La tragedia", "Susanna e i vecchioni", "L'aratro", "I sette peccati capitali", sino a "Debout les morts", quasi un testamento morale, indicano come Sironi abbia usato abbondantemente questa struttura retorica per sviluppare di volta in volta tematiche o soggetti.

 

"E' con particolare soddisfazione - afferma l'assessore alla cultura Daniele Spina - che andiamo ad ospitare un percorso di tale valore artistico dedicato ad una delle figure più rappresentative del Novecento italiano. Una mostra che consentirà di avvicinarsi all'opera di Sironi attraverso una originale, quanto accattivante, chiave di lettura, quella dell'allegoria, entrando nel poema sironiano come privilegiati spettatori".

 


Mostra: Il linguaggio allegorico
Artista: Mario Sironi
Date esposizione: 8 luglio - 10 settembre 2006
Inaugurazione: 8 luglio, 18.30
Luogo: Chiostro di Sant'Agostino, Pietrasanta
Orario: 18,30 - 20,00 / 21,00 - 24,00; lun. chiuso
Ingresso: biglietto 3 euro, ingresso gratuito fino a 18 anni e oltre i 65
Catalogo: Electa

 

 

 


Ufficio Stampa Assessorato alla Cultura
Comune di Pietrasanta
tel. 0584/795500; fax 0584/795588
e-mail: cultura@comune.pietrasanta.lu.it
www.comune.pietrasanta.lu.it

Presentazione

L'altro sironiano

Mario Sironi nel 1903 -già stimato artista- dichiara che la pittura è "la sola religione della mia vita: adoro il bello e la natura; non credo ad altro". Egli ha usato, infatti, la pittura quale mezzo espressivo per comunicare la sua filosofia d'arte e di vita, sfruttando spesso il linguaggio allegorico per rimandare ad altro, ancora più profondo ed ineffabile. Il lavoro duro quotidiano, la solitudine dell'anima, l'ineluttabile sofferenza della condizione umana, il paesaggio scabro e desolato, composizioni di figure ieratiche e isolate, sono tutti temi che fanno parte dell'idioma consueto dell'artista, che in questa circostanza sono ancora più evidenti e pregnanti nel loro significato.

Un'iconografia intensa e talvolta ostica all'interpretazione, ma sicuramente contemporanea anche al giorno d'oggi, in cui la poeticità che Sironi riesce a conferire al dramma della vita sfocia in una lirica assoluta, modulata da colori, segni e tonalità che ne orchestrano in un modo quasi liturgico l'afflato. Nella tradizione delle grandi mostre estive, Pietrasanta ospita questa 'finestra' sul mondo sironiano, organizzata e curata con grande maestria e respiro dalla Dr.ssa Claudia Gian Ferrari, un'occasione peculiare per apprezzare il mondo ancora poco esplorato di questa figura retorica -l'allegoria- nell'uso che ne fa Mario Sironi. Vi emergono paradossalmente proprio un disperato attaccamento alla vita e una speranza proiettata verso un futuro migliore, che sembra però venir smentita già in nuce. In fondo, lo stesso artista, a proposito dell'equilibrio della vita, sosteneva che "il mondo è fatto come un cinema - mentre si svolge la pellicola si può essere certi che all'eroe non succede niente fino all'ultimo atto altrimenti bisognerebbe cambiare film - così è la vita e noi i burattini".
Pietrasanta, luglio 2006
L'Assessorato alla Cultura

 

Critica

Mario Sironi: il linguaggio allegorico
Analizzare l'operato di un artista attraverso lo studio di una tematica o ancora meglio di un filo conduttore di tipo filosofico, rintracciabile nel vasto contesto della sua produzione, è argomento che consente una lettura trasversale dell'attività creativa, capace di offrire all'indagine significativi schemi interpretativi e utili esegesi, e inoltre di sviscerare nel profondo la poetica che si dipana nel confrontarsi tenacemente con una certa tipologia di immagini, approfondendone le evoluzioni, i ritorni e gli allontanamenti. Questo è stato l'incipit che mi ha mosso alla ricerca di una lettura dell'opera di Mario Sironi che ancora non fosse stata indagata: una piccola sfida dalla quale è sortita l'elaborazione del progetto che oggi presento, convinta di aver centrato l'obiettivo, certamente non facile, se si pensi a quanto è stato scritto e proposto, soprattutto in questo ultimo decennio, sull'artista. Anni fa, in uno dei miei primi testi dedicati a questo gigante della nostra storia dell'arte, scrissi che il pozzo profondo e ricco del corpus delle opere sironiane ci avrebbe ancora e ancora consegnato straordinarie rinvenimenti e rivelazioni inattese, e in effetti ogniqualvolta affronto l'elaborazione di un progetto, mi ritrovo a investigare alla ricerca di opere che collimino con la linea rossa del tema dato, e a costruire un percorso che lentamente si dipana sempre nuovo, ricco di ritrovamenti o di vere e proprie scoperte, così come è accaduto per questo tema del linguaggio allegorico, sicuramente sintomatico e rilevante nel lessico sironiano, ma che in più mi ha consentito di assemblare un itinerario di immagini ancora una volta emozionanti e sovente sorprendenti. Sironi è artista assoluto ma al tempo stesso complesso: in lui si identifica un'epoca della nostra storia lungo l'itinerario costituito dalla ricchezza multiforme delle sue immagini, dall'acutezza della sua attività di critica d'arte, dall'impegno culturale e morale. La complessità dell'espressione sironiana si manifesta attraverso molti campi, dalla pittura cosiddetta da cavalletto alla pittura murale, dal mosaico alla decorazione, dal disegno alla grafica pubblicitaria, per non parlare delle illustrazioni di satira politica, che, contando soltanto quanto pubblicato, rappresentano un corpus di più di duemila fogli. Ma effettivamente il ruolo di Sironi all'interno del dibattito e dell'attività culturale del periodo non è assimilabile a quella di molti altri suoi compagni di strada.
Egli è l'artista che maggiormente incarna nel secolo scorso, la concezione filosofica di modernità. E in questo concetto di modernità si inserisce la sua posizione, umana e ideologica, di scelta, di incontro-scontro con la storia, quella di ieri e quella dell'oggi, di confronto costante e dialettico con il dibattito artistico, di forte coscienza del proprio ruolo di intellettuale, di crisi, anche, che è una caratteristica dell'uomo della nostra epoca, in cerca costante di certezze. Con la storia Sironi non solo si è confrontato ma se ne è fatto sempre protagonista con coraggio, credendo nel ruolo attivo dell'artista in una società moderna, e appoggiando il progetto mussoliniano per quel tanto che si riferiva al rinnovamento dello stato anche attraverso la cultura. Era stato interventista nella prima guerra mondiale assieme al gruppo dei futuristi, poi aveva aderito al progetto di Margherita Sarfatti, che attraverso un abile teorema proponeva una piattaforma culturale al regime fascista. La sua è la posizione di un innovatore, sempre in prima linea con i suoi scritti, i manifesti, e soprattutto le sue opere, piccole, come le migliaia di disegni, o grandi e grandissime come le composizioni murali, e poi le centinaia di dipinti, pietre miliari della nostra storia delle immagini, in cui ogni volta, non soddisfatto del risultato raggiunto in precedenza, ha il coraggio di rimettere tutto in discussione, prendendosi il rischio dell'errore, cercando e ricercando sempre una nuova ipotesi, sempre una proposizione formale mai esperita, sempre una costruzione non scontata. La sua visione del mondo è eroica, e il suo essere artista in questo ambito di valutazioni ha una valenza etica, di protagonista che non si chiama fuori, ma che affronta con tenacia il ruolo di cui si sente investito, persino quando tutto attorno crollerà e crolleranno anche i suoi ideali nel baratro della guerra, e lui si ritirerà dalla scena pubblica, ma per continuare nel silenzio della sua anima il diario per immagini cui non può rinunciare, come una necessità della psiche, liberatoria e insieme tragica. In tale contesto di scelte intellettuali e morali si colloca l'uso dell'allegoria, che nel grande poema sironiano si configura come uno straordinario strumento linguistico, per mezzo del quale poter narrare l'epopea dell'uomo moderno attraverso le forme e le parabole, le leggende e i miti dell'uomo antico. Sironi utilizza questa struttura filologica non soltanto come sviluppo concettuale delle proprie elezioni paradigmatiche, ma anche perché in tal modo getta un ponte fra la contemporaneità e le radici classiche dell'umanesimo, e riesce a risolvere il tema o il soggetto dato o indagato evitando il rischio di scivolare nella retorica o, peggio ancora, nell'accademia. Dobbiamo al Winckelmann forse il più coraggioso testo sul tema, pubblicato nel 1766 sotto il titolo "Saggio sull'allegoria specialmente per l'arte" nel quale così la definisce: "Él'allegoria è un'allusione ai concetti per mezzo di immagini e quindi una lingua generale che appartiene soprattutto agli artisti (É) è dire qualcosa di diverso da ciò che si vuole indicare, il che equivale a dire, mirare in una direzione diversa da quella cui sembra tendere l'espressione, nello stesso modo in cui un verso di un poeta antico viene usato in un senso del tutto differente. (É) Ogni segno o immagine allegorica deve racchiudere in sé le qualità distintive della cosa significata; e quanto è più facile, tanto più comprensibile diventa, così come una semplice lente di ingrandimento mostra l'oggetto con più chiarezza di una lente composta."
E' attraverso l'uso sciolto e spontaneo di questa figura retorica che Sironi realizza buona parte delle sue opere sia per quanto si riferisce alle illustrazioni di satira politica, che, e soprattutto, nello straordinario impegno della pittura murale, ma anche in molti dipinti da cavalletto, che dalla pittura murale discendono, come sviluppo o dialettica di quella ricerca. Così scrive a proposito di tale esperienza: "Quando si dice pittura murale non si intende dunque soltanto il puro ingrandimento sopra grandi superfici di quadri che siamo abituati a vedere, con gli stessi effetti, gli stessi procedimenti tecnici, gli stessi obiettivi pittorici. Si prospettano invece nuovi problemi di spazialità, di forma, di espressione, di contenuto lirico o epico, o drammatico. Si pensa ad un rinnovamento di ritmi, di equilibri, di uno spirito costruttivo, nel quale ritornino per l'arte quelle significazioni che il trionfo del realismo nordico ottocentesco aveva distrutto. E' un terreno sul quale possono fiorire infiniti germogli che, purtroppo, la pittura moderna deve invece necessariamente soffocare. Un fiume nel quale possono confluire tante correnti oggi disperse e inutilizzate. Dal futurismo [É] dal cubismo a noi, il cammino della pittura esce dall'ambito della rappresentazione naturalistica ottocentesca e crea le norme architettoniche del quadro. Crea e ritrova gli equilibri plastici e pittorici che vivono indipendentemente dal "vero" della scena osservata e definita, poiché esiste un "vero" superiore, in tutto simile all'altro, e formato da un accordo di masse, di superfici, di linee, di colore, che tessono una nuova realtà nella loro trama invisibile ma pur fermissima." Come sempre lucido nei suoi scritti, Sironi propone quindi una nuova architettura dell'opera d'arte, che tenga presente il posizionarsi del soggetto all'interno di un più vasto territorio, e questo ovviamente per quanto concerne il progetto della pittura murale, ma naturalmente anche riferendosi alle opere di minori dimensioni, nascano queste con la funzione di studi piuttosto che esercitazioni su tematiche ricorrenti. In ognuno di tali casi l'allegoria diventa elemento fondamentale e sostanziale, sia linguistico che formale, cui attingere per risolvere, con straordinarie intuizioni, temi e spazi. Personaggio malinconico e cupo, nato sotto il segno di Saturno, secondo la definizione di Panofsky, Sironi trasferisce nelle sue opere la tensione interiore, il tormentoso cammino della propria anima angosciata alla ricerca di risposte alle tante domande che affollano l'uomo moderno, e per le quali domande l'utilizzo del simbolo e del mito costituisce un meccanismo del pensiero che permette di acquietare il flusso impetuoso della coscienza. Egli è un intellettuale, ma anche un attore della propria contemporaneità e un filosofo della storia, e infine un poeta che, come scrive Freud a proposito di tale categoria, "quando ci rappresenta i suoi drammi o ci racconta ciò che noi siamo inclini a interpretare come suoi personali sogni a occhi aperti, [ci fa provare, il poeta] un vivissimo piacere e ci seduce con un profitto di piacere puramente formale". Ci seduce, certo, il genio sironiano, con le sue allegorie di volta in volta allusive a una quotidianità personale, piuttosto che trascendenti l'attimo storico, per rintracciare un salvifico pretesto che consenta di identificarsi nello straordinario passato della nostra civiltà. Scenari e territori animati e interpretati da personaggi che non discendono dalla cronaca, ma che si identificano con la storia, storia delle idee e storia dell'anima; drammatizzazioni esistenziali nelle quali Sironi affronta con audacia le soluzioni tematiche e concettuali attraverso l'immaginario, utilizzando fonti e forme, metafore e simbologie del grande armamentario dell'epopea classica, eludendo il rischio di incursioni in un'arcadia indulgente e ineffabile, panacea per le contraddizioni dello spirito, foriere di ogni disperazione. L'elaborazione linguistica della simbologia e dell'allegoria si manifesta in Sironi come mascheramento di un'abbondanza di contenuti filologicamente intensi, essenza questa indicativa di una mutevolezza, o meglio di un'irrequietudine mentale e dello spirito, attraverso cui avviene la trasformazione e la trasposizione del contenuto in forme e immagini, che di volta in volta prendono fogge di idoli, di effigi, piuttosto che di icone o di simulacri. Rivelazioni di una volontà di fare, che rappresentano la teoria ricca e preziosa delle opere, ma anche la manifestazione di un costante impegno euristico, quasi ossessivo, per comunicare attraverso la metafora i grandi e i piccoli drammi dell'uomo, o gli eventi della storia, utilizzando un coagulo di forme e di segni, di contrasti e di colori, dove le reminiscenze e le visioni, si connotano di pensieri antichi e al tempo stesso assolutamente a noi contemporanei. E' questo particolare elemento che fa di Sironi uno dei più straordinari e singolari fra i protagonisti della nostra storia delle idee e delle immagini, in quanto pur essendo assolutamente uomo del suo tempo ci parla con una lingua antica ma anche modernissima, consegnandoci un itinerario di opere fra i più esemplari del Novecento.
Claudia Gian Ferrari

Biografia

1885 Nasce a Sassari il 12 maggio da Enrico, comasco, ingegnere, e da Giulia Villa, toscana, figlia dell'architetto e scultore Ignazio Villa.
1886 La famiglia si trasferisce a Roma, dove Sironi compie i primi studi.
1900 A questa data si riferiscono i suoi primi disegni che sono piccole copie, a penna e acquarello, da opere di Segantini, stampe cinesi e xilografie tedesche.
1902 Dopo essersi diplomato all'Istituto Tecnico di via S. Pietro in Vincoli, si iscrive alla Facoltà di Ingegneria: la abbandonerà l'anno seguente, dopo un periodo di disturbi nervosi, per frequentare la Scuola Libera del Nudo presso l'Accademia di Belle Arti. Qui conosce Giacomo Balla che lo introduce al Divisionismo, oltre a Severini e Boccioni, al quale si legherà di profonda amicizia.
1905-1908 é a Milano, ospite di suo cugino Torquato, che lo sostiene con un assegno mensile di cinquanta lire, affinché possa dedicarsi alla pittura. Partecipa all'Esposizione della Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti con le opere Paesaggio e Senza Luce. 1906-1908 Si reca a Parigi con Boccioni e poi a Erfurt.
1909-1914 Torna a Roma, dove inizia l'itinerario che lo porterà ad avvicinarsi temporaneamente al Futurismo, pur non condividendo fino in fondo l'esaltazione ottimistica tipica del gruppo. 1914 Espone alla Galleria Sprovieri di Roma con i pittori futuristi. Torna a Milano.
1915 Firma con Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant'Elia, Piatti il manifesto futurista "L'orgoglio italiano". Allo scoppio della guerra si arruola nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e Automobilisti con Funi, Boccioni, Sant'Elia, Russolo, Marinetti e Erba.
1919 A Roma presso la Casa d'Arte Bragaglia tiene la sua prima personale, che viene però stroncata da Mario Broglio, fondatore della rivista "Valori Plastici". Sposa Matilde Fabbrini, da cui avrà due figlie, Aglae e Rossana, e si stabilisce definitivamente a Milano dove espone quattordici opere alla Grande Mostra Futurista di Palazzo Cova.
1920 Con Funi, Dudreville e Russolo firma il manifesto "Contro tutti i ritorni in pittura", che polemizza con gli artisti vicini alla rivista "Valori Plastici" di Mario Broglio. Nel marzo espone a Milano alla Galleria degli Ipogei diretta da Mario Bugelli, insieme a Bucci, Carrà, Carpi, Dudreville, Funi, Gigiotti Zanini, Leto, Livi, Arturo Martini, Russolo e altri. La presentazione del catalogo è di Margherita Sarfatti. Tra il dicembre del 1920 e il gennaio 1921 partecipa coi futuristi alla Mostra Italiana nell'Exposition Internationale d'Art Moderne di Ginevra.
1921 Inizia l'attività di illustratore de "Il Popolo d'Italia" (di cui dal 1928 assumerà anche la critica d'arte) e in seguito anche della "Rivista Illustrata del Popolo d'Italia".
1923 Espone con Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi e Bucci alla Galleria Pesaro di Milano, nella prima esposizione del "Gruppo del Novecento", promosso da Margherita Sarfatti. 1924 é presente con quattro opere (L'allieva, L'architetto, Figura, Venere) alla mostra dei "Sei Pittori del Novecento" nell'ambito della XIV Biennale di Venezia. 1926 Diventa responsabile di tutte le mostre del "Gruppo del Novecento", affiancando Margherita Sarfatti; partecipa alla Prima Mostra del Novecento Italiano, Palazzo della Permanente, Milano.
1928 Partecipa alla XVI Biennale di Venezia con nove opere.
1929 Partecipa con tre quadri alla Seconda Mostra del No-vecento Italiano, Palazzo della Permanente, Milano.
1930 Insieme agli architetti Giò Ponti e Alpago Novello fa parte del Direttorio per la riorganizzazione della Triennale.
1931 é invitato alla I Quadriennale di Roma con una sala ricca di ben ventinove opere.
1932 Al Palazzo delle Esposizioni di Roma lavora all'allestimento della Mostra della Rivoluzione Fascista. Espone sette opere alla Biennale di Venezia.
1933 é membro del Direttorio della V Triennale di Milano e per questa realizza interventi fondamentali, tra cui il murale Il lavoro nel Salone d'Onore. L'attività di Sironi è sempre più rivolta alla realizzazione di opere monumentali e pubbliche. Insieme a Campigli, Carrà e Funi pubblica il "Manifesto della pittura murale".
1935-1942 In questo periodo Sironi continua a realizzare opere murali per edifici pubblici (Università di Roma, 1935; Palazzo di Giustizia di Milano, 1936-1939; Università di Venezia, 1936-1937; Palazzo del Popolo d'Italia a Milano, 1938-1942). Nel dopoguerra questo suo lavoro, a causa della committenza fascista, gli causerà l'ostracismo della critica.
Negli anni Quaranta torna alla pittura da cavalletto con una nuova concezione spaziale, alla quale contribuirono sia l'esperienza del muralismo sia l'attività di scenografo.
1946 Dopo la guerra, essendo ormai venuti meno i suoi ideali di arte parietale, plastico-decorativa e ornamentale, così strettamente legati a quelli civili e politici, Sironi si ritira nello studio di via Domenichino a Milano, dove continua a disegnare e a dipingere con grande impeto.
1948 Un evento drammatico sconvolge la sua già difficile vita: il suicidio della figlia Rossana, che ancora di più lo fa allontanare dal contesto sociale.
1952 Rifiuta di esporre alla Biennale di Venezia, dov'era stato invitato a presentare un'ampia retrospettiva.
1961 Muore a Milano il 13 agosto.