Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Idea per una scultura

Giancarlo Franco Tramontin


a cura dell'Associazione Caleidoscopio

 

inaugurazione: sabato 28 aprile 2001 - h. 18.00

esposizione: dal 28 aprile al 13 maggio 2001

luogo: Sala dei Putti - Centro Culturale "Luigi Russo" - Pietrasanta

orario: da martedi a domenica h. 15.30-19.00

ingresso libero


Comunicato stampa

Presentazione

Critica

Una fervida, ininterrotta celebrazione della figura umana

 

 

A uno sguardo che ne abbracci l'intero percorso, ormai in procinto di approdare alla mèta del mezzo secolo, la ricerca di Giancarlo Franco Tramontin si configura come una fervida, ininterrotta celebrazione della figura umana, segnatamente ancillare e comunque ispirata a un ideale di bellezza androgina, ma direi meglio incontrata nella transizione ambigua, nell'infiorescente rivelarsi dell' età adolescenziale che nega la distinzione somatica dei sessi mentre ne svela, per aurorali segnali, gli incipienti caratteri primari. Vero e proprio "corpo d'amore", fatta oggetto d'una frequentazione assidua, come un corteggiamento, la figura: scaturigine sempre rinnovata della forma e luogo principe d'un immaginario scultoreo ancora acceso dal desiderio di attingervi fecondi stimoli creativi, dopo tanto dissetarsi alla sua fonte.

L'artista veneziano non ha mai tradito la propria vocazione, sin dal primo delinearsi e confermarsi in consapevole proprietà espressiva del suo linguaggio di chiara assegnazione sintetista e aperta a diverse soluzioni strutturali, ma soprattutto praticata nella versione biomorfica acquisita alla sintassi moderna da Arp e risalente, quanto a memoria storica, a una matrice mediterranea i cui documenti più suggestivi sono i marmi ciclabili.

Nella visione biomorfica di Tramontin la forma sembra trarre linfa vitale da uno o più nuclei generatori, intorno ai quali sinuosamente fluiscono e si espandono in turgida pienezza le masse plastiche. Sottratte a ogni accidentalità e portate a un estremo grado di politezza che le rende immateriali, quasi con erezioni d'aria, le superfici si modulano morbidamente suggerendo davvero morfologie corporali, a prescindere dalla presenza in effige della figura, talora leggibile per analogia o anche solo allusa e sottesa alla modulazione vagamente antropomorfa della struttura.

Ne scaturiscono volumi collinari dolcemente flessi in profili suadenti che con eguale nitore disegnano le figure complementari del pieno e del vuoto, entrambe formalmente qualificate e significanti in quanto correlate nella continuità organica della partitura.

La quale emana un senso di compiutezza tuttavia in tensione, ossia non congelata nella sua misura architettonica, sia quando l'organismo plastico pur spazialmente articolato si ripiega su se stesso, lasciandosi awolgere dallo spazio circostante che vorrei dire fisiologico al suo respiro, sia quando si schiude a ulteriori sviluppi, lasciando che lo spazio la invada col suo portato di luce.

Alle finezze ora enunciate del linguaggio sintetista Tramontin fu iniziato da Alberto Viani, che di quella sintassi è stato senza dubbio il più sensibile interprete italiano, pervenendo a un grado estremo di depurazione, nel desiderio di attingere il momento sublimante in cui compiuta o portata al limite della persistenza fisica la spoliazione fenomenica della materia che tiene il luogo della natura, se ne intuisce l'essenza o per cosÌ dire l'idea che la informa.

Ricordo che Alberto Viani fu dapprima maestro amatissimo e quasi nume tutelare di Tramontin, alla scuola di scultura dell'Accademia di Venezia, quindi amico confidente e interlocutore privilegiato, essendo nel frattempo il giovane discepolo divenuto suo assistente didattico e collaboratore operativo, e gli sarebbe infine successo al magistero della prestigiosa cattedra di scultura già tenuta da Arturo Martini.

Circa il ruolo svolto da Alberto Viani nell'iniziale orientamento formativo e nelle decisive scelte di campo che lo avrebbero in seguito guidato nella ricerca creativa, lo stesso Tramomin ha reso più volte testimonianza, riconoscendosi legato al maestro in sostanziale corrispondenza di visione scultorea e di intenti espressivi, e vorrei quasi chiamarla goethiana affinità se si pone mente alla devozione con cui egli ne custodisce oggi la memoria. Non insisto qui, pertanto, in considerazioni intorno alla questione delle assonanze e delle distinzioni che sempre si danno allorché si incontrano, e per lungo tratto procedono affiancati, due artisti di diversa generazione.

Del resto, la critica è ritornata più volte sul tema con argomenti esaustivi, da Apollonio a Ragghianti a Valsecchi a Formaggio a Franzini a Simone Viani, per nominare solo alcuni dei numerosi interpreti dell' opera di Tramontin. Per tutti i contributi valga la breve e penetrante osservazione del compianto Pier Carlo Santini, che è stato, peraltro, lo studioso più attento e il maggior conoscitore dell' opera di Viani. Ebbene, nella presentazione a una mostra milanese di Tramomin (galleria Cadario, 1965) Santini scriveva: «Laddove Viani si mostra volto alla sintesi estrema, sia che costruisca in pieno rilievo le sue masse plastiche, sia che le sfaldi sciogliendone la compattezza, Tramontin volge ad articolazioni più risentite, o inquiete, o fratturate, variando ripetutamente spessori e profili; e in altri termini sviluppando una visione più analitica, più mobile, più rarefatta».

Sono indicazioni preziose, queste di Santini. Hanno il merito di fissare esemplarmente i tratti distintivi delle singole personalità: quella di Viani orientata, come si è detto, a trascendere la realtà fenomenica serbandone, nella rarefazione della forma plastica per di più consegnata all'immaterialità del gesso, l'impronta essenziale; quella di Tramontin incline a operare processi astrattivi, o per meglio dire di avanzata riduzione formale, ma per maglie più larghe e diversioni di percorso che consentono varianti considerevoli e persino mutazioni ardite di strutture, ritmi e configurazioni delle partiture. In tal modo Tramontin non preclude l'insorgere pur controllato degli umori, intesi ovviamente come sottosuolo di sensazioni e di proiezioni immaginative legate alla vita, e in definitiva si concede la possibilità di evocare situazioni dell'umano, senza peraltro inficiare con indebite insinuazioni narrative o abbandoni emotivi l'autoreferenza della forma. Potremmo anche parlare di una maggiore disponibilità a saggiare soluzioni, a rispondere a sollecitazione contestuali alla ricerca artistica di più ampio raggio che pretendono un campo meno rigidamente segnato nei suoi confini stilistici, in rapporto anche alla qualità espressiva e proprietà estetica dei materiali utilizzati e delle tecniche relative. Le quali, come si sa, non sono neutre circa la determinazione degli esiti formali e, in definitiva, del linguaggio. Tramontin ha affrontato con eguale eccellenza di risultati il bronzo, il marmo, il legno. Persino la carta pressata in rilievi delicatissimi che niente perdono di suggestione plastica per essere, come sono, ridotti all' esiguità di consistenza materiale. Ha realizzato inoltre rilievi virtuali, che vorrei dire monoplanari, sapientemente combinando carte ritagliate di diversa campitura tonale, sicché nell'immagine confluiscono il gusto grafico, in lui affinato come per un calligrafo giapponese, e lo spirito della scultura.

Aggiungerei quale ulteriore elemento distintivo, in questo caso relativo ai referenti culturali che entrano per accessi diversificati nel laboratorio dell' artista, l'attenzione ai modelli visivi o se vogliamo alla tipologia della scultura classica sempre avvertibile, quasi presenza archetipale, nell'intero arco della ricerca, come cadenza ritmica o misura interna al respiro delle partiture, ma più chiaramente leggibile nelle opere qui documentate con le quali negli anni Novanta Tramontin compie il proprio "devoto" omaggio alla fonti greche della civiltà occidentale. Non si tratta di un citazionismo di maniera, di antica o recente istituzione accademica. Non c'è nostalgia museale nel riproporre figure e creature del mito a lui confidenti sin dagli anni giovanili, quando ne visitava i simulacri nei siti originari, onde godere e quindi apprendere il segreto formale della loro bellezza, che dura oltre l'ingiuria del tempo in quanto concepita per uno sguardo affissato  a un punto e l' essere posto oltre la fenomenologia dell'effimero che governa, al contrario, il nostro tempo totalmente preso e perso nelle liturgie del consumo.

Nel diramato percorso suo di scultore Tramontin ha inseguito, in fondo, un ideale di bellezza come rivelazione alla luce di una forma corporale capace di registrare, nelle sue variazioni tipologiche, a un

tempo il relativismo cognitivo del nostro secolo e la necessità ansiosa di ancorarsi a una qualche certezza nella deriva della vita.

Una scultura non dà risposte ai grandi interrogativi che l'uomo si pone, circa il qui e l'altrove del proprio destino. Semmai complica con l'ambiguità del proprio linguaggio il mistero dell' essere, tuttavia consentendo in itinere, a chi la pratica, di intravedere ipotesi almeno, prefigurazioni di possibili approdi all'isola irraggiungibile della compiutezza.

La fedeltà non mai smentita alla figura ancillare, e suo tramite al "corpo d'amore" della scultura, è stata ed è per Tramontin un modo per rinnovare l'ipotesi della bellezza come grato e pur provvisorio approdo.

Ed è stato cosi intenso e fecondo di sollecitazioni creative, il suo confidente abbandono, da far pensare al suo ormai lungo itinerario come a una monodia modulata in ricca gamma di registri, su una linea armonica di flessione ondulare dell' elettiva morfologia che non esclude contrappunti acuminati, marcature rigide dei piani, incisioni portate come ferite nella spiegata politezza dei volumi, forme piegate e serrate alla penetrazione della luce, insomma la dialettica degli opposti che è pur sempre un indizio della vita. Certo l'opera di Tramontin potrebbe essere letta in una chiave esclusivamente formale come inesausta variazione musicale sul tema della figura, e sarebbe questa una ragione sufficiente a suffragarne, per la qualità degli esiti, non solo la legittimità del suo statuto artistico, ma il valore propositivo di messaggio poetico. Tuttavia nell' apparente serenità del suo dispiegarsi, essa si rivela una sorta di reliquia che celebra la perduta, o forse non mai esistita integrità dell'umano nel luogo sublimato della bellezza. E lo sguardo raccoglie una sottile ombra di malinconia.

 

                                                                                                                          Nicola Micieli

Biografia

Giancarlo Franco Tramontin nasce a Venezia nel 1931.

Dopo aver studiato all'accademia delle Belle Arti della sua Città, nella sezione di scultura, avendo per maestro Alberto Viani, consegue il diploma dell'Accademia con una tesi premiata dalla Cassa di Risparmio di Venezia. Nel 1956 vince una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione per un soggiorno di studio in Grecia. Questa esperienza è fondamentale per la sua formazione artistica, tanto che lo studio della scultura greca (che pone la centralità nella figura umana) e delle suggestioni arcaiche della materia incideranno profondamente nel suo modo di concepire la forma e l'evento artistico.

Dopo essere stato per parecchi anni assistente all'Accademia di Venezia del Maestro Viani, li succede nella cattedra nel 1978. Nel corso degli anni svolge una ricerca quasi ossessiva che si incentra sulla "necessità" e sulla "purezza" della forma esaltata dalla levigatezza delle superfici. Il bronzo, il marmo, il legno, suoi materiali preferiti perdono sempre più fisicità e diventano dominio della luce che fa emergere l'incorrotta entità delle forme.

Della sua opera si sono occupati molti critici, fra i quali si citano:

U. Apollonio, S. Branzi, L. Caramelle, E. Crispolti, E. Di Martino, D. Formaggio, G. Marchiori, G. Mazzariol, N. Miceli, M. Piantone, C. L. Ragghianti, G. Segato, L. Serravalli. T. Toniato. D. Valeri, M. Valsecchi, S. Viani