Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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La Scuola di Micheli: da Modigliani a Lloyd

in collaborazione con il Comune di Livorno e le Province di Lucca e di Livorno


Opere di pittura

inaugurazione: 3 luglio 2004 - h 19.30

esposizione: dal 3 luglio al 20 agosto 2004

luogo: Villa La Versiliana - Marina di Pietrasanta

orario: 18.00-23.00 

ingresso libero  

Comunicato stampa

 (versione in pdf)

 

Contatto Stampa: Ufficio Istituti Culturali
Comune di Pietrasanta
tel. 0584/795500; fax 0584/795588
info@museodeibozzetti.it

 

Mostra: La Scuola di Micheli: da Modigliani a Lloyd
Artisti: Guglielmo Micheli, Llewlyn Lloyd, Manlio Martinelli, Giulio Cesare
Vinzio, Gino Romiti, Oscar Ghiglia, Mario Puccini, Giovanni Bartolena
Date esposizione: 3 luglio - 29 agosto 2004
Inaugurazione: 3 luglio 2004, ore 19,30
Luogo: Villa La Versiliana - Marina di Pietrasanta
www.museodeibozzetti.it
Orario apertura: 18,00 - 23,00


L'Assessorato alla Cultura del Comune di Pietrasanta, in collaborazione con il Comune di Livorno e le Province di Lucca e Livorno, proseguendo un progetto articolato volto ad approfondire la conoscenza di alcuni tra i più importanti maestri dell'arte contemporanea, ha in programma per l'estate prossima un'esposizione dedicata alla pittura della Scuola di Micheli. La mostra si terrà dal 3 luglio al 29 agosto 2004 presso la Villa La Versiliana nel quadro dell'omonimo Festival giunto alla sua 25^edizione.
Il considerevole successo di pubblico e l'attenzione della critica più qualificata induce a proseguire in queste nostre iniziative, che hanno portato a Pietrasanta, solo per fare alcuni esempi degli ultimi anni, importanti rassegne di pittura e di scultura quali quelle dedicate a Igor Mitoraj (1997), a Marino Marini (1998), Jean-Michel Folon (1999), Fernando Botero (2000), Pietro Cascella e Giorgio Morandi (2001), Antonio Bueno e "Pietrasanta.Sculture & Scultori" (2002), Pietro Annigoni, Giovanni Fattori, Sophia Vari e Kan Yasuda (2003).
Dopo la rassegna dedicata a Giovanni Fattori dell'anno scorso, la mostra La Scuola di Micheli: da Modigliani a Lloyd continua il rinnovato utilizzo dell'ottocentesca Villa La Versiliana come sede di grandi mostre d'arte e la proficua intesa col Comune di Livorno.
Curatore della mostra sarà il Prof. Franco Sborgi dell'Università di Genova, che redigerà il saggio critico introduttivo al catalogo. Nell'ambito dell'intesa sopra citata col Comune di Livorno, è in corso di definizione la possibilità di un successivo allestimento della mostra nel periodo autunnale a Livorno presso Villa Mimbelli.

 

La mostra presenta una vasta panoramica delle opere della Scuola di Guglielmo Micheli, che offrono una rilettura trasversale delle problematiche che attraversano la corrente Post-Macchiaiola tra Ottocento e Novecento.
Il percorso espositivo, articolato in più sezioni, si avvia con i protagonisti della Scuola, a partire dalla complessa e straordinariamente colta personalità di Llewelyn Lloyd, per proseguire poi con pittori come Guglielmo Micheli, Manlio Martinelli, Giulio Cesare Vinzio, Gino Romiti, che, dapprima nell'ambito del Divisionismo e poi in quello del Novecento, si faranno garanti di una progressiva semplificazione delle forme nella grammatica postmacchiaiola in ambito toscano. In tale contesto si pone il riferimento a Modigliani formatosi proprio alla Scuola di Micheli. Questa sezione viene dunque a coincidere con quella fase di evoluzione della "macchia" che ha inizio dal 1895 nell'ambito della Scuola di Micheli, con un particolare sentimento di riverenza nei riguardi della lezione disegnativa e tonale del maestro Giovanni Fattori, ma già presaga di quei rivolgimenti luminosi che sullo scorcio del secolo inaugureranno la stagione divisionista a Livorno.
La mostra prosegue quindi con un'indagine monografica sulla personalità di Llewelyn Lloyd, qui ricondotto alla sua statura più internazionale. Lloyd è senz'altro, dopo Amedeo Modigliani, l'artista più moderno formatosi nell'ambito della Scuola di Micheli, protagonista prima e poi memorialista del Novecento labronico e più generalmente Toscano. Subito dopo la fase più prettamente derivante dall'acquisizione del verbo fattoriano, Lloyd si avvia già a partire dalla fine del primo decennio del Novecento verso un partito sintetista, dove la pennellata scomposta dalla luce raggiunge quasi esiti fauves. Dal nudo al ritratto in interno, dal paesaggio alla marina, dalla natura morta alla composizione, Lloyd applicherà con metodo assolutamente programmatico le sue riflessioni in merito alla sintesi luminosa, partendo da Fattori per ritrovare, ovviamente a ritroso, il partito geometrico dei Primitivi Toscani.
La terza e conclusiva sezione è dedicata agli artisti toscani più vicini a Lloyd all'epoca della Scuola di Micheli e successivamente da lui descritti nelle memorie Tempi andati (Vallecchi 1951). Comprende un nucleo di opere, omogeneo non solo per tratto disegnativo o sfarzo cromatico, prerogative congiunte alla diffusione della cultura orientale nella Toscana del Novecento, ma soprattutto per ispirazione, laddove artisti quali Oscar Ghiglia, Mario Puccini e Giovanni Bartolena, oltre naturalmente allo stesso Lloyd, si volgono ad una formula cromatica che evoca l'arabesco fauve, offrendo ciascuno una versione suggestiva della diffusione delle Avanguardie europee nella Toscana della prima metà del Novecento.

Presentazione

 

L'Assessorato alla Cultura del Comune di Pietrasanta, in collaborazione con il Comune di Livorno e le Province di Lucca e Livorno, proseguendo un progetto articolato volto ad approfondire la conoscenza di alcuni tra i più importanti maestri dell'arte contemporanea, ha in programma per l'estate prossima un'esposizione dedicata alla pittura della Scuola di Micheli. La mostra si terrà dal 3 luglio al 29 agosto 2004 presso la Villa La Versiliana nel quadro dell'omonimo Festival giunto alla sua 25 edizione. Dopo la rassegna dedicata a Giovanni Fattori dell'anno scorso, la mostra La Scuola di Micheli: da Modigliani a Lloyd continua il rinnovato utilizzo dell'ottocentesca Villa La Versiliana come sede di grandi mostre d'arte e la proficua intesa col Comune di Livorno.
Curatore della mostra sarà il Prof. Franco Sborgi dell'Università di Genova, che redigerà il saggio critico introduttivo al catalogo. Nell'ambito dell'intesa sopra citata col Comune di Livorno, è in corso di definizione la possibilità di un successivo allestimento della mostra nel periodo autunnale a Livorno presso Villa Mimbelli.
La mostra presenta una vasta panoramica delle opere delLa Scuola di Guglielmo Micheli, che offrono una rilettura trasversale delle problematiche che attraversano la corrente Post-Macchiaiola tra Ottocento e Novecento.
Il percorso espositivo, articolato in più sezioni, si avvia con i protagonisti della Scuola, a partire dalla complessa e straordinariamente colta personalità di Llewelyn Lloyd, per proseguire poi con pittori come Guglielmo Micheli, Manlio Martinelli, Giulio Cesare Vinzio, Gino Romiti, che, dapprima nell'ambito del Divisionismo e poi in quello del Novecento, si faranno garanti di una progressiva semplificazione delle forme nella grammatica postmacchiaiola in ambito toscano. In tale contesto si pone il riferimento a Modigliani formatosi proprio alla Scuola di Micheli. Questa sezione viene dunque a coincidere con quella fase di evoluzione della "macchia" che ha inizio dal 1895 nell'ambito della Scuola di Micheli, con un particolare sentimento di riverenza nei riguardi della lezione disegnativa e tonale del maestro Giovanni Fattori, ma già presaga di quei rivolgimenti luminosi che sullo scorcio del secolo inaugureranno la stagione divisionista a Livorno. La mostra prosegue quindi con un'indagine monografica sulla personalità di Llewelyn Lloyd, qui ricondotto alla sua statura più internazionale. Lloyd è senz'altro, dopo Amedeo Modigliani, l'artista più moderno formatosi nell'ambito della Scuola di Micheli, protagonista prima e poi memorialista del Novecento labronico e più generalmente Toscano. Subito dopo la fase più prettamente derivante dall'acquisizione del verbo fattoriano, Lloyd si avvia già a partire dalla fine del primo decennio del Novecento verso un partito sintetista, dove la pennellata scomposta dalla luce raggiunge quasi esiti fauves. Dal nudo al ritratto in interno, dal paesaggio alla marina, dalla natura morta alla composizione, Lloyd applicherà con metodo assolutamente programmatico le sue riflessioni in merito alla sintesi luminosa, partendo da Fattori per ritrovare, ovviamente a ritroso, il partito geometrico dei Primitivi Toscani. La terza e conclusiva sezione è dedicata agli artisti toscani più vicini a Lloyd all'epoca della Scuola di Micheli e successivamente da lui descritti nelle memorie Tempi andati (Vallecchi 1951). Comprende un nucleo di opere, omogeneo non solo per tratto disegnativo o sfarzo cromatico, prerogative congiunte alla diffusione della cultura orientale nella Toscana del Novecento, ma soprattutto per ispirazione, laddove artisti quali Oscar Ghiglia, Mario Puccini e Giovanni Bartolena, oltre naturalmente allo stesso Lloyd, si volgono ad una formula cromatica che evoca l'arabesco fauve, offrendo ciascuno una versione suggestiva della diffusione delle Avanguardie europee nella Toscana della prima metà del Novecento.

Critica

 

La Scuola di Guglielmo Micheli e il rinnovamento della pittura in Toscana nei primi decenni del Novecento
Questa mostra si propone come una prima riflessione - condotta soprattutto attraverso l'evidenza dei dipinti, più che con l'ambizione di una meditazione critica esaustiva - intorno alla cosiddetta Scuola di Guglielmo Micheli (Livorno 1866-1926), tenuta a Livorno, fra gli ultimi anni dell'Ottocento e i primi del Novecento, dal più affezionato e probabilmente dal più ortodosso continuatore della linea del realismo fattoriano. Una fisionomia di ortodossia fattoriana che Questa "scuola" (più luogo di incontro che 'scuola' in senso normativo, a sentire i ricordi degli artisti che la frequentavano: Lloyd innanzitutto, nel ben noto Tempi andati) si è in qualche misura portata dietro, quasi per inerzia, nelle definizioni e nelle collocazioni storiche che sono state proposte per decenni da parte di molta della critica. In realtà basterebbe considerare i nomi degli artisti che passano attraverso lo studio di Micheli o che in qualche misura si relazionano a lui direttamente ed indirettamente - da Llewelyn Lloyd ad Amedeo Modigliani, a Gino Romiti, Manlio Martinelli, Renato Natali, e Aristide Sommati, fino ai frequentatori saltuari come Benvenuto Benvenuti, Oscar Ghiglia, Antonio Antony De Witt - per comprendere come Questa ortodossia fattoriana sembri essere piuttosto una bandiera culturale ed affettiva da esporre con rispetto, che non un manifesto normativo di poetica od una linea consequenziale di sviluppo. [...] Lo stesso Lloyd, del resto, contribuisce in Tempi andati a costruire Questa dimensione mitica: "...In quello studio sentii, come di un nume, parlare di Giovanni Fattori... Guglielmo Micheli era da poco uscito dalla scuola del Fattori nell'Accademia di Firenze e la sua venerazione per il Maestro era somma, come avveniva per gli scolari degli antichi Maestri. L'insegnamento avuto dal Fattori era il verbo che egli distribuiva a me suo primo allievo...". A ben guardare, infatti, la concreta operatività degli 'allievi' - in particolare quella di figure come Lloyd, Ghiglia, o lo stesso giovane Modigliani, ecc. - sembra orientata, progressivamente verso le aperture che venivano da Oltralpe e da Parigi, in particolare: prima la lezione impressionista (ma anche Tissot e De Nittis: si veda ad esempio Estate ai Bagni Pancaldi di Micheli) e poi, divisionista/simbolista, e quindi ancora le componenti fauves e matissiane, che si affiancano alla riflessione cézanniana sullo spazio e sul volume, sempre più stimolante dal secondo decennio del nuovo secolo. Tutto ciò avveniva in un clima, quello toscano, in cui al di fuori della stessa scuola di Micheli (ma non senza relazione con gli artisti che l'avevano frequentata), a Firenze e a Livorno, la prospettiva europea sembra essere ben più forte di quanto una storiografia d'impronta ojettiana e naturalista abbia cercato per decenni di sostenere. [...] Il "tradimento" per così dire del vero era piuttosto una volontà di fare incontrare una più interna visione della realtà con il pur forte debito dell'esperienza fattoriana, in consonanza con le stesse ricerche europee di superamento di un naturalismo descrittivo. Questa dimensione di interiorizzazione della visione sarà accolta dai più significativi artisti della scuola di Micheli, Lloyd e Ghiglia in particolare, pur con soluzioni diverse. Il primo concentrerà infatti sull'intensità psichica del colore la sua ricerca, con una parallela sintesi volumetrica, che confluirà come in altri importanti artisti livornesi, quali Ulvi Liegi, Moses Levi, Mario Puccini, e altri, in consonanze fauves e matissiane; il secondo con interiorizzazione degli spazi che da una visione moderatamente simbolista (non a caso si è parlato di riferimenti ad un inquieto pittore come il danese Hammershoi) si sposterà in una direzione precocemente 'metafisica', per così dire; fino ad assumere quella compatta volumetria che unirà esperienze francesi (Vallotton, come si è detto, ad esempio: e ricordiamo qui la forte amicizia con Modigliani, un altro appunto dei pur transitori allievi di Micheli) ad una sorta di "realismo magico", non privo di ascendenze rinascimentali, che segnerà la sua attività matura, facendo di Ghiglia una delle personalità più significative della pittura toscana dei primi decenni del Novecento. [...] Le figure di Lloyd e Ghiglia sono certo le più significative in Questa complessa dialettica di riferimenti che passa attraverso la Scuola di Micheli e proprio su queste figure il percorso della mostra punta i riflettori, evidenziando particolarmente la personalità di Lloyd: sia per la molteplicità di relazioni che propone, sia per la fortunata possibilità di offrire un cospicuo numero di opere che pur ben note, da lungo tempo non erano state esposte al pubblico. Ma soprattutto si è tentato) di evidenziare quella che è la progressiva maturazione delle ricerche all'interno degli artisti della Scuola di Micheli, intrecciando il percorso cronologico con alcune situazioni tematiche: situazioni, queste, che a loro volta caratterizzano momenti specifici e significativi di trasformazione delle linee di ricerca. La mostra si apre naturalmente - e non poteva essere altrimenti - con una importante scelta di opere del 'maestro', Guglielmo Micheli. Esse documentano i diversi momenti dell'attività dell'artista, dalla fine degli anni Ottanta agli anni Venti del Novecento [...]. [...] Di Lloyd, in questa prima sezione, si può agevolmente seguire il progressivo distacco dall'eredità realista di opere come Vecchia che chiede l'elemosina (1896) o gli espliciti riferimenti macchiaioli di dipinti come La visione (1898), o l'innovativo taglio di Quiete (1898), forse non immemore dell'esperienza di Degas. [...] La sezione è completata da una articolata scelta di opere di altri allievi di Micheli, come Gino Romiti, Giulio Cesare Vinzio, Manlio Martinelli (personalità ancora troppo poco analizzate nel complesso delle loro opere), che costituiranno punti di riferimento significativi del Gruppo dei Pittori Labronici, in cui più forti, peraltro, sono le componenti naturalistiche, come nel caso di Romiti. [...] La centralità della figura di Lloyd fa sì che a lui venga dedicata specificamente la seconda sezione, mettendo in evidenza la complessità di riferimenti e di sperimentazioni che segnano il momento centrale della sua attività fra la fine del primo decennio del secolo e i primi anni Quaranta. Il superamento definitivo della visione ottocentesca e fattoriana si affianca ad una progressiva ricerca di sintesi e di restituzione sempre più netta del valore costruttivo del colore, e della sua autonomia rispetto al dato descrittivo. [...] Il percorso tracciato in Questa sezione intreccia l'esperienza del paesaggio con quella della figura: sia negli studi di ritratti o nei nudi femminili di forte sintesi costruttiva, sia in rarefatta integrazione col paesaggio. [...] A Questa particolare maturazione della ricerca che accomuna, pur in modo diverso, molte delle esperienze degli allievi di Micheli, da Lloyd a Mario Puccini, ad Oscar Ghiglia, fra il secondo e il terzo decennio del secolo è dedicata più dettagliatamente la terza sezione. L'attenzione per quanto riguarda Lloyd e Ghiglia è qui particolarmente portata sul tema della figura, ancora in alternanza fra ritratto e nudo: temi di solito poco evidenziati nella pittura postmacchiaiola, ma che nei due artisti in questione - particolarmente in Oscar Ghiglia - danno vita ad alcune delle esperienze più innovative e, certo, di maggiore intensità evocativa. [...] Di particolare rilevanza in questo contesto di sperimentazione è la figura di Mario Puccini che completa la sezione. Artista inquieto, e complesso, di vitale espressività, come è stato del resto messo in evidenza in recenti studi, propone con tutta evidenza il forte carattere espressivo ed antinaturalistico del colore, in cui sembrano trovarsi del tutto personali riferimenti ed assonanze con le esperienze francesi, da Van Gogh, a Gauguin, ai Fauves. [...] In ordine alla più volte sottolineata centralità della figura di Lloyd la mostra si conclude con una ultima sezione in cui l'artista - documentato qui soprattutto con opere degli anni Venti e Trenta - è messo in un ideale colloquio con i suoi amici, con quei pittori che ne hanno in parte condiviso - pur con modalità diverse - l'esigenza di sperimentazione: dai già presenti Puccini e Ghiglia, a Giovanni Bartolena, accomunati da quella forte libertà costruttiva attraverso il colore che diviene in qualche misura un elemento connettivo e caratterizzante delle esperienze toscane dei primi decenni del Novecento.

 Franco Sborgi

 

La Scuola di Guglielmo Micheli
La salda tradizione toscana, conseguenza della 'macchia' frammista a tangenze e sviluppi in senso naturalista si andava mescolando e amalgamando a fermenti innovatori di ampio respiro europeo che - attraverso la mediazione di pittori più evoluti o più aggiornati, il proliferare delle esposizioni di taglio internazionale e la diffusione delle riviste artistiche specializzate - circolavano e lievitavano in tutta Italia sul finire del XIX secolo. [...] Tramite la testimonianza di Llewelyn Lloyd e di altri allievi, come Gino Romiti, siamo in grado di ricostruire, forse nel modo più genuino, la morfologia di quella che è stata La Scuola di Guglielmo Micheli a Livorno ed il significato del suo insegnamento per quei giovani artisti che ebbero modo di frequentarne la serra-studio. Guglielmo Micheli, dopo aver concluso gli studi nella città natale, ottenne una borsa di studio di seicento lire annue che gli permise nel 1888 di convolare, giovanissimo, a nozze e di stabilirsi a Firenze per iscriversi all'Accademia di Belle Arti e frequentare l'ambito Corso Libero di Nudo del venerato Giovanni Fattori. [...]. Rientrato a Livorno, Micheli non poteva permettersi la scelta radicale - optata dai compagni di studi fiorentini - di dedicarsi interamente all'arte; sulla sua vita gravavano responsabilità e inevitabili esigenze economiche, pertanto per sbarcare il lunario e provvedere alla famiglia che andava rapidamente allargandosi, l'artista dal 1893 si dedicò anche all'insegnamento di disegno e di pittura nelle strutture scolastiche governative e in istituti privati cittadini. [...] Oltre all'incarico scolastico ufficiale, Memo - così il giovane era chiamato dal Fattori che lo ebbe molto caro - prese gusto a dare lezioni di pittura a un gruppetto di giovanissimi, tra i quali Llewelyn Lloyd che in Tempi andati si autodefinisce suo primo allievo in ordine di tempo. Nella serra adibita a studio del giardino di casa Micheli. [...] nel popoloso quartiere adiacente a Piazza Mazzini perlopiù abitato dagli operai del Cantiere Orlando, per imparare i segreti dell'arte insieme a Lloyd seguirono con regolarità le lezioni del Maestro anche Manlio Martinelli, Gino Romiti ed Emilio Panico [...]. Nel '98 e nel '99 la scuola verrà frequentata assiduamente anche dall'inquieto e problematico Amedeo Modigliani, giovanissimo e già minato nella salute, futuro astro pittorico internazionale. Egli si legò di amicizia con Romiti e con Ghiglia, mentre Lloyd - lineare e concreto, preso dall'amore per l'Arte e totalmente coinvolto dalle magnificenze della natura - non riusciva a seguire Dedo perso nelle sue teorie filosofiche ed in acrobazie cerebrali [...]. Lo studio-scuola di Micheli non era strutturato canonicamente - non vigevano appelli od orari - era semplicemente aperto, e senza cerimonie veniva visitato da tanti talenti livornesi alle prime armi in quegli anni (1894-1900), tutti giovanissimi (taluni ancora implumi): Giulio Cesare Vinzio, Oscar Ghiglia, Raffaello Gambogi, Antonio Antony de Witt, Benvenuto Benvenuti, Adriano Baracchini-Caputi, Eugenio Caprini, Renato Natali. Affabile e alla mano, Guglielmo Micheli amava e seguiva con autentica simpatia gli amici-studenti che concorrevano - chi con regolarità e chi saltuariamente - nella serra [...]. L'atmosfera disinvolta, anticonvenzionale e cameratesca che vigeva nello studio del livornese è straordinariamente documentata dall'accattivante dipinto (1899), presentato in Questa sede, in cui Lloyd rappresenta Guglielmo Micheli, Gino Romiti, Oscar Ghiglia e una giovane donna, probabilmente la modella, che, coinvolti in una conversazione interessante, sembrano proprio non avvedersi del pittore che li immortala. La lezione semplice e piana ma solida e costruttiva trasmessa agli allievi dal Maestro - e spiegata con limpida chiarezza da Lloyd - altro non è che la lezione fattoriana ed essa è stata la condizione di base della pittura del Micheli e la partenza naturale di quella dei suoi discepoli. Gino Romiti, ricordando la figura dell'amico Llewelyn scomparso nel 1949, ribadiva che il problema degli spazi che il Micheli ci trasmise attraverso l'insegnamento del Fattori, gli (a Lloyd) fu di salda regola per l'inquadratura statica delle masse, ciò che gli permise, anche nel periodo analitico divisionista, di poter conseguire sempre una pittura salda e potentemente costruita. Il ruolo-chiave di Micheli a Livorno - largamente avvertito dagli allievi - è stato pertanto quello di farsi attivo interprete e mediatico portavoce del tardo Fattori, grandissimo artista ancora in piena creatività, anzi capace, in una sorta di straordinaria autoanalisi, di proporre aperture arditissime ed inconvenzionali alle nuove generazioni come osserva Raffaele Monti e Guglielmo fu così sensibile ed intelligente da saperle indicare ai suoi allievi [...]. [...] Micheli portava usualmente gli allievi a dipingere all'aperto, a rapportarsi con il 'vero' tanto amato, a 'colloquiare' con la natura fino a 'innamorarsene', e la scuola così diventava 'ambulante': si trasferivano tutti insieme in campagna, in riva al mare e sul porto che era il vero atelier di Memo, pittore che in vita fu stimato dai colleghi e dai collezionisti specialmente per la padronanza con cui sapeva elaborare le marine. [...] [...] Pertanto se è vero che gli inizi pittorici di Lloyd e di Romiti ma anche di Vinzio e del Martinelli (che è un caso un po' a sé e fin dai primi tempi del sodalizio, Lloyd già aveva avvertito che diligente ed attento, buon disegnatore, egli dipingeva con un impasto caldo di colore esulando un po' dalla maniera toscana, benché fosse pretto livornese) sono strettamente collegati al solido insegnamento di Guglielmo che inciderà sulla loro maniera anche quando si apriranno a nuove sperimentazioni, è altrettanto vero che essi respiravano in una città che si prestava a incontri artistici e a scambi culturali stimolanti ancorché generati in quel clima disteso ed educato consono alla mondana stagione balneare. Inoltre Livorno era colma di artisti - più o meno presenti e residenti - che in varia misura potevano far presa sui giovani, dal carismatico, colto e raffinato Ulvi Liegi, a Giovanni Bartolena e a Mario Puccini due artisti questi che, pur derivati dal medesimo ceppo, erano così diversi tra loro. [...]

 Giovanna Bacci e Capaci Conti

 

Llewelyn Lloyd e il dibattito europeo della Scuola di Micheli: la scelta di Modigliani e gli esiti toscani
[...] Partiremo dunque da qui per ribadire quanto indicato dall'inedito inquadramento proposto in Questa sede da Franco Sborgi, circa un Simbolismo toscano, che, pago di boschi e giardini incantati, non dissimili da quelli sognati in quegli stessi anni da altri protagonisti della Scuola di Micheli, pensiamo a Gino Romiti, recuperi quel dibattito europeo riguardo all'istanza di superamento del vero, che tra gli altri il belga Doudelet, strepitoso quanto poco indagato tramite in Toscana di brividi e stupori di area internazionale, andava propugnando proprio a Livorno alle soglie del Novecento. Si tratta di artisti, non più paghi della pur coraggiosa quanto difficilmente traducibile veduta dal vero, alla ricerca di nuove alchimie, in grado di restituire, con la medesima fedeltà e moralità consona al loro nume tutelare, Giovanni Fattori, l'emozione del vero. [...] [...] L'esigenza di schierarsi per un Novecento che non deluda le attese di una modernità tutta italiana, conduce dunque Lloyd a recuperare quella gioia cromatica di Puccini che imparenta l'artista con la più prestigiosa tradizione orientale, l'unica in grado di contrapporsi allo "spleen nordico della malinconia" [...]. [...] Ecco che la moda giapponesista sembra l'unica in grado di contrastare l'avanzata nordica, al punto che Lloyd non esita a convertirsi alle lacche orientali, pur attraverso l'odiata e amata esperienza di Modigliani, a partire dalla fuga a Montmartre "fra intellettuali pittori che ben conoscono le sculture negre, tutte le dinastie dei pittori giapponesi e cinesi, i geroglifici dei selvaggi del Matto Grosso", fino alla raccolta postuma alla Biennale di Venezia, dove "certe delicatezze di toni mettevano l'opera di Dedo Modigliani sopra un piano elevato per quel soffio di pittura ariosa e delicata dei pittori senesi". [...] Il porto di Livorno, dunque, affollato di "velieri d'ogni armatura (...) che negli indiavolati, serpeggianti, dinamici arabeschi dai riflessi del mare, erano fantasmagorie di sogni di vivi marmi orientali, di mosaici in subbuglio", diventa il vero atelier di Micheli e della sua scuola: un sommovimento di prospettive, di punti di vista, di incastri spaziali e volumetrici. L'intreccio degli alberi maestri non è tuttavia dissimile dal groviglio dei rami ritratti dagli allievi di Micheli: ed ecco che le trame degli alberi rievocate da Lloyd occhieggiano davvero all'arabesco orientale: "ricamare minutamente la ramaglia" - ricorda Lloyd - proprio come "i primitivi senesi e Cimabue, (...), Duccio, Giotto, Paolo Uccello e, saltando secoli, Rembrandt, Velazquez fino a Manet, Degas, Cézanne". Così dai toni di "smeraldo e malachite" delle tavolette fattoriane agli incastri di Micheli, dal 'rosso cinabro' di Puccini al "brillio nella maiolica" di Ghiglia, dall''indaco' di Lloyd fino ai timbri neo-senesi di Modigliani, vi è una continuità verso l'Oriente, che l'ultima sezione di Questa mostra intende individuare quale tematica di capitale importanza per tutto il Novecento toscano, laddove si voglia effettivamente inquadrarlo in un contesto europeo e non semplicemente postmacchiaiolo. A conferma di nuove possibilità di analisi storico-critica, l'ampio percorso espositivo curato da Franco Sborgi ripercorre dunque il tessuto figurativo della Scuola di Micheli secondo un intendimento non più di implosione macchiaiola, quanto invece di esplosione verso l'Oriente. Ed è in tale prospettiva che dipinti ben noti, finora ascritti impersonalmente al ceppo neofattoriano, possono finalmente godersi in un'ottica di più ampio respiro, a partire dalla prima sezione dedicata a quel capitolo cruciale che è la transizione dal vero all'emozione del vero, dove opere quali Porto di Livorno di Micheli o Strada di campagna di Lloyd additano quel moderno percorso di analisi spaziale avviata all'interno della Scuola di Micheli, fino alla seconda sezione che vede Lloyd quale protagonista d'eccellenza, con opere quali La casa rossa (1913) e il capolavoro - se così si può dire - Alberi ed anime (1923) - e di più definitivi rivolgimenti estetici in fatto di sintesi e di tarsie cromatiche, in competizione con il Novecento Italiano. Tanto più si impongono in tale percorso la terza e la quarta sezione, attraverso le quali si riesce a leggere il filo di una mutazione, quello di tali superfici e tarsie cromatiche, dapprima nell'accezione più modiglianesca di opere quali Ritratto di Mario Galli (1910) di Ghiglia o dei diversi nudi di quest'ultimo, quindi nell'accezione più orientalista, da intendersi quest'ultima non solo come fortuna di "trame, superfici e lacche" di ascendenza giapponesista, ma anche - questione non meno degna di attenzione - come moda iconografica, basti pensare alle miriadi di nature morte di Lloyd, Ghiglia e Bartolena, dove maioliche variamente decorate ospitano fiori dalle geometrie impossibili, mentre enigmatici idoli di porcellana, come nella Cinese dello stesso Ghiglia, ostentano lo sfarzo della moda orientale.

Dario Matteoni

Biografia