Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
 ... > Mostre > 2004 > La luce nella pittura-retrospettiva Edgardo Rossaro (1882-1972)  le mostre
La luce nella pittura-retrospettiva Edgardo Rossaro (1882-1972)

Edgardo Rossaro


Opere di pittura

inaugurazione: 10 gennaio 2004 - h 17.00

esposizione: dal 10 al 25 gennaio 2004

luogo: Sala dei Putti - Chiostro di S. Agostino - Pietrasanta

orario: 15.30-19.00;  lunedi chiuso

ingresso libero


Comunicato stampa

 (versione in pdf)

 

Contatto Stampa: Alessia Lupoli
Ufficio Stampa
Gabinetto del Sindaco
Comune di Pietrasanta
tel. 0584/795226; fax 0584/795269
"Alessia Lupoli"

 

Mostra: La luce nella pittura - retrospettiva
Artista: Edgardo Rossaro (1882-1972)
Date esposizione: 10 - 25 gennaio 2004
Inaugurazione: 10 gennaio 2003, ore 17,00
Luogo: Sala dei Putti, Chiostro di S. Agostino - Pietrasanta
www.museodeibozzetti.com
Orario apertura: 15,30-19,00 / lunedì chiuso (aperto i giorni festivi)


L'Assessore alla Cultura, Massimiliano Simoni, e il Comune di Pietrasanta sono lieti di presentare Edgardo Rossaro (1882-1972): La luce nella pittura - retrospettiva, dedicata all'artista scomparso. L'esposizione si terrà nella Sala dei Putti del Chiostro di Sant'Agostino di Pietrasanta dal 10 al 25 gennaio 2004 e s'inaugurerà con la partecipazione della famiglia, sabato, 10 gennaio 2004 alle ore 17,00.

 

Il nipote di Edgardo Rossaro, il prof. Goffredo Scotti, così lo descrive nella sua biografia: "Edgardo Rossaro è nato a Vercelli nel 1882 ed è morto a Rapallo nel 1972. Era figlio del pittore Ferdinando, fratello della miniaturista Irma e della docente di storia dell'arte Olga e di Adolfo pittore e scultore morto a diciannove anni; cognato del pittore Umberto Ravello morto sul Grappa con la Medaglia d'argento al valor militare. Il padre ha combattuto con Garibaldi. Edgardo Rossaro è nato e vissuto in una famiglia di artisti e di patrioti.
Ha compiuto i primi studi nell'arte prima con il padre e poi all'Accademia delle Belle Arti di Vercelli sotto il pittore Pietro Narducci, acquistando una solida base di disegnatore; questa caratteristica lo ha accompagnato in tutte le sue opere. Passò poi a Venezia dove seguì gli insegnamenti di quella scuola di pittura. Prima e dopo la pausa della Prima Guerra Mondiale ha vissuto per alcuni anni a Firenze, studiando al Pitti e agli Uffizi i grandi capolavori della pittura e frequentando i movimenti di avanguardia artistica (la Voce, l'Acerba, ecc.). Fece amicizia con Ciampi, Papini, Soffici, Manzone, Focacci e tanti altri dei circoli artistici fiorentini. E' di questa epoca il progressivo allontanamento della visione accademica dell'arte e l'avvicinamento alla visione artistica degli Impressionisti e dei Macchiaioli. Il colore-luce diventa il suo leitmotiv. Ma questa ricerca della luce che guiderà per il resto della sua vita l'opera di Rossaro si impianta su una base fortissima di disegno e in un contesto di signorile verismo.
È vincitore del "Concorso Nazionale del Ritratto Femminile" negli anni ‘30 con il Ritratto della Signora Serafini. Ma il connubio luce-disegno-verismo ha raggiunto il massimo del risultato nei ritratti e nei paesaggi degli ultimi anni della sua vita, come i ritratti della nipote Rosa Canessa Scotti, del legionario Barany e alcuni autoritratti. In queste opere le immagini in piena luce vivono in un'atmosfera di luce-colore, ma rimanendo solidissime nel disegno e nella robustezza della forma. Non è esagerato affermare che Rossaro ha imprigionato la luce nelle sue opere; eppure nessuno può dire di averlo mai visto lavorare all'aperto. Il colore è luce e come tale in continua variazione. Così nei suoi taccuini soltanto i disegni della zona e molte annotazioni per richiamare l'emozione trovata. Il colore dei suoi quadri varia col variare della luce nell'ambiente nel quale l'opera è posta.
Ma Edgardo Rossaro oltre che pittore era anche scrittore. Ha pubblicato nel 1939, a cura del 10° Alpini in Roma, un diario della Prima Guerra Mondiale intitolato "La mia guerra gioconda. Con i Volontari del Cadore e con gli Alpini del 7°". A seguito del notevole successo ottenuto, il volume ha avuto all'epoca due edizioni, ed è stato riedito nel 1999 per i "Tipi" della Mursia con il titolo "Con gli alpini in guerra sulle Dolomiti" (prefazione di Luciano Viazzi). Rossaro passò in epica rassegna tutte la montagne dolomitiche sulle quali si è aspramente combattuto; con una prosa realistica e incalzante descrive la sua guerra, fra assalti disperati e notti di gelo passate all'addiaccio sotto la tormenta. Nonostante le difficoltà ambientali e le operazioni di guerra, la sua produzione artistica continuò anche in questo tragico periodo. Tra i numerosi diari di guerra quello di Edgardo Rossaro si distingue non solo per la schietta umanità che lo pervade e per l'efficacia dello stile che ci riporta uomini e paesaggi di una stagione terribile e gloriosa della nostra storia, ma anche e soprattutto per i tratti singolari del protagonista.
Rossaro, come pittore, ha sempre ricercato il bello e ciò che poteva dare gioia. Era un uomo sereno e ottimista; queste caratteristiche del suo spirito che gli hanno permesso di passare "giocondamente" quattro anni di guerra sulle Alpi, sono le stesse che ritroviamo nei suoi quadri, sia i ritratti che i paesaggi, pieni di colore, di luce, di gioia, di serenità.
Rossaro collaborò a lungo con "L'Alpino" che nella seconda metà degli anni trenta e nei primi anni del decennio successivo pubblicò numerosi suoi disegni, schizzi e ritratti. Nel periodo di soggiorno a Milano ha collaborato al giornale "Il Perseo" che nelle lotte fra artisti "novecentisti" e "passatisti" era il portavoce di questi ultimi. Fu anche aggredito dai colleghi novecentisti, che non si peritarono di minacciarlo di morte, tanto che, per le insistenze della moglie e degli altri familiari, nel 1925 si ritirò a Rapallo scegliendo come dimora una tranquilla e ampia abitazione dalla quale si poteva godere di un'incomparabile vista sul Golfo del Tigullio. Lì è vissuto fino alla morte continuando la sua attività artistica e lasciando una considerevole quantità di dipinti di grande interesse. Le sue opere, ora molto conosciute ed ammirate, come ritrattista e paesaggista, sono presenti in molte collezioni pubbliche e private.

 

Così ne parla l'Assessore alla Cultura Massimiliano Simoni: " La pennellata densa di Edgardo Rossaro indugia sulla tela, trattenuta e spinta allo stesso istante dalla luce, di cui è filtrata, esaltandola. Gli alberi della Versilia, nei dipinti di Rossaro, rivivono di un'altra atmosfera, a volte calda e silente di un'estate assolata, altre mossi da un forte vento contrastante con le cime bianche di neve. La natura domina indiscussa nei suoi dipinti, trasmettendo un'aria pura, fatta appunto di luce brillante, che amalgama ed accentua tutti i suoi paesaggi. Così come l'olio cattura la luce sulla tela, gli stessi ritratti risplendono sia di una luce propria interiore che di una più tenue e diffusa, che negli interni conferisce quella dovuta aura di intimità, mentre negli esterni esalta le figure, che campeggiano realisticamente classiche. E proprio nella ritrattistica viene fuori la mano sapiente del delicato disegnatore dalla solida formazione accademica, accentuata dai colori soffusi e tonali di stampo giorgionesco, ancora più evidenti nei paesaggi. Senza tempo sono invece le sue marine, dagli splendidi argentei tramonti e dai poderosi bragozzi dalle vele possenti, per non parlare poi delle rappresentazioni delle montagne dolomitiche, su cui ha valorosamente combattuto nella Prima Guerra Mondiale e dalle cui raffigurazioni sembra trarre, e quindi trasmettere, grande serenità. Tutti questi colori, luci ed emozioni verranno riuniti in un'importante retrospettiva nella Sala dei Putti del Chiostro di Sant'Agostino, per celebrare anche a Pietrasanta questo valente artista purtroppo ormai scomparso."

 

Il Prof. Antonio Torresi così si esprime criticamente sull'arte di Edgardo Rossaro: "Pittore a lungo sottovalutato dalla critica del secolo appena trascorso per il suo attaccamento alla Tradizione, boicottato dai colleghi futuristi prima e novecentisti poi, Edgardo Rossaro ha solo da qualche anno recuperato e riconquistato un suo ruolo nel panorama artistico nazionale. A favorirne la riscoperta ha contribuito la mostra curata da Lucio Scardino nel 1988 per l'Amministrazione Comunale di Bondeno, in una provincia, quella di Ferrara, a cui l'artista era legato da vari rapporti di amicizia e di committenze. In seguito Rossaro è stato inserito in mostre sulla pittura piemontese e in repertori sull'arte ligure, mentre il suo unico libro (dedicato alla prima guerra mondiale) è stato ripubblicato da un importante editore come Mursia nel 1999.
A quel primo lavoro bondenese di ricognizione storico-critica ha fatto seguito, nei mesi di ottobre e novembre 2003, un approfondimento con nuovi apporti soprattutto sulla vena di paesaggista. Singolare è comunque l'angolazione dalla quale parte questa nuova fase di rivisitazione, legata all'importantissimo soggiorno fiorentino dell'artista. Sì, perché la formazione artistica del pittore vercellese si completò nella città medicea, la quale proprio in virtù del suo attaccamento alla grande tradizione figurativa del Quattro-Cinquecento, seppe mantenere alto il gusto per la pittura tradizionalmente intesa e di conseguenza apprezzare e far lievitare l'operato di quegli artisti che ad essa si ispiravano.
Per integrare la nota biografica che segue ci si è basati su alcune recensioni apparse soprattutto su periodici fiorentini, a mostre alle quali Rossaro aveva partecipato, nonché su notizie e testimonianze fornite da Goffredo Scotti (nipote ed erede dell'artista), Mary de Rachewitz (figlia di Ezra Pound), Paola Pallottino (direttrice del Museo dell'Illustrazione di Ferrara), Cinzia Lacchia (conservatore del Museo Borgogna di Vercelli), Mario Gallotta del "Gruppo Alpini di Ferrara".
Nel nome della Tradizione si muove l'estro creativo di Edgardo, propenso più ad interpretare i segni del reale che a reinventarlo nel nome dell'astrazione o della sintesi formale. Schiavo amoroso della Realtà, di essa egli cercò di catturare la luce, quella luminosità che dà vita alla pittura, oltre che agli esseri umani. Ma, per uno strano gioco dell'arte, anche l'osservazione e la resa del dato naturale in pittura diventa artificio, in cui il mestiere del pittore finisce per prendere il sopravvento sulla realtà stessa.
E così, quella di Rossaro è più una luce dello spirito, della sua anima che aspira alla luminosità suprema della vita stessa che non quella che gli scienziati hanno tentato di imbrigliare in formule analogiche di valore scientifico; e qui nasce spontaneo il confronto con i principi della pittura macchiaiola prima e divisionista poi. Ma Rossaro sembra superarli entrambi, nella sua foga di impadronirsi di una sua tecnica personale, legata soprattutto all'encausto, anziché adagiarsi sulle conquiste dell'uno o dell'altro movimento artistico. Perché quelli del Nostro non sono dipinti né macchiaioli né divisionisti. Sono assimilabili piuttosto, per impostazione e sintonia di gusto, a certa pittura toscana degli anni Venti e Trenta, nella quale la lezione dei grandi Macchiaioli (Markò, Fattori, Lega, Cecioni, Abbati) si riveste di nuovi panni e di colori con tavolozza di moderna produzione, ed elegge a novelli punti di riferimento, maestri quali Nomellini, Chini, Ghiglia, Lloyd, i Gioli, i Tommasi, seppure accusati talvolta di essere pittori passatisti.
Come loro, Edgardo era attratto dal magico e irraggiungibile percuoter leonardesco della luce su oggetti e figure, che dall'aria luminescente sono circondati. Nelle lettere che Edgardo scriveva nel corso del Ventennio compaiono poi apprezzamenti per anziani artisti "simbolisti" quali De Carolis, Tito, Sartorio, mentre si polemizza costantemente contro i Novecentisti (compresi De Chirico e De Pisis), Carrà è definito "famigerato", Milano "una filibusta", la Sarfatti è giudicata ostile, Funi e Tosi assai criticati.
Solitario e polemico, l'artista piemontese continua a dipingere paesaggi, non solo ferraresi, immersi in una poeticissima luce. Gli esempi in tal senso non mancano mai nella vasta produzione del nostro pittore profondamente innamorato della luce. Disegno e colore in definitiva hanno bisogno l'uno dell'altro: e ciò si evidenzia soprattutto nei ritratti, veridici testimoni di questo connubio tra cuore e sentimento, tra forma e colore, tra l'essere e l'apparire.
L'artificio pittorico di Rossaro è quindi il risultato di una profonda meditazione sul dato naturale, soffusa di quella lieve malinconia insita nel suo carattere. E' da sottolineare l'amore del Nostro per l'arte quattrocentesca, pre-raffaellita. Giovane battagliero, Edgardo era un pittore e filosofo che girovagava per l'Italia senza seguire una scuola precisa, ma attento indagatore di anime. L'innato senso decorativo che lo padroneggia si evidenzia nei ritratti; tramite la tenacia del lavoro e attraverso un logorante lavorio di ripetizione e di affinamento egli ha conquistato una propria "formula" pittorica. Ama le mezze luci dell'imbrunire, quando la malinconia è profonda: quest'ultima pervade i suoi giardini, in cui spiccano alti cipressi nereggianti, ma altresì i notturni, con i violenti contrasti tra ombre e luci.
La montagna (del Cadore, soprattutto) costituisce per l'Autore il poema immenso per natura, è l'inarrivabile tesoro che non potrà essere discoperto né posseduto per intero da nessuno: "chiudere un monte in un quadro è lodare l'arcobaleno in un pezzo di vetro", scriveva Massaro. (Estratto dalla Ricerca a cura del prof. Antonio Torresi inserita nel catalogo della mostra organizzata a Bondeno (FE) nell'ottobre - novembre 2003)

 

 

Presentazione

La luce nei colori di Edgardo Rossaro

La pennellata densa di Edgardo Rossaro indugia sulla tela, trattenuta e spinta allo stesso istante dalla luce, di cui è filtrata, esaltandola. Gli alberi della Versilia, nei dipinti di Rossaro, rivivono di un'altra atmosfera, a volte calda e silente di un'estate assolata, altre mossi da un forte vento contrastante con le cime bianche di neve. La natura domina indiscussa nei suoi dipinti, trasmettendo un'aria pura, fatta appunto di luce brillante, che amalgama ed accentua tutti i suoi paesaggi.

Così come l'olio cattura la luce sulla tela, gli stessi ritratti risplendono sia di una luce propria interiore che di una più tenue e diffusa, che negli interni conferisce quella dovuta aura di intimità, mentre negli esterni esalta le figure, che campeggiano realisticamente classiche. E proprio nella ritrattistica viene fuori la mano sapiente del delicato disegnatore dalla solida formazione accademica, accentuata dai colori soffusi e tonali di stampo giorgionesco, ancora più evidenti nei paesaggi.

Senza tempo sono invece le sue marine, dagli splendidi argentei tramonti e dai poderosi bragozzi dalle vele possenti, per non parlare poi delle rappresentazioni delle montagne dolomitiche, su cui ha valorosamente combattuto nella Prima Guerra Mondiale e dalle cui raffigurazioni sembra trarre, e quindi trasmettere, grande serenità.

Tutti questi colori, luci ed emozioni verranno riuniti in un'importante retrospettiva nella Sala dei Putti del Chiostro di Sant'Agostino, per celebrare anche a Pietrasanta questo valente artista purtroppo ormai scomparso.

Pietrasanta, gennaio 2004
L'Assessore alla Cultura
Massimiliano Simoni

Critica

Pittore a lungo sottovalutato dalla critica del secolo appena trascorso per il suo attaccamento alla Tradizione, boicottato dai colleghi futuristi prima e novecentisti poi, Edgardo Rossaro ha solo da qualche anno recuperato e riconquistato un suo ruolo nel panorama artistico nazionale. A favorirne la riscoperta ha contribuito la mostra curata da Lucio Scardino nel 1988 per l'Amministrazione Comunale di Bondeno, in una provincia, quella di Ferrara, a cui l'artista era legato da vari rapporti di amicizia e di committenze. In seguito Rossaro è stato inserito in mostre sulla pittura piemontese e in repertori sull'arte ligure, mentre il suo unico libro (dedicato alla prima guerra mondiale) è stato ripubblicato da un importante editore come Mursia nel 1999.
A quel primo lavoro bondenese di ricognizione storico-critica ha fatto seguito, nei mesi di ottobre e novembre 2003, un approfondimento con nuovi apporti soprattutto sulla vena di paesaggista. Singolare è comunque l'angolazione dalla quale parte questa nuova fase di rivisitazione, legata all'importantissimo soggiorno fiorentino dell'artista. Sì, perché la formazione artistica del pittore vercellese si completò nella città medicea, la quale proprio in virtù del suo attaccamento alla grande tradizione figurativa del Quattro-Cinquecento, seppe mantenere alto il gusto per la pittura tradizionalmente intesa e di conseguenza apprezzare e far lievitare l'operato di quegli artisti che ad essa si ispiravano.
Per integrare la nota biografica che segue ci si è basati su alcune recensioni apparse soprattutto su periodici fiorentini, a mostre alle quali Rossaro aveva partecipato, nonché su notizie e testimonianze fornite da Goffredo Scotti (nipote ed erede dell'artista), Mary de Rachewitz (figlia di Ezra Pound), Paola Pallottino (direttrice del Museo dell'Illustrazione di Ferrara), Cinzia Lacchia (conservatore del Museo Borgogna di Vercelli), Mario Gallotta del "Gruppo Alpini di Ferrara".
Nel nome della Tradizione si muove l'estro creativo di Edgardo, propenso più ad interpretare i segni del reale che a reinventarlo nel nome dell'astrazione o della sintesi formale. Schiavo amoroso della Realtà, di essa egli cercò di catturare la luce, quella luminosità che dà vita alla pittura, oltre che agli esseri umani. Ma, per uno strano gioco dell'arte, anche l'osservazione e la resa del dato naturale in pittura diventa artificio, in cui il mestiere del pittore finisce per prendere il sopravvento sulla realtà stessa.
E così, quella di Rossaro è più una luce dello spirito, della sua anima che aspira alla luminosità suprema della vita stessa che non quella che gli scienziati hanno tentato di imbrigliare in formule analogiche di valore scientifico; e qui nasce spontaneo il confronto con i principi della pittura macchiaiola prima e divisionista poi. Ma Rossaro sembra superarli entrambi, nella sua foga di impadronirsi di una sua tecnica personale, legata soprattutto all'encausto, anziché adagiarsi sulle conquiste dell'uno o dell'altro movimento artistico. Perché quelli del Nostro non sono dipinti né macchiaioli né divisionisti. Sono assimilabili piuttosto, per impostazione e sintonia di gusto, a certa pittura toscana degli anni Venti e Trenta, nella quale la lezione dei grandi Macchiaioli (Markò, Fattori, Lega, Cecioni, Abbati) si riveste di nuovi panni e di colori con tavolozza di moderna produzione, ed elegge a novelli punti di riferimento, maestri quali Nomellini, Chini, Ghiglia, Lloyd, i Gioli, i Tommasi, seppure accusati talvolta di essere pittori passatisti.
Come loro, Edgardo era attratto dal magico e irraggiungibile percuoter leonardesco della luce su oggetti e figure, che dall'aria luminescente sono circondati. Nelle lettere che Edgardo scriveva nel corso del Ventennio compaiono poi apprezzamenti per anziani artisti "simbolisti" quali De Carolis, Tito, Sartorio, mentre si polemizza costantemente contro i Novecentisti (compresi De Chirico e De Pisis), Carrà è definito "famigerato", Milano "una filibusta", la Sarfatti è giudicata ostile, Funi e Tosi assai criticati.
Solitario e polemico, l'artista piemontese continua a dipingere paesaggi, non solo ferraresi, immersi in una poeticissima luce. Gli esempi in tal senso non mancano mai nella vasta produzione del nostro pittore profondamente innamorato della luce. Disegno e colore in definitiva hanno bisogno l'uno dell'altro: e ciò si evidenzia soprattutto nei ritratti, veridici testimoni di questo connubio tra cuore e sentimento, tra forma e colore, tra l'essere e l'apparire.

L'artificio pittorico di Rossaro è quindi il risultato di una profonda meditazione sul dato naturale, soffusa di quella lieve malinconia insita nel suo carattere. E' da sottolineare l'amore del Nostro per l'arte quattrocentesca, pre-raffaellita. Giovane battagliero, Edgardo era un pittore e filosofo che girovagava per l'Italia senza seguire una scuola precisa, ma attento indagatore di anime. L'innato senso decorativo che lo padroneggia si evidenzia nei ritratti; tramite la tenacia del lavoro e attraverso un logorante lavorio di ripetizione e di affinamento egli ha conquistato una propria "formula" pittorica. Ama le mezze luci dell'imbrunire, quando la malinconia è profonda: quest'ultima pervade i suoi giardini, in cui spiccano alti cipressi nereggianti, ma altresì i notturni, con i violenti contrasti tra ombre e luci.
La montagna (del Cadore, soprattutto) costituisce per l'Autore il poema immenso per natura, è l'inarrivabile tesoro che non potrà essere discoperto né posseduto per intero da nessuno: "chiudere un monte in un quadro è lodare l'arcobaleno in un pezzo di vetro", scriveva Massaro.
Prof. Antonio Torresi
Estratto dalla Ricerca inserita nel catalogo della mostra organizzata a Bondeno (FE) nell'ottobre - novembre 2003

Biografia

Edgardo Rossaro è nato a Vercelli nel 1882 ed è morto a Rapallo nel 1972. Era figlio del pittore Ferdinando, fratello della miniaturista Irma e della docente di storia dell'arte Olga e di Adolfo pittore e scultore morto a diciannove anni; cognato del pittore Umberto Ravello morto sul Grappa con la Medaglia d'argento al valor militare. Il padre ha combattuto con Garibaldi. Edgardo Rossaro è nato e vissuto in una famiglia di artisti e di patrioti. Ha compiuto i primi studi nell'arte prima con il padre e poi all'Accademia delle Belle Arti di Vercelli sotto il pittore Pietro Narducci, acquistando una solida base di disegnatore; questa caratteristica lo ha accompagnato in tutte le sue opere. Passò poi a Venezia dove seguì gli insegnamenti di quella scuola di pittura. Prima e dopo la pausa della Prima Guerra Mondiale ha vissuto per alcuni anni a Firenze, studiando al Pitti e agli Uffizi i grandi capolavori della pittura e frequentando i movimenti di avanguardia artistica (La Voce, Lacerba, ecc.). Fece amicizia con Ciampi, Papini, Soffici, Manzone, Focacci e tanti altri dei circoli artistici fiorentini. È di questa epoca il progressivo allontanamento della visione accademica dell'arte e l'avvicinamento alla visione artistica degli Impressionisti e dei Macchiaioli. Il colore-luce diventa il suo leitmotiv. Ma questa ricerca della luce che guiderà per il resto della sua vita l'opera di Rossaro si impianta su una base fortissima di disegno e in un contesto di signorile verismo. é vincitore del "Concorso Nazionale del Ritratto Femminile" negli anni Ô30 con il Ritratto della Signora Serafini. Ma il connubio luce-disegno-verismo ha raggiunto il massimo del risultato nei ritratti e nei paesaggi degli ultimi anni della sua vita, come i ritratti della nipote Rosa Canessa Scotti, del legionario Barany e alcuni autoritratti. In queste opere le immagini in piena luce vivono in un'atmosfera di luce-colore, ma rimanendo solidissime nel disegno e nella robustezza della forma. Non è esagerato affermare che Rossaro ha imprigionato la luce nelle sue opere; eppure nessuno può dire di averlo mai visto lavorare all'aperto. Il colore è luce e come tale in continua variazione. Così nei suoi taccuini soltanto i disegni della zona e molte annotazioni per richiamare l'emozione trovata. Il colore dei suoi quadri varia col variare della luce nell'ambiente nel quale l'opera è posta. Ma Edgardo Rossaro oltre che pittore era anche scrittore. Ha pubblicato nel 1939, a cura del 10¡ Alpini in Roma, un diario della Prima Guerra Mondiale intitolato "La mia guerra gioconda. Con i Volontari del Cadore e con gli Alpini del 7¡". A seguito del notevole successo ottenuto, il volume ha avuto all'epoca due edizioni, ed è stato riedito nel 1999 per i "Tipi" della Mursia con il titolo "Con gli alpini in guerra sulle Dolomiti" (prefazione di Luciano Viazzi). Rossaro passò in epica rassegna tutte la montagne dolomitiche sulle quali si è aspramente combattuto; con una prosa realistica e incalzante descrive la sua guerra, fra assalti disperati e notti di gelo passate all'addiaccio sotto la tormenta. Nonostante le difficoltà ambientali e le operazioni di guerra, la sua produzione artistica continuò anche in questo tragico periodo. Tra i numerosi diari di guerra quello di Edgardo Rossaro si distingue non solo per la schietta umanità che lo pervade e per l'efficacia dello stile che ci riporta uomini e paesaggi di una stagione terribile e gloriosa della nostra storia, ma anche e soprattutto per i tratti singolari del protagonista. Rossaro, come pittore, ha sempre ricercato il bello e ciò che poteva dare gioia. Era un uomo sereno e ottimista; queste caratteristiche del suo spirito che gli hanno permesso di passare "giocondamente" quattro anni di guerra sulle Alpi, sono le stesse che ritroviamo nei suoi quadri, sia i ritratti che i paesaggi, pieni di colore, di luce, di gioia, di serenità. Rossaro collaborò a lungo con "L'Alpino" che nella seconda metà degli anni trenta e nei primi anni del decennio successivo pubblicò numerosi suoi disegni, schizzi e ritratti. Nel periodo di soggiorno a Milano ha collaborato al giornale "Il Perseo" che nelle lotte fra artisti "novecentisti" e "passatisti" era il portavoce di questi ultimi. Fu anche aggredito dai colleghi novecentisti, che non si peritarono di minacciarlo di morte, tanto che, per le insistenze della moglie e degli altri familiari, nel 1925 si ritirò a Rapallo scegliendo come dimora una tranquilla e ampia abitazione dalla quale si poteva godere di un'incomparabile vista sul Golfo del Tigullio. Lì è vissuto fino alla morte continuando la sua attività artistica e lasciando una considerevole quantità di dipinti di grande interesse. Le sue opere, ora molto conosciute ed ammirate, come ritrattista e paesaggista, sono presenti in molte collezioni pubbliche e private.
Prof. Goffredo Scotti
Nipote di Edgardo Rossaro