Franco Gentilini
Opere di pittura in collaborazione con Galleria Guastalla
inaugurazione: 13 luglio 2003 - h 18.00
esposizione: dal 13 luglio al 24 agosto 2003
luogo: Sale del Chiostro di S. Agostino - Pietrasanta
orario: 18.00-20.00/21.00-24.00; lunedi chiuso
ingresso libero
Comunicato stampa
Contatto Stampa: Alessia Lupoli
Ufficio Stampa
Gabinetto del Sindaco
Comune di Pietrasanta
tel. 0584/795226; fax 0584/795269
"Alessia Lupoli"
Mostra: Franco Gentilini. Opere 1927-1981
Artista: Franco Gentilini
Date esposizione: 13 luglio - 24 agosto 2003
Inaugurazione: 13 luglio 2003, ore 18,00
Luogo: Sale dei Putti e del Capitolo, Chiostro di S. Agostino,
Via S. Agostino, 1 - Pietrasanta
www.museodeibozzetti.com
Orario apertura: 18,00 - 20,00 / 21,00 - 24,00
L'Assessore alla Cultura, Massimiliano Simoni, e il Comune di Pietrasanta sono onorati di presentare Franco Gentilini. Opere 1927-1981, mostra personale di dipinti, disegni e litografie. La mostra organizzata dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Pietrasanta in collaborazione con Guastalla Centro Arte di Livorno e lo Studio Guastalla di Milano, si terrà nelle Sale dei Putti e del Capitolo del Chiostro di Sant'Agostino di Pietrasanta dal 13 luglio al 24 agosto 2003 e s'inaugurerà con la partecipazione di Luciana Giuntoli, vedova dell'artista, domenica, 13 luglio 2003 alle ore 18,00. L'esposizione è accompagnata da elegante catalogo con presentazione di Nicola Micieli, edito da Edizioni Graphis Arte di Livorno.
Così Franco Gentilini parla di se stesso: "Forse, da bambini, inconsciamente, costruiamo il nostro destino di uomini. Non so quale sia il ‘momento' in cui balena, sia pure larvatamente, quella che poi diventerà una vocazione e da quali remote cause essa viene fino a noi. Io, fin da ragazzo, ho avuto il spiccato senso dell'osservazione della realtà. Mi attraevano le architetture dei palazzi e le cattedrali; le une e le altre esercitavano su me un forte potere di suggestione e di fascino, insoliti in un'età in cui si è portati verso altre predilezioni. Ero addirittura affascinato dal gioco prospettico delle facciate delle cattedrali e dalle grafie simboliche dei segni; dagli armoniosi ricami gotici e romanici dei palazzi. Ho trascorso chissà quante ore, così, a inseguire, a mia insaputa, quella che poi sarebbe divenuta la mia vocazione di pittore. Avessi minimamente sospettato allora che proprio quelle architetture e quelle cattedrali sarebbero diventate i temi preferiti della mia pittura! Solo che alla simbologia che mi suggerivano da ragazzo a poco a poco vi ho sostituito le immagini e le emozioni che solo una loro dimensione umana può suggerire quale antitesi di ‘Grandeur et Misère'.
Al contrario, nel dipingere i grandi ‘nudi' e le ‘figure', alle immagini e alle emozioni ho sostituito i ‘simboli', quasi a suggerire, questa volta, un rapporto plastico tra idee di bellezza e idee di poesia che si richiamano ad una civiltà remota. Non ho voluto cioè soffermarmi
all'apparenza esteriore bensì ho voluto cogliere l'essenza di un dato psicologico. Se, infatti, per un attimo immaginiamo di vedere tutt'insieme quei ‘nudi' e quelle ‘figure' possono benissimo far ricordare i frontoni delle cattedrali romaniche a mo' di allegorie: volti e corpi di pietra su cui c'è come un'ombra di freddo che li salvaguarda dalla fragilità dei sentimenti umani e li consegna quali prototipi del nostro tempo ad un futuro remoto." (Premessa al volume Franco Gentilini/Antologia della Critica, a cura di Carlo Giacomozzi, Edizioni Rari Nantes, Roma 1984).
Così Giuseppe Ungaretti: "Gentilini è un pittore di cui ormai tutti riconoscono il valore singolare, è difatti uno dei primi pittori italiani e europei d'oggi ed è un uomo di giovialità tanto squisita nei suoi rapporti cogli altri che, chi ne sia onorato, considera la sua amicizia tra le più preziose.
Vorrei dire anche uno dei motivi per i quali la sua pittura m'incanta e mi convince. Non so perché, essa mi fa sempre subito ripensare e innanzi tutto ad affreschi visti in una mia lontana visita a Pomposa. La favola vuole che Giotto ad invito di Dante, recatosi a Pomposa, vi dipingesse quegli affreschi che sul fragile intonaco ancora durano. Pare invece che quei dipinti siano da attribuirsi alla scuola di Romagna, ma questioni d'attribuzione qui contano poco oggi. Voglio dire che la pittura di Gentilini ha origine come da una primitiva meraviglia, messa in risalto anche dalla predilezione sua per l'uso di terre. Questa tradizione si affaccia a noi piena di calma, riposante, a rappresentarci luoghi di Roma per esempio, od altro, con una novità poetica, un humor e una familiarità straordinari [...]. (Introduzione al catalogo della personale alla galleria "L'Attico", Roma, aprile 1961)
Giancarlo Vigorelli: "[...] La pittura di Gentilini affiora da antiche stratificazioni. Quelle cattedrali, quei battisteri che spesso spaziano nelle sue tele, non sono sfondi decorativi, ombre archeologiche: sono, invece, le mura millenarie della sua stessa pittura che viene da lontano, che ha un contaminato retroterra di cultura e di civiltà. La sua pittura è percorsa dalla memoria, al tempo stesso popolare e aristocratica, istintiva e raffinata, di un po' tutta l'arte mediterranea, con un occhio più avido verso certe plaghe adriatiche dove l'arte bizantina è salita ad incrociarsi tra il romanico e il gotico: quella sua Ravenna, e Venezia, e Modena, e Parma rivisitate tanto con adorazione quanto con disinvoltura, come a dare prova che tutti quei marmi , quei mattoni sono da sempre depositati nel suo sangue, e tutta la sua pittura altro non è che un ininterrotto ‘paesaggio italiano'.
E da questo civilissimo paesaggio vengono avanti, addossate a quelle mura sacre, le sue donne altrettanto italiche, sacre altrettanto nella loro carnale bellezza: e tanto sono autentiche Eve, da poter spendere alla pari come Veneri antiche o moderne, regali o domestiche.
È proprio vero che Gentilini vive dentro un suo Eden: poche cose, ma intatte: cose comuni, ma belle; e la bellezza come sfida contro l'imperante volgarità. E per conservare a lungo, in eterno, la bellezza, vi versa spesso sopra il sale dell'ironia, o una di quelle grosse risate che Gentilini fa scrosciare a gara con la fontana di piazza Navona, dove si affaccia la sua casa.
Dentro la sua pittura echeggia appunto un lontano sorriso etrusco: era Cardarelli a ricordare che gli Etruschi edificarono Ravenna, e sostarono a Faenza; ed è dal taglio, dalla piega di quel sorriso che la sua pittura, che nasce antica, rinasce moderna. Una modernità che dura, non che passa: perciò Gentilini è un pittore del nostro tempo, ma la sua pittura, fondata su antiche radici, lo oltrepassa. (Il Sodalizio Gentilini-De Libero, in "Nuova Rivista Europea", marzo-giugno 1979)
Alberto Moravia: "[...] Franco Gentilini introduce nella tradizione creata da Scipione una nota diversa e nuova. Quello che in Scipione era acuta e straziante consapevolezza, impotenza e spasimo, in Gentilini diventa ironia, gioco, trascrizione rustica e fantastica. Si sono fatti per Gentilini i nomi europei di Goya, Daumier, Ensor, Chagall. Indubbiamente apporti di questo genere ci sono stati e ci sono tuttora; ma piuttosto per affinità e per simpatia indiretta che per derivazione e filiazione. In realtà, di fronte a certi problemi, temperamenti simili reagiranno più o meno allo stesso modo. Gentilini, spinto come Scipione da un impulso originariamente narrativo, si è trovato di fronte a una realtà italiana ormai scontata sul piano di una rappresentazione seria e diretta, perché svuotata dei suoi antichi significati e non ancora animata dai nuovi.
L'Italia, d'altra parte, non è la Russia di Chagall; non è un paese nuovo e mezzo vuoto con contadini, soldati, osterie, mendicanti, cavalli, belle ragazze, isbe, strademaestre e cieli orientali pieni di stelle; l'Italia è quasi un museo in cui i monumenti di una mezza dozzina di civiltà stanno l'uno contro l'altro, serrati e fitti e tutti, ormai, sconsacrati e morti. Ma la vita dell'Italia moderna si insinua e si propaga in questa foresta di monumenti con la forza dell'ignoranza e del candore naturale. Gentilini si è impadronito con studio attento e originale del segreto della quotidiana profanazione del museo italiano ad opera degli innumerevoli carrettini, venditori ambulanti, camion, coppie di innamorati, ragazzini, donnaccole, gatti, cani e insomma ogni sorta di cose e gente umili e vivaci. L'Italia, la Roma di Gentilini, con tutti quei battisteri, duomi, campanili, portici, cattedrali, palazzi servono da sfondo non più, come in De Chirico, a statue parlanti, a manichini metafisici, a presenze mitologiche, bensì a scenette di genere, a incontri paradossali, a incidenti ironici; e tuttavia, seppure in modo diverso, raggiungono gli effetti di una magia egualmente potente e allusiva [...].
Fedele alla lezione di Scipione, il colore di Gentilini attinge sempre a quella densità, profondità e modulazione che ogni studiosa considerazione della realtà necessariamente produce. Del resto, a riprova, si tratta sempre di paesaggi nient'affatto immaginari, e la precisione del riferimento topografico, in questo caso, è garanzia di rappresentazione veritiera ed oggettiva. Diremmo piuttosto che l'impulso a narrare in Gentilini sia posteriore e, insomma, secondario a quello di rappresentare e dipingere; esso si sovrappone a questo come complemento e arricchimento, quasi come inevitabile conclusione.
Non voglio caricare la pittura di Gentilini di significati che quasi certamente essa non ha avuto nell'intenzione dell'autore. Questi significati che senza dubbio ci sono e sono in parte quelli che abbiamo cercato di definire, sono in certo modo involontari ed emanano dalla pittura di Gentilini come da ogni pittura vitale e complessa. È questo il miglior complimento che possiamo fare a Gentilini: quello di averci detto più di quanto avesse in mente di dirci, appunto perché impegnato con serietà a raggiungere la meta comune ad ogni arte: conciliare le contraddizioni senza sacrificarne alcuna e sollevare la realtà ad una rappresentazione non contingente né esornativa." (Franco Gentilini, Edizioni del Cavallino, Venezia, 1952)
Presentazione
L'Assessore alla Cultura, Massimiliano Simoni, e il Comune di Pietrasanta sono onorati di presentare Franco Gentilini. Opere 1927-1981, mostra personale di dipinti, disegni e litografie. La mostra organizzata dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Pietrasanta in collaborazione con Guastalla Centro Arte di Livorno e lo Studio Guastalla di Milano, si terrà nelle Sale dei Putti e del Capitolo del Chiostro di Sant'Agostino di Pietrasanta dal 13 luglio al 24 agosto 2003 e s'inaugurerà con la partecipazione di Luciana Giuntoli, vedova dell'artista, domenica, 13 luglio 2003 alle ore 18,00. L'esposizione è accompagnata da elegante catalogo con presentazione di Nicola Micieli, edito da Edizioni Graphis Arte di Livorno.
Critica
Gentilini è un pittore di cui ormai tutti
riconoscono il valore singolare, è difatti uno dei primi pittori
italiani e europei d'oggi ed è un uomo di giovialità tanto squisita nei
suoi rapporti cogli altri che, chi ne sia onorato, considera la sua
amicizia tra le più preziose.
Vorrei dire anche uno dei motivi per i quali la sua pittura m'incanta e
mi convince. Non so perché, essa mi fa sempre subito ripensare e
innanzi tutto ad affreschi visti in una mia lontana visita a Pomposa. La
favola vuole che Giotto ad invito di Dante, recatosi a Pomposa, vi
dipingesse quegli affreschi che sul fragile intonaco ancora durano. Pare
invece che quei dipinti siano da attribuirsi alla scuola di Romagna, ma
questioni d'attribuzione qui contano poco oggi. Voglio dire che la
pittura di Gentilini ha origine come da una primitiva meraviglia, messa
in risalto anche dalla predilezione sua per l'uso di terre. Questa
tradizione si affaccia a noi piena di calma, riposante, a rappresentarci
luoghi di Roma per esempio, od altro, con una novità poetica, un humor e
una familiarità straordinari [...].
Giuseppe Ungaretti
Introduzione al catalogo della personale alla galleria "L'Attico", Roma, aprile 1961
La pittura di Gentilini affiora da antiche stratificazioni. Quelle cattedrali, quei battisteri che spesso spaziano nelle sue tele, non sono sfondi decorativi, ombre archeologiche: sono, invece, le mura millenarie della sua stessa pittura che viene da lontano, che ha un contaminato retroterra di cultura e di civiltà. La sua pittura è percorsa dalla memoria, al tempo stesso popolare e aristocratica, istintiva e raffinata, di un po' tutta l'arte mediterranea, con un occhio più avido verso certe plaghe adriatiche dove l'arte bizantina è salita ad incrociarsi tra il romanico e il gotico: quella sua Ravenna, e Venezia, e Modena, e Parma rivisitate tanto con adorazione quanto con disinvoltura, come a dare prova che tutti quei marmi , quei mattoni sono da sempre depositati nel suo sangue, e tutta la sua pittura altro non è che un ininterrotto paesaggio italiano.
E da questo civilissimo paesaggio vengono avanti, addossate a quelle mura sacre, le sue donne altrettanto italiche, sacre altrettanto nella loro carnale bellezza: e tanto sono autentiche Eve, da poter spendere alla pari come Veneri antiche o moderne, regali o domestiche.
é proprio vero che Gentilini vive dentro un suo Eden: poche cose, ma intatte: cose comuni, ma belle; e la bellezza come sfida contro l'imperante volgarità. E per conservare a lungo, in eterno, la bellezza, vi versa spesso sopra il sale dell'ironia, o una di quelle grosse risate che Gentilini fa scrosciare a gara con la fontana di piazza Navona, dove si affaccia la sua casa.
Dentro la sua pittura echeggia appunto un lontano sorriso etrusco: era Cardarelli a ricordare che gli Etruschi edificarono Ravenna, e sostarono a Faenza; ed è dal taglio, dalla piega di quel sorriso che la sua pittura, che nasce antica, rinasce moderna. Una modernità che dura, non che passa: perciò Gentilini è un pittore del nostro tempo, ma la sua pittura, fondata su antiche radici, lo oltrepassa.
Giancarlo Vigorelli
Il Sodalizio Gentilini-De Libero, in "Nuova Rivista Europea", marzo-giugno 1979
Franco Gentilini introduce nella tradizione creata da Scipione una nota diversa e nuova. Quello che in Scipione era acuta e straziante consapevolezza, impotenza e spasimo, in Gentilini diventa ironia, gioco, trascrizione rustica e fantastica. Si sono fatti per Gentilini i nomi europei di Goya, Daumier, Ensor, Chagall. Indubbiamente apporti di questo genere ci sono stati e ci sono tuttora; ma piuttosto per affinità e per simpatia indiretta che per derivazione e filiazione. In realtà, di fronte a certi problemi, temperamenti simili reagiranno più o meno allo stesso modo. Gentilini, spinto come Scipione da un impulso originariamente narrativo, si è trovato di fronte a una realtà italiana ormai scontata sul piano di una rappresentazione seria e diretta, perché svuotata dei suoi antichi significati e non ancora animata dai nuovi.
L'Italia, d'altra parte, non è la Russia di Chagall; non è un paese nuovo e mezzo vuoto con contadini, soldati, osterie, mendicanti, cavalli, belle ragazze, isbe, strade maestre e cieli orientali pieni di stelle; l'Italia è quasi un museo in cui i monumenti di una mezza dozzina di civiltà stanno l'uno contro l'altro, serrati e fitti e tutti, ormai, sconsacrati e morti. Ma la vita dell'Italia moderna si insinua e si propaga in questa foresta di monumenti con la forza dell'ignoranza e del candore naturale. Gentilini si è impadronito con studio attento e originale del segreto della quotidiana profanazione del museo italiano ad opera degli innumerevoli carrettini, venditori ambulanti, camion, coppie di innamorati, ragazzini, donnaccole, gatti, cani e insomma ogni sorta di cose e gente umili e vivaci. L'Italia, la Roma di Gentilini, con tutti quei battisteri, duomi, campanili, portici, cattedrali, palazzi servono da sfondo non più, come in De Chirico, a statue parlanti, a manichini metafisici, a presenze mitologiche, bensì a scenette di genere, a incontri paradossali, a incidenti ironici; e tuttavia, seppure in modo diverso, raggiungono gli effetti di una magia egualmente potente e allusiva.
Fedele alla lezione di Scipione, il colore di Gentilini attinge sempre a quella densità, profondità e modulazione che ogni studiosa considerazione della realtà necessariamente produce. Del resto, a riprova, si tratta sempre di paesaggi nient'affatto immaginari, e la precisione del riferimento topografico, in questo caso, è garanzia di rappresentazione veritiera ed oggettiva. Diremmo piuttosto che l'impulso a narrare in Gentilini sia posteriore e, insomma, secondario a quello di rappresentare e dipingere; esso si sovrappone a questo come complemento e arricchimento, quasi come inevitabile conclusione.
Non voglio caricare la pittura di Gentilini di significati che quasi certamente essa non ha avuto nell'intenzione dell'autore. Questi significati che senza dubbio ci sono e sono in parte quelli che abbiamo cercato di definire, sono in certo modo involontari ed emanano dalla pittura di Gentilini come da ogni pittura vitale e complessa. é questo il miglior complimento che possiamo fare a Gentilini: quello di averci detto più di quanto avesse in mente di dirci, appunto perché impegnato con serietà a raggiungere la meta comune ad ogni arte: conciliare le contraddizioni senza sacrificarne alcuna e sollevare la realtà ad una rappresentazione non contingente né esornativa.
Alberto Moravia
Franco Gentilini, Edizioni del Cavallino, Venezia, 1952