Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Le vent et la vitesse dans le marble

Gigi Guadagnucci


Opere di scultura

inaugurazione: 6 dicembre 2004 - h 17.00

esposizione: dal 6 dicembre 2003 18 gennaio 2004

luogo: Chiesa di Sant'Agostino - Pietrasanta

orario: 15.30-19.00; lunedi chiuso

ingresso libero

 


Comunicato stampa

Presentazione

E'un grande onore per l'Amministrazione Comunale di Pietrasanta poter ospitare una mostra delle sculture, senza età e senza tempo, del grande Maestro Gigi Guadagnucci. Come senza età è del resto Guadagnucci stesso, che con divina maestria, e sembrerebbe quasi con estrema facilità, riesce a creare mirabili opere, totalmente uniche nel loro genere. Sono infatti realizzate nello stile di Gigi, inconfondibile ed incomparabile. Sono le sue sculture musicali, la messa in opera di uno spartito dettato dalle luci e dalle ombre, da un ritmo costante nelle sue lamellature ed da un'armonia naturale nei suoi turgidi fiori di marmo. Un marmo anch'esso purissimo, incontaminato, cristallino: sembrano quasi sculture di neve le sue, tale è la loro apparente lievità. Sculture liriche, quindi, che non potrebbero trovare migliore collocazione della Chiesa di Sant'Agostino, che come uno scrigno secolare, svelerà questi preziosi tesori di luce. L'opera di Guadagnucci è del resto una sfida allo spazio, alla tangibilità, alla proporzione, all'equilibrio, all'aspirazione verso l'alto. Tutte le sue creazioni infatti racchiudono un costante dinamismo, una sorta di energia compressa e sempre in fieri, che le fa proiettare con slancio nello spazio circostante, sfidando il Cielo e la Terra, e ponendosi così all'istante come tramite di forza e di luce tra di essi in un equilibrio in movimento, e perciò perfetto ed irripetibile. L'energia di Guadagnucci, questo suo esprit vital, questa sua incontestabile ed invidiabile gioia di vivere e lavorare la pietra, trova riposo solo nei delicati e sublimi bassorilievi, dove, come nei grandi marmi, è la pietra che parla. Ed il Maestro la lascia parlare, tirandone fuori non le parole, ma immagini di pietra, che sembra siano sempre state presenti e che lui abbia solamente fatto emergere togliendone la superficie coprente. Grazie Gigi! Che con i tuoi ottant'anni passati ci insegni ad apprezzare ancora la bellezza e la preziosità dell'armonia delle forme ispirate alla natura e al sentimento."
Il Sindaco
Massimo Mallegni
L'Assessore alla Cultura
Massimiliano Simoni

 

Critica

All'insegna della perizia e della regola

Tempo e spazio nelle sculture di Gigi Guadagnucci
Si dice che un artista dovrebbe essere del proprio tempo. Come un uomo qualunque,verrebbe da dire. Solo che un artista non può rimanere, come un uomo qualsiasi,costretto al contingente, ieri delle ideologie oggi delle mode.
Voler ancorare l'aspirazione all'eternità del fare artistico, a qualcosa di transitorio, come l'idea di contemporaneità, che è qualcosa in continuo movimento; è un controsenso; la conseguenza sarebbe quella di costringere un artista ad attaccarsi,ad essere, come si dice in un nobile inglesismo "di quella tendenza". Quelle horreur direbbe Guadagnucci. Ma i nostri tempi purtroppo sono capaci di ben altre mostruosità.
Perché poi a voler cavillare, cosa può mai significare essere del proprio tempo, per un artista nato proprio mentre risuonavano i primi proclami delle avanguardie, che si è formato nella stagione dei più rigidi richiami all' ordine, che manifesta la sua personalità quando l'astrattismo e l'informale hanno dato il meglio di sé, e l'arte sembra vivere oramai di concetti e comportamenti, un artista che costruisce il suo splendido tramonto quando dell'arte sembra non importare più niente a nessuno e ancora una volta si vorrebbe celebrare la morte della pittura e della scultura? Se un artista di tali trascorsi si fosse lasciato convincere ad essere del proprio tempo, avremmo forse oggi un amico più famoso e più celebrato, ma probabilmente uno scultore in meno. L'unica arte del proprio tempo è infatti l' Accademia. Per il resto scolpire, così come dipingere, vuol dire ancora una volta dare risposte a domande che non sono ancora state formulate oppure a domande che si ripetono da sempre ma che ancora non hanno trovato risposte soddisfacenti. E allora sarà utile, tornando nuovamente a riflettere,e a scrivere sul lavoro di Gigi, partire proprio da qui, da come un uomo senza tempo, un solitario come lo sono sempre stati gli scultori, aspirante a condensare il suo sentimento del tempo in una scultura capace come poche di tenere insieme l'immaginazione della forma e della creazione dell' oggetto. La scultura di Guadagnucci si connota infatti, in ogni sua stagione, per la tenuta plastica straordinaria, proprio perché riesce ad essere una considerazione sia del tempo che dello spazio. Sia che si articoli nel trapassato, articolato e ritmato, di volumi pieni, come era nelle opere degli anni Sessanta, sia che si svolga nella modulazione, quasi musicale, delle lamine, a cui si dispongono i lavori del decennio successivo, sia infine che approdi alla palpitante vitalità dei fiori e delle vegetazioni, come accade a partire dagli anni Ottanta, e ancora nel presente, le sue sculture manifestano sempre una precisa rispondenza fra le suggestioni del pensiero e le soluzioni formali, proprio perché in ogni caso Guadagnucci si impone di risolvere insieme il problema del tempo e dello spazio.
Per questo no c'è differenza fra al corposa stabilità delle forme a volume pieno, lavorate prendendo a prestito il segni della natura, dove il segno ancestrale della materia è amplificato dagli sgarri, dagli strappi o dalle lente consumazioni ,che altro non sono che tempo sedimentato, e gli slanci aerei delle lamine. Di quelle sculture cioè che fin dai titoli, Meteora o Fuga o Angelo,dicono non solo di una accelerazione del movimento o di una accentuazione delle vibrazioni ritmiche, ma soprattutto manifestano più struggente desiderio di sdoganare la pietra della sua naturale pesantezza,per assicurargli un destino cosmico e farla approdare a contesti dove spazio e tempo non sono misurabili, e diventano per sempre solo il tempo e lo spazio che la forma porta con sé,ne più ne meno.
Non c'è infatti nessuna contraddizione nelle scultura di Gigi fra la coscienza del peso, fisico oltreché visivo,delle masse e l' aspirazione a condensare nella loro articolazione formale la velocità del movimento.
Chi ha attraversato quasi per intero un secolo brutale, come quello che ci siamo lasciati alle spalle, sa che dalla modernità non ci si può aspettare nulla di buono. Per questo, al contrario di quanto hanno creduto i futuristi ,per lui il moto non è un problema di raffigurazione esterna ma semmai questione da risolvere facendo affidamento solo sulla struttura interna alla forma,e quindi ha a che fare con il ritmo piuttosto che con la raffigurazione esterna del movimento.
Occorre così disporsi alla ricreazione plastica, per mezzo del ritmo, dell'energia che spinge,agita,spande o dilania la materia,altrimenti piuttosto che il movimento si ha la sua caricatura, una fastidiosa e sconclusionata immanenza dell' immagine ,come l' abitudine dell'autonomia che si arresta per un improvviso incepparsi del meccanismo che ne garantiva la stentorea,ma quanto illusoria e quanto patetica movimentazione. Nella scultura di Guadagnucci infatti l' idea del movimento , che si articola fra lente evoluzioni e improvvise accelerazioni ,si riferisce sempre e comunque ad una temporizzazione dello spazio, o se si vuole è l' aspirazione ad una forma che insista nello spazio per accompagnare fino in fondo lo svolgimento del tempo.
Si è sempre insistito, a proposito del lavoro di Guadagnucci, sulle sue straordinarie capacità di tagliare il marmo. Fino a far diventare questa considerazione un luogo comune. Così è in effetti, perchè Guadagnucci è anche uno spericolato tagliatore di marmo; ma i luoghi comuni si trasformano inevitabilmente in un eccesso di verità, tenendo a nascondere, o relegare in secondo piano altri aspetti , forse meno scontati ma no per questo meno veri,di uno stesso fenomeno. E allora diciamo che per Gigi fare scultura significa certamente anche costruire, con inimitabile e misteriosa perizia, un oggetto. Ed è vero che l' oggetto si costruisce obbedendo alle articolazioni della forma , tensione dei volumi e rigore delle linee, ma poi non c'è dubbio che sia la formulazione ritmica a dare fragranza e verità all'immagine, vale a dire a far si che ogni scultura sia la materializzazione di una immagine mentale ,piuttosto che la restituzione di una immagine presa a prestito dalla realtà naturale. Insomma il sapere della mano, così come il sapere dell' occhio, si pongono al servizio di un altro e più specifico talento,una straordinaria capacità di immaginare, che non vuol dire avere fantasia, ma pescare immagini dal profondo per presentarle, anima e corpo,alla visione di tutti. Per far questo occorre non credere più di tanto al valore della storia. Bisogna non accontentarsi che il linguaggio si riduca a tenere separati i contenuti del tempo e dello spazio, non accettare l' idea che il visibile sia tutto riconoscibile,ma soprattutto occorre credere fermamente nella possibilità di dare forma all' immateriale, alle idee come ai sentimenti, insomma credere di poter fare l' invisibile.
Non a caso quella di Guadagnucci si presenta come una scultura senza teoria,volendo dire senza teorizzazioni e senza dichiarazioni programmatiche. Quando parla del suo lavoro infatti,inevitabilmente finisce per raccontare il suo vissuto o parlare del rapporto che ha con il marmo. Non abbiamo a che fare con un sognatore di parole o un pigro impastatore di nuvole vaganti;per lui la creazione non si riduce allo stato di semi incoscienza di chi fantastica, ma è un più preciso esercizio di immaginazione ,che si sviluppa costantemente all' insegna della perizia e della regola. Esercizio della perizia e della regola, riuscire a mettere le abilità tecniche e manuali al servizio del talento, per coniugare correttamente idea e forma dell' immaginazione. Non c'è nessun altro orientamento che possa proteggere l'artista dalle vertigine della creazione assoluta, per cui l' idea muore con chi l' ha presentata o l' immagine rimane muta,senza forza e senza verità, da una forma di creazione che inevitabilmente finirebbe per negare il mondo, e rinnegare l'uomo come misura del mondo. Abbiamo a che fare dunque con una scultura virtuosa,proprio perchè il virtuosismo tecnico no è mai fine a se stesso, non diventa mai sfoggio di abilità.
E lo stesso vale per quel tanto di cedimento allo stile che vi possiamo leggere. La bella maniera di impaginare una scultura,e poi la perfezione dello stile con cui la porta a compimento ,no si fondono infatti su un idea edonistica dell' arte,ma sono il tenace ancoraggio ad un comportamento creativo che ha piena coscienza dell' ineluttabile necessità della forma. Si tratta piuttosto di sfuggire al formalismo, che poi in scultura vuol dire scansare ogni rischio di graziosità,o peggio di esteriore magniloquenza.
Per questo le superfici qui contano quanto la forma. Il più profondo è la pelle scrive Paul Valery e allora, si tratta di arrivare all' estremo limite,di procedere lungo la superficie per passare dal corpo all' incorporeo. Volumi che arrivano al massimo della tensione ,sorretti da linee rigorose e scattanti,non possono essere mortificati da superficie spente,opache o lucide che siano, ma devono poter confidare sulla trasparenza di superfici che bruciano nella luce per disperdersi nell' infinito.
Ecco perchè, qualunque sia il grado di finitura al quale sono condotte, le sculture di Guadagnucci no perdono ai la velatura baluginosa della luce, quell'alone che affiora dal palpito della materia,sapientemente risvegliata da ferro e mai spenta dall' azione degli abrasivi, di modo che le forme possano slanciarsi al di là della salda tenuta della pietra, per superare anche il vincolo estremo e sottrarsi al limite preciso per cui finisce il marmo e inizia l' atmosfera. Si tratta caso mai di riuscire a garantire anche il percorso inverso,per scendere sotto l' apparente splendore della forma, fino al fondo dell' esistenza. Ma in questo Gigi Guadagnucci è veramente un maestro. Anche quando guarda palesemente alla natura, pretende e intende scolpire non dei fiori che ha raccolto o accomodato in un vaso,staccandoli da se regalandoli al margine della propria esistenza,sull' orlo del proprio sguardo ,come in posa sulla ribalta,ma quei fiori che appartengono al suo stesso raggio virtuale , che condividono quel momento della sua esistenza ,lo spazio del suo sentire. E allora se proprio dobbiamo accettare la sensazione che ci sia del "manierismo" nella scultura di Gigi Guadagnucci, ci piace azzardare l' idea che quel tanto, o poco che sia, di gusto aristocratico dello stile, gli derivi proprio dalla conoscenza di dover fare da solo, che se la storia dell' arte doveva all'impasse attuale è meglio rinunciare alla storia, non appartenere a nessuna comunità, rispettare solo le regole, anche formali,che uno si è dato da solo e per il resto trasgredire per poter continuare ad esistere. Così non si tratta di copiare la vita,ma di dare forma,corpo e sostanza, al senso della vita,alla sua complessità e alle contraddizioni che la governano,e se a volte un solo ritmo basta a sostenere la dinamicità della forma,questo non esclude che un ritmo diverso possa percorrere l' intero corpo di una scultura ,alla maniera di un contrappunto , o se volete con la stessa disinvoltura con cui un pensiero triste riesce talvolta ad istaurarsi anche nelle nostre più felici giornate.

Massimo Bertozzi

 

Biografia

Gigi Guadagnucci è nato nel 1915 a Castagnetola, un paese vicino a Massa, sulle prime pendici della montagna apuana. Qui, seguendo la tradizione della sua famiglia, ha cominciato a lavorare il marmo quando era poco più che un bambino. Poco dopo la metà degli anni venti ottiene infatti il suo primo impiego, da Ciberti, uno scultore che "viene da Brera" e ha lo studio sullo stradone dei marmi, il viale che porta alla stazione ferroviaria. Si trasferisce comunque poco dopo nel laboratorio Soldani, dove, prima e dopo di lui, sono passati tutti quelli che a Massa si sono cimentati con la scultura. Impara così la scultura iniziando dalle tradizionali espressioni dell'arte funeraria, che erano la routine dell'epoca, anche se ben presto si distingue eseguendo i suoi lavori in diretta, senza passare per il modello, e conquistandosi così i suoi primi, personali clienti. Nel 1936 è costretto tuttavia a lasciare l'Italia per motivi politici. Ripara in Francia, ad Annemasse, dove ritrova i fratelli che nella cittadina della Savoia gestiscono una marberie. Da qui si trasferisce comunque quasi subito a Grenoble, dove rimane fino alla guerra e dove alterna il lavoro nei laboratori di marmo allo studio e alla ricerca. Impara così a far convivere le necessità quotidiane con il desiderio di diventare a tutti gli effetti un artista. La sua ricerca guarda inevitabilmente ai maestri, da Rodin a Maillol fino alla grande lezione di Donatello; scopre che la scultura si impara disegnando e vi si applica con accanimento. A Grenoble frequenta Closon e soprattutto Gilioli, che a ogni estate torna da Parigi e rappresenta così il primo forte richiamo verso la mecca mondiale dell'arte, il miraggio di tutti gli artisti. Allo scoppio della guerra si arruola nella Legione Straniera e dopo la disfatta della Francia entra nella Resistenza. L'attività che Guadagnucci svolge nel maquis del Sud-Est favorisce il suo inserimento nel paese transalpino e consolida un legame destinato a durare ben al di là dei motivi e delle contingenze che lo avevano originato. Rientrato in Italia, si ferma a Massa fra il 1950 ed il 1953, anno in cui decide di ritornare in Francia; si stabilisce finalmente a Parigi, dove per almeno due decenni vivrà inserito pienamente nel fervore artistico di Montparnasse. Intanto aveva già avuto modo di farsi conoscere in Italia, dove nel 1951 aveva esposto a Firenze, alla Casa di Dante, aveva vinto il Premio Lorenzo Viani per la scultura a Forte dei Marmi e il Premio Interregionale di Marina di Massa per il disegno. La sua assoluta padronanza della lingua, e le sue precedenti esperienze francesi, favoriscono il suo inserimento non solo nella comunità degli artisti, ma anche negli ambienti culturali più aggiornati. Frequenta gli italiani, quelli che a Parigi ci sono da sempre, come Gino Severini e Carlo Sergio Signori, e quelli che sono, come lui, appena arrivati, il carrarese Dunchi, il pisano Bertini, l'imprevedibile Remo Bianco, e poi ancora lo scrittore Beniamino Joppolo, che diventerà l'amico più solidale, e Zoran Music, che vive nello studio prestatogli da un amico comune, il grande fotografo Brassaï. Conosce gli ultimi grandi scultori di Montparnasse, Alberrto Giacometti e Ossip Zadkine e le giovani promesse, come César e Stahly. Vive in grande amicizia con i Nuovi Realisti, Yves Klein e Tinguely soprattutto, pur sottraendosi alle sollecitazioni di Pierre Restany, che lo vorrebbe convincere a "militare" nel gruppo. Nel 1958 vince una naturale reticenza a mostrarsi in pubblico ed espone le sue prime opere alla Galleria Colette Allendy, suscitando una grande impressione e i primi interessi della critica. Da quel momento infatti la sua presenza sulla scena parigina diventa ricorrente e sempre più apprezzata, l'artista inizia a esporre anche fuori della capitale francese: a Auvers-sur-Oise, nel 1958, a Roma nel 1959, alla Robles Gallery di Los Angeles e alla Brook Street Gallery di Londra nel 1960, prima di approdare nellÕanno successivo a una delle più prestigiose gallerie parigine, quella di Claude Bernard. In queste occasioni scrivono di lui e della sua scultura Suzanne Hagen e Mock, Favre e Loce Hoctin, ma soprattutto Claude Rivière e Pierre Courthion, che nel 1958 inserisce Guadagnucci nel suo libro "L'art indépendant. Panorama international de 1900 à nos jours". Quella di Guadagnucci è in questi anni una scultura informale e tuttavia ripete i ritmi e le forme geologiche del materiale di cui è fatta, ora levigata dall'acqua, ora erosa dal vento, ora spaccata e sgarrata da un movimento tellurico. Ancora nel 1962, intanto, partecipa alla mostra Sculpteurs d'aujourd'hui alla Galerie Blumenthal e nel 1963 alle rassegne Actualité de la sculpture presso la Galerie Creuze e Forme et Magie al Bowling de Paris, ed è presente, "bien sûr, parmi les meileurs", come scrive Denys Chevalier, al Salon de la Jeune Sculpture. Mentre continua l'intensa partecipazione alla vita artistica parigina, viene infatti invitato e partecipa regolarmente a tutti i principali salons, da Comparaison al Salon de Mai, da Réalités Nouvelles ad Art Sacré, dal Salon de la Jeune Sculpture a Grandes et Jeunes d'aujourd'hui; comincia intanto a riallacciare i legami con la sua terra. Con i primi risparmi compra una casa a Bergiola, vicino al paese dove è nato. Non è solo un rifugio, è soprattutto uno studio nel cuore dei paesi del marmo, con la grande disponibilità di materiale e di assistenza tecnologica che questa collocazione comporta. Questo riavvicinamento riceve una spinta nel 1967, allorché Guadagnucci riceve, pressoché contemporaneamente, due inviti che sono un forte richiamo al passato: quello alla V Biennale di Scultura di Carrara e quello del Symposium Internazionale per le Olimpiadi della Neve di Grenoble. La partecipazione alla manifestazione di Grenoble, dove esegue una grande scultura di oltre quattro metri, che viene collocata nel Parc Paul Mistral, gli apre infatti la strada ad una lunga serie di commissioni pubbliche per opere monumentali, la cui esecuzione avverrà in Italia, a Bergiola o nei laboratori apuani. Per altro verso l'invito alla rassegna carrarese, che si ripeterà nel 1969 e nel 1973, asseconda il progressivo allontanamento da Parigi, dal momento che, insieme alla possibilità di trovare materiali e manodopera di grande qualità, l'area apuana consente in quegli anni la possibilità di frequentare i grandi della scultura, da Marino a Moore, da Adam a Lipchitz e Nouguchi, e per Guadagnucci oltretutto di rinnovare le frequentazioni parigine, da Signori a Gilioli, da César a Ipoustéguy, da Alicia Penalba a Zadkine e Augustin Cárdenas. Si dedica così soprattutto alla creazione di opere monumentali destinate a complessi scolastici o a centri universitari francesi, ed è costretto a diradare le presenze alle mostre. Sotto l'influenza di questi grandi monumenti, le forme della sua scultura, un tempo compatte, seppure ritmate nel contrasto dei pieni e dei vuoti, nel contrappunto delle linee concave e convesse, tendono ora a svuotarsi e a slanciarsi. I suoi marmi svuotati fino alla trasparenza o ridotti in lamine sottili come fasci di luce nascono da qui, anche se per trovare una applicazione su grande scala bisognerà attendere la creazione nel 1974 di Orgue, destinata al Palais des Congrès et de la Musique di Strasburgo. Ben presto arriva comunque anche il forte richiamo a sfuggire in qualche modo alla rigidità di un lavoro, quello su commissione, che rischia di ridurre le pause di riflessione e di ridurre gli spazi di libertà. Riprende così a esporre e nello stesso tempo approfondisce la ricerca di nuove soluzioni alla compenetrazione fra la sensualità delle curve femminili e l'esuberanza delle forme vegetali: nascono le Foglie e i loro "dialoghi", le Libellule, i primi Fiori. Il ritorno sulla scena delle esposizioni gli vale nel 1977 il premio Bourdelle, con la possibilità di allestire nell'anno successivo una grande mostra negli spazi del prestigioso museo parigino. La sua fedeltà al marmo, che poi significa fedeltà alla sua terra e alla sua cultura, viene ormai riconosciuta da tutti come un grande valore: da Alain Jouffroy che nel 1978 gli pubblica una lunga intervista su "XXème Siécle", che significativamente viene intitolata "Guadagnucci un sculpteur fidèle a Michel-Ange et à Carrare", a Umberto Baldini, che nel 1980 lo inserisce nel volume dedicato alla "Scultura toscana del Novecento", a Mario de Micheli che nel 1981, nel libro dedicato alla "Scultura del Novecento", individua i tratti distintivi della scultura di Guadagnucci nel suo "amore del marmo" oltreché nella "religione del mestiere". Nel 1980, a causa di una fastidiosa infiammazione al braccio che gli impedisce i lavori pesanti, scopre il bassorilievo e comincia a riavvicinarsi alla figura umana realizzando i primi esempi di quelle che Jean Clair chiamerà le "lithophanies d'eros". Risale a quel periodo anche l'incontro con Pier Carlo Santini, che si rinnova in tutte le manifestazioni artistiche promosse dallo storico lucchese e che si consolida in una amicizia profonda oltreché in un rapporto di lavoro e si interrompe solo per la prematura scomparsa di Santini nel 1993. Nel corso degli anni ottanta Guadagnucci, che sembra attraversare una seconda giovinezza, intensifica nuovamente la partecipazione alle esposizioni e riprende altresì a viaggiare, in Europa come in America, fino alle esperienze del tutto nuove, come quella del 1988, allorché si reca ad installare le sue sculture a Tokyo, e quella del 1992, in occasione dell'esecuzione di una grande scultura in legno per un villaggio turistico in Kenya. Nonostante nel 1983 il ministro Jack Lang gli conferisca una delle più importanti onorificenze della Repubblica francese, nominandolo Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres, gli anni ottanta segnano tuttavia il distacco definitivo da Parigi, dove ancora conserva due studi che frequenta però solo raramente, per periodi brevissimi e sempre di malavoglia. Di contro ha ormai riconquistato la sua terra. Nel 1986 una sua grande scultura viene installata nel Palazzo Comunale di Massa e nel 1989 la Provincia di Massa Carrara gli commissiona un bassorilievo di quasi cinque metri per la Sala della Resistenza, nel Palazzo Ducale. Nel 1993 il Comune gli organizza una grande mostra retrospettiva, con quasi cento sculture, all'interno del Palazzo Malaspina, e nel 1995 festeggia gli ottanta anni dell'artista con una mostra di disegni al Palazzo Ducale di Massa, recuperando un momento della sua produzione artistica che si credeva disperso. Guadagnucci lavora ancora nel suo studio di Bergiola, dove, mettendo a frutto l'esperienza del ritorno alla figura , sperimentata nell'esecuzione dei piccoli bassorilievi degli anni ottanta, ha appena ultimato una Madonna col Bambino destinata alla Chiesa di Lavacchio, dove lui stesso è stato battezzato, e una grande statua dell'Abbondanza, destinata ad un istituto di credito locale.
Massimo Bertozzi