Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Una vita per l'arte

Giuseppe Flangini


a cura di Rossana Bossaglia

 

inaugurazione: martedi 1 maggio 2001 - h. 18.00

esposizione: dall'1 al 27 maggio 2001

luogo: Chiesa di Sant'Agostino - Pietrasanta

orario: da martedi a domenica h. 15.30-19.00 - domenica e lunedi chiuso

ingresso libero


Comunicato stampa

Presentazione

Giuseppe Flangini, con la sua pittura, ci riporta ai primi del '900, ci cala in una realtà ai più dimenticata, fatta di duro lavoro e di lotta per la sopravvivenza.

 

Profonda emozione si prova, e provo, davanti alle opere dai colori puri e intensi del maestro veronese: il suo modo nebbioso e velato, di una struggente malinconia, tipico dei paesaggi del Nord Europa riporta alla memoria il tema dell'emigrazione quando, nella speranza di costruire un fururo migliore, centinaia di migliaia di italiani trovarono nelle fabbriche del Nord America e dell' Europa settentrionale una disperata ancora di salvezza.

 

Recentemente ho visitato le miniere di Eucassines in Belgio (città gemellata con Pietrasanta) dove ho "scoperto" un mondo fondato sul duro lavoro e profondamente attaccato ai valori cristiani della vita; Flangini, con la sua esperienza di vita e di arte, non può che portarmi alla memoria quei luoghi, quelle città illuminata da pesanti nuvole, dove l'uomo e quasi sempre assente, quei paesaggi industriali dominati dai volti sofferti ed anneriti dei minatori.

 

Questa mostra vuole essere un omaggio, a quarant'anni dalla morte al maestro veronese e un sincero, doveroso ricordo a tutti quegli italiani che, lavorando con onestà, spesso ai limiti dell' umana sopportazione, hanno saputo onorare nel mondo la loro terra di origine.

 

Ritengo che la Chiesa di Sant' Agostino sia una degna "cornice" ad una vita spesa al servizio dei ragazzi e votata all'arte più vera e incondizionata, che non segue le mode, ma l'intimo, anche se a volte triste, sentire.

 

 

                                                                                                 L'Assessore alla Cultura

                                                                                                   Massimiliano Simoni

Critica

Ricapitolare la vicenda artistica di Flangini a quarant'anni dalla morte, e dopo un seguito di mostre commemorative che nel tempo gli sono state tributate, significa anche ricapitolare i giudizi critici che sono stati espressi su di lui, confrontarli tra di loro e soprattutto inserirli nella prospettiva storica che il distacco temporale consente.

Flangini ebbe tra i suoi compagni di cammino numerosi scrittori e giornalisti che stimavano le sue opere, vi si immedesimavano e, conoscendone di persona l'autore, le collegavano alla sua figura umana; quando egli morì prematuramente, la gran parte di costoro si dolsero che l'artista non avesse avuto il meritato riconoscimento pubblico.

In realtà Flangini, come dimostra la sua biografia, dopo essersi fatto conoscere appena venticinquenne, aveva esposto sin dalla prima maturità in contesti di grande prestigio, dalla veneziana Fondazione Bevilacqua La Masa alla Permanente di Milano e negli anni Cinquanta aveva preso ad affermarsi all'estero; non si può dire dunque che fosse misconosciuto. Ma è anche vero che, essendo un personaggio libero, non specialmente interessato a un professionismo metodico, non si esibiva con regolarità e con attenzione sistematica al definirsi della propria immagine. Professionista era, sia chiaro, nel senso del possesso del mestiere, della padronanza tecnica, della sicura scioltezza nell'impostazione delle immagini; però il suo temperamento d'artista lo aveva portato di continuo a esprimersi in modi diversi: non era stato soltanto scenografo di opere teatrali, per esempio, ma autore e attore delle medesime.

Negli anni Cinquanta, infine, era approdato con maggiore sistematicità al disegno e alla pittura; e va sottolineato che qui si concentra il meglio della sua produzione di arte figurativa in questo periodo egli attua le sue opere più intense, più originali e insieme di maggior respiro: il compianto dei suoi estimatori fu appunto anche il compianto di veder troncata un' attività nel pieno della resa espressiva, dove le esperienze di una vita ricca di emozioni dirette e sollecitazioni culturali stavano dando i frutti migliori. Flangini lavorava con intensità, produceva ampie serie di opere, e riaffluivano alla sua mano temi e suggestioni assorbite via via nel suo vagabondare per l'Europa, specie in area franco-fiamminga.

A questo proposito va sottolineato che gli anni Cinquanta videro in tutta Europa, e appunto anche in Italia, un accendersi di interesse per la figura di Van Gogh; e Flangini, che aveva a lungo sostato in tempi diversi in Belgio e in Olanda e aveva avuto cognizione dell' ambiente in cui Van Gogh si era formato, fu coinvolto in saporite, insieme narrative e suggestive, rievocazioni del personaggio, del suo ambiente e delle sue esperienze esistenziali. Questo filo conduttore ha fatto si che la critica abbia subito messo in forte relazione lo stile di Flangini con quello della scuola francese postsionista; sottolineando, d'altra parte, per via delle accentuazioni beffarde o grottesche di molte sue raffigurazioni, un'impronta di Ensor, dunque un'inclinazione espressionista.

 

Ricapitolare la vicenda artistica di Flangini a quarant'anni dalla morte, e dopo un seguito di mostre commemorative che nel tempo gli sono state tributate, significa anche ricapitolare i giudizi critici che sono stati espressi su di lui, confrontarli tra di loro e soprattutto inserirli nella prospettiva storica che il distacco temporale consente.

Flangini ebbe tra i suoi compagni di cammino numerosi scrittori e giornalisti che stimavano le sue opere, vi si immedesimavano e, conoscendone di persona l'autore, le collegavano alla sua figura umana; quando egli morì prematuramente, la gran parte di costoro si dolsero che l'artista non avesse avuto il meritato riconoscimento pubblico.

 

In realtà Flangini, come dimostra la sua biografia, dopo essersi fatto conoscere appena venticinquenne, aveva esposto sin dalla prima maturità in contesti di grande prestigio, dalla veneziana Fondazione Bevilacqua La Masa alla Permanente di Milano e negli anni Cinquanta aveva preso ad affermarsi all' estero; non si può dire dunque che fosse misconosciuto. Ma è anche vero che, essendo un personaggio libero, non specialmente interessato a un professionismo metodico, non si esibiva con regolarità e con attenzione sistematica al definirsi della propria immagine. Professionista era, sia chiaro, nel senso del possesso del mestiere, della padronanza tecnica, della sicura scioltezza nell'impostazione delle immagini; però il suo temperamento d'artista lo aveva portato di continuo a esprimersi in modi diversi: non era stato soltanto scenografo di opere teatrali, per esempio, ma autore e attore delle medesime.

Negli anni Cinquanta, infine, era approdato con maggiore sistematicità al disegno e alla pittura; e va sottolineato che qui si concentra il meglio della sua produzione di arte figurativa in questo periodo egli attua le sue opere più intense, più originali e insieme di maggior respiro: il compianto dei suoi estimatori fu appunto anche il compianto di veder troncata un'attività nel pieno della resa espressiva, dove le esperienze di una vita ricca di emozioni dirette e sollecitazioni culturali stavano dando i frutti migliori. Flangini lavorava con intensità, produceva ampie serie di opere, e riaffluivano alla sua mano temi e suggestioni assorbite via via nel suo vagabondare per l'Europa, specie in area franco-fiamminga.

A questo proposito va sottolineato che gli anni Cinquanta videro in tutta Europa, e appunto anche in Italia, un accendersi di interesse per la figura di Van Gogh; e Flangini, che aveva a lungo sostato in tempi diversi in Belgio e in Olanda e aveva avuto cognizione dell' ambiente in cui Van Gogh si era formato, fu coinvolto in saporite, insieme narrative e suggestive, rievocazioni del personaggio, del suo ambiente e delle sue esperienze esistenziali. Questo filo conduttore ha fatto sÌ che la critica abbia subito messo in forte relazione lo stile di Flangini con quello della scuola francese postsionista;  sottolineando, d'altra parte, per via delle accentuazioni beffarde o grottesche di molte sue raffigurazioni, un'impronta di Ensor, dunque un'inclinazione espressionista. Tutte conclusioni appropriate; tanto più che Flangini incominciò la sua carriera di pittore nel corso degli anni Venti, quando in Francia i post-impressionisti, da Dufy a Utrillo, erano al massimo della loro resa personale; estraneo a forbitezze puriste o a crudezze native, ancora negli anni Quaranta egli teneva a modello quello scuola: si guardi alle sue vedute milanesi di Porta Venezia o Porta Ticinese, che sembrano, nello spirito e nell'intonazione, vedute parigine.

 

Ma bisogna precisare che non si trattava di rievocazioni, ossia della ripresa di orientamenti e correnti superate nel tempo: proprio in Italia, nel corso degli anni Trenta e nel decennio successivo, la reazione al clima del cosiddetto Novecento aveva indotto molte scuole a riprendere un tardo espresssionismo, dai toni drammatici a quelli grotteschi, con peculiarità nuove. Flangini non è estraneo all'atmosfera del suo tempo, anzi è liberamente e originalmente in essa inserito: e penso, a parità di date, al gusto delle maschere di Aldo Carpi, all'arguzia drammatica di Ugo Vittore Bartolini; peraltro è già stato ricordato che a un certo punto egli era vicino a Renato Vernizzi e Donato Frisia, cioè ai chiaristi: cui rimanda, in questo caso, la sua tavolozza leggera, fluida, luminosa.

Un discorso a parte merita la serie di opere di Flangini sul tema delle miniere e degli altiforni, per le quali si fa di solito riferimento al mondo di Van Gogh. Nella sua frequentazione intensa dei paesi fiamminghi, e nelle sue lunghe soste a Bruxelles, Flangini ebbe certo occasione di vedere le opere che tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del secolo successivo soprattutto la scuola belga dedicò a questa attività operaia; ma che fu tema, di matrice sociale, di varie scuole europee, compresa quella italiana. Anche in questo campo, dunque, Flangini non è isolato; ma nello stesso tempo si immedesima in un tipo di rappresentazione vibrante e intensa, che sta fra l'immediatezza veristica e la trasfigurazione simbolica; utilizzando una tavolozza fervida e potente, ma non mai pesante. Questo sapere unire la forza, diremo cosi, con la grazia è una sua specifica qualità.

 

A proposito di tavolozza: a prescindere dalla fedeltà rappresentativa che comporta da caso a caso l'uso di particolari colori, Flangini in gioventù predilige timbri aurei e rosati, o impostazione sui marroni con frequenti densità di tratto. Ma la successiva produzione, quella degli anni Cinquanta, sembra voler riprendere una luce veneziana, con preferenze per i toni azzurrini, che assecondano un tocco vivace: mirabile maneggiatore di pastelli, sembra che trasformi in morbidezze di pastelli anche le pennellate ad olio. Sinché, all' apertura degli anni Sessanta, tutto si fonde in un cromatismo forte e intenso, non trascolorante e anzi secco e denso nei passaggi. Così brilla la luna rossa (che poi è il sole al tramonto) a fianco del faro di Ostenda: siamo ai limiti di una semplificazione astratta, dove tutto si riaccende in una sublimazione del colore.

Flangini poteva darci ancora nuove e variate immagini di sé e della sua idea del mondo; ma il patrimonio che ci ha lasciato è in ogni caso un messaggio coinvolgente: insieme comunicativo e misterioso.

 

 

                                                                                                             Rossana Bossaglia  

Biografia

"Questo Giuseppe Flangin; pittore veronese, è un uomo semplice eppure straordinario. Basso, scuro, con occhi acuti; fondi e sorridenti.. è una forza naturale, un istinto." (L. Borgese)

Giuseppe Flangini, primo di cinque figli, nacque a Verona il 12 ottobre 1898, da Silvio e Maria Sterza, insegnante, figlia di Alessandro Sterza, insigne matematico e inventore della lampada ad acetilene per la quale era stato insignito di medaglia all'Exposition di Bruxelles del 1897.

Conseguito il diploma alla Scuola Normale "A. Manzoni" di Verona il 27 giugno 1916, iniziò presto la professione di insegnante elementare che continuò anche dopo il suo trasferimento a Milano, avvenuto nel 1944.

Fino a quel momento Flangini fu "per cosi dire, polivalente: pedagogo o insegnante, commediografo, pittore, disegnatore, dotato di uno strano potere in ogni campo si cin1enntasse. Poi la pittura prevalse, ma rimasero svegli in lui, non separati né addormentati, gli interessi multipli, la cultura indeterminata tutto ciò con l'umiltà di un'apparente bonomia dialettale, di un esprimersi che smorza la grandezza del tono". (G. A1tichieri). Disegnò manifesti e copertine di libri, infatti, ma soprattutto si dedicò alla pittura e al teatro, collaborando con la rivista teatrale "Contro Corrente" .

Come autore di commedie, di cui curò spesso regia e scenografia, ottenne premi e riconoscimenti che lo resero molto noto nel circuito del teatro filodrammatico. In quegli ambiti strinse amicizie durature con attori, Nico Pepe, Sarah Ferrati, registi, Carlo Terron, Diego Fabbri e artisti quali Orazio Pigato, Vitturi, Semeghini, Arturo Martini, autore del busto ritratto dall'autore nell'opera in mostra. La sua prima esposizione fu quella, significativa per il clima culturale del periodo, organizzata dalla Società di Belle Arti a Verona nel 1921. Dal 1921 partecipò, tranne qualche breve interruzione, a tutte le biennali nazionali fino al 1959.

Varie e importanti le manifestazioni artistiche nazionali alle quali prese parte. Tra le più prestigiose la Esposizione Nazionale Quadriennale d'Arte di Roma, le mostre tenute al Palazzo della Permanente di Milano, ininterrottamente dal 1948 al 1961, le due esposizioni dell'Opera Bevilacqua La Masa del 1934 e del 1936. Numerosi i premi (Premio Suzzara, Premio Dalmine, Premio Gallarate, Prémio Marzotto ecc.) e numerose le personali a scadenza quasi annuale in Italia (Milano, Bergamo, Como, Gallarate, Piacenza, Rovereto, Riva, Venezia, Forlì ecc.) e all' estero: Bucarest, Dl.isseldorf, Bonn, Vienna, Monaco, Charleroi, Bruxelles, ecc.

A Milano insegnò ancora per due anni, poi lasciò la scuola (1946) e si dedicò completamente alla pittura, che divenne argomento di vivaci scambi epistolari e di animate discussioni: a Milano, al caffè "S. Babila" di Corso Venezia, con Lilloni, De Rocchi, Labò, Bartolini, Contardo Barbieri, e ancora con Lanaro e Speranza; a Forte dei Marmi con C. Carrà. I suoi viaggi all'estero erano iniziati nel 1922: in quell' anno si era recato in Belgio per conoscere i parenti della giovane moglie, la pittrice Gina Zandavalli Flangini, là emigrati per ragioni politiche. Divennero poi annuali "pellegrinaggi" estivi alla ricerca dei luoghi che avevano ispirato gli impressionisti. Solo nel 1946 incominciò la sua wanderung, fino ad allora limitata appunto all'estate, nei musei di Parigi, Bruxelles, Bruges, Amsterdam, Monaco alla ricerca dei maestri ideali.

Nel ritrarre il paesaggio ebbe particolare attenzione per l'ambiente caratterizzato dall'acqua, sia esso fluviale, marino o lacustre (quello montano fu quasi esclusivamente trentino, ricordo della prin1a guerra mondiale, del campo di prigionia e di due estati particolarmente felici, quella del 1959 e del 1960), per il paesaggio urbano e industriale, per la rappresentazione del lavoro dei minatori - allora quasi solo italiani - dei pescatori, degli scaricatori, degli allevato l'i, dei sabbionai, degli agricoltori. A partire dagli anni '50 approfondì la matrice espressionista della sua pittura (gli accadde di trovarsi a Wasmes nel 1955 durante la lavorazione del film di V. Minelli su Van Gogh "Brama di vivere": al seguito della truppe come pittore "ufficiale" disegnò e dipinse attori, comparse e ambienti vangoghiani). Durante una delle permanenze estive a Ostenda aveva stretto amicizia con Ensor con il quale in numerose occasioni si trovò a discutere d'arte. Quadri come la Kermesse, cioè la rappresentazione delle feste popolari mascherate, sono anche l'ideale omaggio al maestro oltre che approfondimento di un tema, cioè la maschera, molto caro a Flangini, uomo di teatro. "Gli ultimi anni di Flangini, dal '59 al '61, furono caratterizzati dalla nascita di un nuovo e felice cromatismo riconducibile alle esperienze dei fauves e di Vlaminck in particolare. In opere come «Campagna a Chaderoi» (1961), «Mulino a vento a Hechteh> (1960), «Paesaggio a Gilly» (1961) traspare una visione più serena della vita, che si esprime oltre che nei temi anche nei toni gialli, ocra rossastri e bruni, vivaci e accesi in un'atmosfera tersa e pulita. «Faro di Ostenda» (1961) e soprattutto «Mulino a Bruges», ultima opera dell' artista rimasta incompiuta sul cavalletto del suo studio alla sua morte, restano come testimonianza del perdurare di una ricerca ancora aperta e vitale". (A. Di Lieti).

Nell'agosto del 1961 Flangini morì improvvisamente a Verona, durante un breve soggiorno.

La città di Milano gli dedicò due importanti retrospettive: la prima nel 1967 a Palazzo Reale, promossa da un gruppo di artisti e critici, quali C. Carrà, Funi, Treccani, A. Carpi, L. Borgese ecc. e un'altra, qualche anno dopo, all'Arengario, promossa dal Comune. Negli anni successivi sono state allestite circa trenta mostre, in Italia e all'estero, per commemorare la figura e l'opera del Maestro ("Semplice pittura di ogni tempo, che vive e che va come una persona" - L. Borgese), fino alla presente che rientra nell' ambito delle manifestazioni iniziate in occasione del centenario della nascita dell' artista.