Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Dipinti 1943-1982

Franz Furrer


Opere di pittura

inaugurazione: 20 febbraio 2004 - h 17.00

esposizione: dal 20 febbraio al 14 marzo 2004

luogo: Sala dei Putti - Chiostro di S. Agostino - Pietrasanta

orario: 15.30-19.00;  lunedi chiuso

ingresso libero


Comunicato stampa

 (versione in pdf)

 

Contatto Stampa: Alessia Lupoli
Ufficio Stampa
Gabinetto del Sindaco
Comune di Pietrasanta
tel. 0584/795226; fax 0584/795269
"Alessia Lupoli"

 

Mostra: Franz Furrer - Dipinti 1943-1982
Artista: Franz Furrer (1921-1983)
Date esposizione: 20 febbraio- 14 marzo 2004
Inaugurazione: 20 febbraio 2003, ore 17,00
Luogo: Sale dei Putti e del Capitolo, Chiostro di S. Agostino - Pietrasanta
www.museodeibozzetti.com
Orario apertura: 15,30-19,00 / lunedì chiuso


L'Assessore alla Cultura, Massimiliano Simoni, e il Comune di Pietrasanta sono lieti di presentare Franz Furrer - Dipinti 1943-1982, retrospettiva dedicata all'artista scomparso. L'esposizione si terrà nelle Sale dei Putti e del Capitolo del Chiostro di Sant'Agostino di Pietrasanta dal 20 febbraio al 14 marzo 2004 e s'inaugurerà con la partecipazione della famiglia e del curatore della mostra, Tommaso Paloscia, venerdì, 20 febbraio 2004 alle ore 17,00. L'esposizione è corredata da elegante catalogo edito da Maschietto Editore.

 

Così nel 1980 si ‘raccontava' Franz Furrer: "Sono nato a Carrara nel 1921 da padre svizzero e da madre italiana. Ho la nazionalità svizzera. Studente di medicina a Pisa, fui rimpatriato d'ufficio nel 1944 dalle autorità tedesche, impegnandomi a non tornare- mai più in Italia. A Losanna mi trovai fra rifugiati di ogni paese, in un clima estremamente fertile e stimolante. Conobbi artisti ed intellettuali e scoprii ben presto che quello era il mio mondo.
La naturale tendenza a dipingere mi divenne una necessità ed abbandonai gli studi di medicina per dedicarmi soltanto alla pittura. Già da anni mi interessavano gli Espressionisti tedeschi che conoscevo però soltanto attraverso riproduzioni; in Svizzera ebbi modo di documentarmi sugli originali; scopersi ex-novo Klee, i Dadaisti, i Surrealisti. Nella primavera del 1945 partecipai con alcuni quadri ad una collettiva di un gruppo piuttosto eterogeneo, la cui etichetta era Art Jeune; la galleria era la cantina di una famosa brasserie, ‘Le Vieux Pressoir'. Nell'agosto dello stesso anno rientrai in Italia, a Firenze. e mi sposai a novembre con una giovane pianista italiana della quale ero da tempo innamorato. Anche la Firenze dell'immediato dopoguerra era molto interessante; vi si muovevano nuove linfe e la vita intellettuale era animatissima. Nel 1946 tenni una personale alla Galleria Il Cenacolo e scrissero bene di me Michelangelo Masciotta e Berto Lardera (allora critico d'arte, oltreché scultore). Per inciso, allora mi firmavo Karibi, perché a Losanna disegnavo anche vignette di satira politica e temevo eventuali ritorsioni sui miei genitori rimasti in Italia..
A Firenze si era formato un gruppo di pittori fra i quali Berti, Nativi. Faraoni, che mi pare si chiamasse Pittura d'oggi: le polemiche erano vivacissime ed io ero contrario al loro modo di vedere la pittura. Fondai allora con Michele Provinciali (diventato poi notissimo designer), Carlo Severa oggi professore all'Accademia di Firenze) ed altri tre pittori dei quali non ricordo più i nomi (molte delle mie amnesie sono dovute al fatto che durante un trasloco ho perso ogni documentazione di quegli avvenimenti), un movimento chiamato Pittura concreta, che tenne la sua prima e sola mostra nel 1949 a Firenze, nella Galleria La Vigna Nuova (sponsor Cavalli, Cagli e Capogrossi e con presentazione in catalogo di Giusta Nicco-Fasola). Nel corso della cena che seguì il vernissage scoppiò fra tutti una colossale lite originata dal fatto che Cagli non doveva avere capito, prima, che noi tendevamo ad una pittura disinteressata ai fatti della vita pubblica ed, invece, ad una ricerca sulla pittura per la pittura, alla semplice creazione di oggetti ‘nuovi'; uno di noi, non ricordo chi, ebbe addirittura una crisi isterica; Cagli se ne andò sdegnato. Il gruppo si ridusse a Provinciali, Severa e me. Partecipammo a qualche collettiva, ma poi ognuno di noi prese la sua strada. (Ho dimenticato che nel 1948 fui accettato con un quadro alla Biennale di Venezia).
Questi avvenimenti produssero in me un notevole cambiamento, cambiamento che mi si riflesse in una più libera, meno rigida visione delle cose. Esposi le nuove pitture nel 1951 sempre nella galleria La Vigna Nuova, in una buona personale. Presi poi contatto con il movimento Arte Concreta di Milano e con esso esposi un gruppo di pitture nel 1952 all'Elicottero (Galleria dell'Annunziata). Ma Milano era lontana, le possibilità di inserirmi più a fondo nel gruppo quasi impossibili, i contatti troppo saltuari; avrei voluto (e forse addirittura dovuto) trasferirmi a Milano, ma con moglie, figli e difficoltà economiche, non me la sentii. Dovetti poi piegarmi alla ragione di stato e trovar lavoro, e fu l'azienda marmifera di mio padre che me lo procurò.
Mi trasferii definitivamente a Viareggio e nei lunghi anni che seguirono, pur continuando tenacemente, ferocemente a dipingere ed a partecipare a qualche collettiva chiamatovi da amici, intrapresi un'infinità di viaggi in tutto il mondo per vendere e comprare marmi: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Grecia, Spagna, Portogallo, Israele, Turchia, Pakistan, Marocco, Messico, Jugoslavia. Ho raccolto così una somma di esperienze che ritengo capitali per me. Negli Stati Uniti ho conosciuto i grandi architetti, i grandi costruttori; ho visitato le raccolte d'arte moderna, i musei (mi colpì Mondrian), ho visto la pittura contemporanea americana: ho conosciuto un particolare tipo di civiltà. Nel resto del mondo ho incontrato l'arte antica - soprattutto quella preistorica, che mi affascina da sempre - ed altre civiltà.
Poi nel 1973 un infarto, un grande e profondo ripensamento, una furia di dipingere sfociata nel 1975 in una personale alla Galleria Schettini di Milano. Nel 1976 la vendita dell'azienda marmifera, nel 1977 la morte di mio padre; ed io davanti a me stesso come davanti ad uno specchio, forse per la prima volta davvero solo. (Nel frattempo due piccole personali ‘per gli amici' a Viareggio: una alla Galleria Barsotti, l'altra al Magazzino del Sale). Col passare del tempo la solitudine si è mutata in sensazione di grande libertà di spirito, di sicurezza nella mia ‘voce' interiore e persino nel mio operare inconscio. Non ho più l'ossessione della ricerca di uno ‘stile'; lo pensavo formale ed invece, rivedendo con pacatezza tutto il mio lavoro, ve l'ho trovato sostanziale; senza che me ne accorgessi, uno ‘stile' mi ha sempre accompagnato, se buono o cattivo non so, so soltanto che lo vedo, che c'è.
Oggi cerco disordini, sbilanci di composizione, dissonanze di colore, inattesi ingressi dal di fuori nel quadro, altrettanto inattese uscite. Cerco casualità di partenza da condurre ad un ordine non prestabilito, ma che nasce man mano come un discorso. Mi piace mettermi alla prova, sorprendermi di continuo, mettermi in imbarazzo, partire da sbagli. Un lavoro di continua tensione ma di infinito piacere, addirittura fisico. Così mi piace lavorare. Ma ho bisogno di osare, di rischiare di più, forse anche oltre le mie possibilità di controllo, di dominio. E' per questo che oggi sento bisogno di fiducia intorno a me: per essere creduto ‘per fede', per il ‘credito che godo'; perché i miei ‘miracoli' vengano creduti cosiccome eventi normali. Perché appaiano cose di tutti i giorni."
Franz Furrer muore a Viareggio il 13 novembre 1983.


Così ne parla invece l'Assessore Simoni: "Linee pure, essenziali, sospese tra i ricordi di un Mondrian rigoroso ed un Klee quanto mai giocoso, quelle di Franz Furrer. Questo artista di origine svizzera ma di formazione soprattutto italiana viene ricordato nelle sale del Chiostro di Sant'Agostino con un'attesa retrospettiva, in cui si potranno ammirare i suoi splendidi dipinti e le vigorose grafiche. Le tinte sature, di matrice timbrica, giocano il ruolo di protagoniste, confinate talvolta da linee di contorno essenziali, che ne delimitano le campiture già magistralmente definite. Ed in questo perfetto equilibrio geometrico delle parti, dove nulla è lasciato al caso, ma anzi perfettamente bilanciato, è percepibile una sospensione di tempo e di luogo, dove il fattore hic et nunc viene assiomaticamente annullato. Nei dipinti di Furrer domina una leggerezza infinita, sospesa su di una tangibile impalpabilità, guidata da luci studiate, dove niente è lasciato al caso. Sono sogni eterei ma concreti quelli di Furrer, di cui lui ci rende generosamente partecipi. Vi si percepisce, dietro, un altro mondo, infinito, accessibile a pochi, solo a quelli infatti che con coraggio si lasciano trasportare dai suoi colori per accedere ad una fantasia più intima, nascosta, quasi psicoanalitica. Così dunque buon viaggio, cari fruitori del purismo di Franz Furrer: ci troveremo forse in un'altra dimensione, fatta solo di luce e colore."

Presentazione

Linee pure, essenziali, sospese tra i ricordi di un Mondrian rigoroso ed un Klee quanto mai giocoso, quelle di Franz Furrer. Questo artista di origine svizzera ma di formazione soprattutto italiana viene ricordato nelle sale del Chiostro di Sant'Agostino con un'attesa retrospettiva, in cui si potranno ammirare i suoi splendidi dipinti e le vigorose grafiche. Le tinte sature, di matrice timbrica, giocano il ruolo di protagoniste, confinate talvolta da linee di contorno essenziali, che ne delimitano le campiture già magistralmente definite. Ed in questo perfetto equilibrio geometrico delle parti, dove nulla è lasciato al caso, ma anzi perfettamente bilanciato, è percepibile una sospensione di tempo e di luogo, dove il fattore hic et nunc viene assiomaticamente annullato. Nei dipinti di Furrer domina una leggerezza infinita, sospesa su di una tangibile impalpabilità, guidata da luci studiate, dove niente è lasciato al caso. Sono sogni eterei ma concreti quelli di Furrer, di cui lui ci rende generosamente partecipi. Vi si percepisce, dietro, un altro mondo, infinito, accessibile a pochi, solo a quelli infatti che con coraggio si lasciano trasportare dai suoi colori per accedere ad una fantasia più intima, nascosta, quasi psicoanalitica. Così dunque buon viaggio, cari fruitori del purismo di Franz Furrer: ci troveremo forse in un'altra dimensione, fatta solo di luce e colore.

Pietrasanta, febbraio 2004

L'Assessore alla Cultiura

Massimiliano Simoni

Critica

Simili a melodie rapprese in mondo:la pittura di Franz Furrer

Pare che sino ad oggi non si sia tentato di tracciare il complesso percorso che ha segnato l' attività artistica di Franz Furrer.Persino il breve profilo o curriculum da lui stesso redatto nel 1980 aiuta,nel caso a depistare l'osservatore e anche il conoscitore, con quei riferimenti incrociati alla scoperta di Klee, dei dadaisti, del Surrealismo, la partecipazione più o meno sporadica al movimento Pittura Concreta e poi Arte Concreta, il viaggio di approdo a Mondrian, gli incontri con l'arte antica e specialmente quella preistorica. Invero,il non essersi mai voluto adagiare in una sigla stilistica e univoca e uniforme risulta luogo di partenza e di arrivo di una formazione atipica e irregolare, dell' arte tutta di Furrer, pronto appunto a dichiarare su questa stessa linea "cerco casualità"di partenza da condurre ad un ordine no prestabilito, ma che nasce man a mano come un discorso. Mi piace mettermi alla prova,scoprendomi di continuo. mettermi in imbarazzo ,partire da sbagli. Un lavoro di continua tensione ma di infinito piacere, addirittura fisico. Così mi piace lavorare. Se anche gli si potesse commissionare quel che scriveva, in note analoghe,Jean/Hans Arp,e cioè "voglio superare le forme e le idee ricevute, voglio rigettare tutto ciò che è copia o descrizione per lasciare reagire l' Elementare e lo Spontaneo in piena libertà",non di un' arte semplice si tratta, appesa com' è a un graduale evolvere verso un ' astrazione mai del tutto dimenticata dell' Ispirazione naturale.
Le semplificazioni o riduzioni geometriche dei dati naturali, certo avvisate anche nella lezione di Mondrian, sono impostate su criteri di forte variazione e ambiguità delle immagini, che resta uno degli strumenti principali del processo di astrazione ed è nel contempo riflesso di una concentrazione sulle geometrie archetipiche di quadrati i incroci di linee ortogonali/diagonali propria al movimento del Concretismo lirico. Questa volontà di giungere a un massimo di intensità con un minimo di apparente nasce insomma sul crinale di un complesso e sofferto passaggio dal Costruttivismo al Concretismo vero e prprio, ricerca formale per eccellenza che passa altresì attraverso una personale riscoperta di Cezanne in chiave,è proprio il caso di dirlo, di astrazione costruttivistica. Ma non solo. L' impiego di forme spesso identiche , in risposta ad un principio di austera composizione formale,non è qui dovuta a carenza inventiva:le forme diventano una sorta di palcoscenico sul quale entrano in scena molti colori, le loro valenze spaziali, la loro purezza assoluta. Anzi,spora ogni cosa la sollecitazione del paesaggio,i motivi dei luoghi intravisti nel corso di numerosi viaggi o vissuti nel quotidiano versiliese, danno vita sulle tele di Furrer a un vitalissimo, coloratissimo dialogo tra opacità e trasparenza:rendendo enigmatica ,difficile la provenienza di queste forme,dissolvendone alcune parti ,l' artista ottiene quelle trasparenze che sono diventate un segno distintivo;metafore della luce e dell' oscurità,dell' armonia e dell' ordine dello spazio;dignità della forma pura,diremmo ricordando le semplificazioni morandiane (per quanto il referente più preciso sarà ancora e sempre per questo tipo di pittura il concretismo luministici di Josef Albers).
Nel rigore delle esperienze astratte di Furrer parrebbe d' altro canto che la natura sia satat messa da parte,i rapporti tra forme e colori abbiamo cancellato al dimensione della realtà per privilegiare equlibri tanto magici quanto autonomi. Tuttavia questa interpretazione può venir corretta se si conosce il culto della memoria professato dall' artista.Memoria di paesaggi,riferimenti sentimentali e sotterranei,allusioni intime o addirittura sensibilistiche sono ben evidenti nelle opere che abbiamo di fronte,a specchio se vogliamo di una folgorante immagine di Claudel che riconosce nell' artista colui che "comme l' abeille a ensemble le sentiment de la fleur te celui de l'hexagone" o chi è in grado di imprigionare in superficie i propri segreti fantasmi, come ha rivelato Franco Solmi scrivendo di Furrer.indendo dunque che la geometria è qui anche metafora sul filo della memoria,un filtro per sensazioni decise e autentiche, un residuo di antica passione per i fatti naturali. Non dimentica le sue fonti, Franz Furrer ,anche se da quelle astrae poi regolarmente eliminando il superfluo, tutto quel che non risponde a un ideale e castro ritmo di linee e volumi. Si sfocia nella contemplazione, luce ferma e uguale di immobili forme dense, ma a monte c'è tutto l' uomo con i suoi pensieri, con i suoi desideri,con le sue rinunce.
anche nella affine ricerca di Magnelli esiste questo fascino dell' essenza di tempo,scansione di campi e colori puri,spesso un à-plat che non nasconde tuttavia la presenza solenne dello spazio formale toscano ,della forme che sole riescono a determinare il concetto stesso di spazio. Da questo punto di vista la pittura di Furrer si presenta come frutto di una reazione,come dire,candidamente,dadaistica nei confronto della stagnazione retorica dei linguaggi, visivi e letterari, quale specialmente si avvertiva negli anni Cinquanta dello scorso anno. I suoi primi esperimenti insistono i effetti su una perfetta identità fra segno scritto e segno plastico nella misura della pagina:editoria elvetica della Riforma e grafica dell'espressionismo,Art Nouveau e Ver Sacrum editoria delle avanguardie russe e italiane collaborano nel crogiuolo svizzero di formazione di Furrer a orientare la disposizione contemplativa verso un quantum di azione pittorica, di un energia di intervento che porti a reagire appunto e in fine a simmetrie ed equilibri,ai rapporti plastici più consueti e scontati per privilegiare invece grafiche fluide e sinuose,che si coagulano in sagome organiche di perfetta autonomia geberativa(Saranno le forme decisive degli animali come formule per una magica risalita alle ragioni prime del naturale).Avviandosi poi però piu concretamente nella direzione di Cercle et Carrè o di Abstraction-Creation, si matura in Furrer una coscienza concretista, il pensiero della forma con l' esigenza di dare vigoroso statutro plastico allo spazio fisico dell'esperienza, l' esplorazione di principi strutturali ed elementari del figurare artistico. Furrer ci dice più volte con le sue opere che la natura non è quella che appare agli occhi, bensì noi stessi nel momento che ne prendiamo atto,è attentissimo ai processi generativi dell' immagine,E dunque, no mai ricopiare ma tornare ai fenomeni organici, alla forme primarie e semplici per riscoprire il ritmo segreto, quasi la favola della nascita del mondo;non la natura come obiettivo ma la sua struttura originaria, non un mondo da copiare ma la garanzia di base dell' esistenza dell' uomo e del cosmo. Così,provando e riprovando in un rigore calvinista,gli elementi vengono essenzializzati al punto che favoriscono percezioni immediate e nette delle loro sostanze:sono una grammatica a grado zero del naturale e del reale. Si ricordi a proposito lo straordinario esperimento del libretto Le farfalle commestibili,edito da Carpena nel 1981con i disegni di Gian Luca Fercioni, dove la legge,oltre all' invenzione, è la semplicità e quindi la incessante trasformazione. Nella schedatura delle crisalidi,ma nei dipinti ancor di più,Furrer arriva a estrarre dal flusso disordinato della natura una segreta armonia, dove le forme diventano relative e il punto di arrivo è una sorta di dessin-ècriture, di pittografia altamente simbolica che rende, come i dipinti insisto, le basi elementari delle forme,i segni basilari. Come dire poi che nell'operazione discreta ma incessante di Furrer finisce per nascondersi la componente di scherzevole inutilità, di gioco,di leggerezza del discorso artistico, consapevole l' artista che "les ètoiles èscrivent avec une lenteur infinie et ne jamais ce qu' elles ont ècrit..."

Marcello Ciccuto

Biografia

Così nel 1980 si raccontava Franz Furrer: "Sono nato a Carrara nel 1921 da padre svizzero e da madre italiana. Ho la nazionalità svizzera. Studente di medicina a Pisa, fui rimpatriato d'ufficio nel 1944 dalle autorità tedesche, impegnandomi a non tornare- mai più in Italia. A Losanna mi trovai fra rifugiati di ogni paese, in un clima estremamente fertile e stimolante. Conobbi artisti ed intellettuali e scoprii ben presto che quello era il mio mondo. La naturale tendenza a dipingere mi divenne una necessità ed abbandonai gli studi di medicina per dedicarmi soltanto alla pittura. Già da anni mi interessavano gli Espressionisti tedeschi che conoscevo però soltanto attraverso riproduzioni; in Svizzera ebbi modo di documentarmi sugli originali; scopersi ex-novo Klee, i Dadaisti, i Surrealisti. Nella primavera del 1945 partecipai con alcuni quadri ad una collettiva di un gruppo piuttosto eterogeneo, la cui etichetta era Art Jeune; la galleria era la cantina di una famosa brasserie, Le Vieux Pressoir. Nell'agosto dello stesso anno rientrai in Italia, a Firenze. e mi sposai a novembre con una giovane pianista italiana della quale ero da tempo innamorato. Anche la Firenze dell'immediato dopoguerra era molto interessante; vi si muovevano nuove linfe e la vita intellettuale era animatissima. Nel 1946 tenni una personale alla Galleria Il Cenacolo e scrissero bene di me Michelangelo Masciotta e Berto Lardera (allora critico d'arte, oltreché scultore). Per inciso, allora mi firmavo Karibi, perché a Losanna disegnavo anche vignette di satira politica e temevo eventuali ritorsioni sui miei genitori rimasti in Italia.. A Firenze si era formato un gruppo di pittori fra i quali Berti, Nativi. Faraoni, che mi pare si chiamasse Pittura d'oggi: le polemiche erano vivacissime ed io ero contrario al loro modo di vedere la pittura. Fondai allora con Michele Provinciali (diventato poi notissimo designer), Carlo Severa oggi professore all'Accademia di Firenze) ed altri tre pittori dei quali non ricordo più i nomi (molte delle mie amnesie sono dovute al fatto che durante un trasloco ho perso ogni documentazione di quegli avvenimenti), un movimento chiamato Pittura concreta, che tenne la sua prima e sola mostra nel 1949 a Firenze, nella Galleria La Vigna Nuova (sponsor Cavalli, Cagli e Capogrossi e con presentazione in catalogo di Giusta Nicco-Fasola). Nel corso della cena che seguì il vernissage scoppiò fra tutti una colossale lite originata dal fatto che Cagli non doveva avere capito, prima, che noi tendevamo ad una pittura disinteressata ai fatti della vita pubblica ed, invece, ad una ricerca sulla pittura per la pittura, alla semplice creazione di oggetti nuovi; uno di noi, non ricordo chi, ebbe addirittura una crisi isterica; Cagli se ne andò sdegnato. Il gruppo si ridusse a Provinciali, Severa e me. Partecipammo a qualche collettiva, ma poi ognuno di noi prese la sua strada. (Ho dimenticato che nel 1948 fui accettato con un quadro alla Biennale di Venezia). Questi avvenimenti produssero in me un notevole cambiamento, cambiamento che mi si riflesse in una più libera, meno rigida visione delle cose. Esposi le nuove pitture nel 1951 sempre nella Galleria La Vigna Nuova, in una buona personale. Presi poi contatto con il movimento Arte Concreta di Milano e con esso esposi un gruppo di pitture nel 1952 all'Elicottero (Galleria dell'Annunziata). Ma Milano era lontana, le possibilità di inserirmi più a fondo nel gruppo quasi impossibili, i contatti troppo saltuari; avrei voluto (e forse addirittura dovuto) trasferirmi a Milano, ma con moglie, figli e difficoltà economiche, non me la sentii. Dovetti poi piegarmi alla ragione di stato e trovar lavoro, e fu l'azienda marmifera di mio padre che me lo procurò. Mi trasferii definitivamente a Viareggio e nei lunghi anni che seguirono, pur continuando tenacemente, ferocemente a dipingere ed a partecipare a qualche collettiva chiamatovi da amici, intrapresi un'infinità di viaggi in tutto il mondo per vendere e comprare marmi: Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Grecia, Spagna, Portogallo, Israele, Turchia, Pakistan, Marocco, Messico, Jugoslavia. Ho raccolto così una somma di esperienze che ritengo capitali per me. Negli Stati Uniti ho conosciuto i grandi architetti, i grandi costruttori; ho visitato le raccolte d'arte moderna, i musei (mi colpì Mondrian), ho visto la pittura contemporanea americana: ho conosciuto un particolare tipo di civiltà. Nel resto del mondo ho incontrato l'arte antica - soprattutto quella preistorica, che mi affascina da sempre - ed altre civiltà. Poi nel 1973 un infarto, un grande e profondo ripensamento, una furia di dipingere sfociata nel 1975 in una personale alla Galleria Schettini di Milano. Nel 1976 la vendita dell'azienda marmifera, nel 1977 la morte di mio padre; ed io davanti a me stesso come davanti ad uno specchio, forse per la prima volta davvero solo. (Nel frattempo due piccole personali per gli amici a Viareggio: una alla Galleria Barsotti, l'altra al Magazzino del Sale). Col passare del tempo la solitudine si è mutata in sensazione di grande libertà di spirito, di sicurezza nella mia voce interiore e persino nel mio operare inconscio. Non ho più l'ossessione della ricerca di uno stile; lo pensavo formale ed invece, rivedendo con pacatezza tutto il mio lavoro, ve l'ho trovato sostanziale; senza che me ne accorgessi, uno stile mi ha sempre accompagnato, se buono o cattivo non so, so soltanto che lo vedo, che c'è. Oggi cerco disordini, sbilanci di composizione, dissonanze di colore, inattesi ingressi dal di fuori nel quadro, altrettanto inattese uscite. Cerco casualità di partenza da condurre ad un ordine non prestabilito, ma che nasce man mano come un discorso. Mi piace mettermi alla prova, sorprendermi di continuo, mettermi in imbarazzo, partire da sbagli. Un lavoro di continua tensione ma di infinito piacere, addirittura fisico. Così mi piace lavorare. Ma ho bisogno di osare, di rischiare di più, forse anche oltre le mie possibilità di controllo, di dominio. E' per questo che oggi sento bisogno di fiducia intorno a me: per essere creduto per fede, per il credito che godo; perché i miei miracoli vengano creduti così come eventi normali. Perché appaiano cose di tutti i giorni." Franz Furrer muore a Viareggio il 13 novembre 1983.