Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
 ... > Mostre > 2000 > Verso il sogno di Afrodite  le mostre
Verso il sogno di Afrodite

Francesco Cremoni


a cura di Giuseppe Cordoni


inaugurazione: giovedi 7 settembre h. 18.30

esposizione: dal 7 al 24 settembre 2000

luogo: Sala delle Grasce - Centro Culturale "Luigi Russo"- Pietrasanta

orario: da 7 al 17 settembre h. 18.00-20.00/21.00-24.00 dal 18 al 24 settembre h.15.30-19.00

ingresso libero

 

Francesco Cremoni è presente nella collezione del Museo dei Bozzetti


Comunicato stampa

Presentazione

Critica

"VERSO IL SOGNO DI AFRODITE"

La figura del corpo femminile come forma chiave latente nella scultura di Francesco Cremoni

 

L'insorgere d'ogni idea di classicità ha implicato nel corso della storia il cristallizzarsi di forme archetipe esemplari che, fertili come semi, hanno fatto germogliare quelle immagini decisive dei miti, dei credi e delle ragioni su cui un'intera civiltà costruisce sempre i propri valori estetici e morali. Forme che, entrate nell'immaginario collettivo, ne hanno determinato la sensibilità, imponendosi poi come paradigmi canonici di ogni linguaggio. Così è accaduto, per esempio, che quasi tutta la scultura occidentale sia stata attratta dai due poli sensibili del maschile e del femminile: della grazia e del vigore, inseguendo in essi sempre un sacrale miraggio di beltà o di perfezione religiosa attraverso la figura del corpo umano.

 

Non è stato infatti lo scultore arcaico uno dei primi mediatori fra gli uomini e gli dei, quando ha eretto il primo cippo sul tumolo di un corpo amato, o ha tratto dall'Invisibile il volto d'un dio nascosto per invocarne l'arcana maestà? Non ha forse del corpo umano cantato l'ideale armonia, quando lo scultore classico lo ha esaltato nelle greche e auree proporzioni del canone, elevandolo alla gioia perfetta della danza. Ma ancor più nel Medio Evo i corpi scolpiti delle umane creature si sovrappongono come mattoni dell' anima nella costruzione della grande Cattedrale. Così nei portali o nelle volte gotiche i corpi dei santi s'accatastano verso la luce, mentre nei pulpiti toscani si trasformano in brulicanti e lievitanti masse di carne viva e gemente che invoca la Salvezza dalla morte. E persino nel corpo del Crocefisso non è tornato Brunelleschi a sognare l'armonia d'una suprema misura? E la materia del marmo, come allertata dalla visione di un evento mirabile, non si è forse messa ad oscillare fra "finito" e "non finito" sotto le mani michelangiolesche assetate di resurrezione? E il candore nel marmo è stato poi trafitto dalla febbre interiore, mistica e sensuale, d'ogni estasi berniniana. Per tornare infine, lunare, ad evocarci tutto l'incanto erotico delle veneri canoviane.

 

La scultura contemporanea interprete dei miti e dei valori della modernità in buona parte ha avvertito questo patrimonio classico di risorse figurali attorno alla rappresentazione del corpo umano come un ingombro paralizzante. Per operare questa sua radicale frattura con il passato, le occorreva infatti un'immaginazione che tornasse all'incanto degli inizi: vergine e liberata. Perciò ha ben creduto necessario di dover far tabula rasa d'ogni legame o debito verso lo spessore diacronico della tradizione, sbarazza dosi (almeno ai suoi occhi) dell'inutile fardello della memoria. Verso qualunque direzione essa volgesse la sua ricerca. Sia che anelasse alla purezza senza tempo d'un'astrazione geometrica assoluta, sia che s'illudesse che le bastava citare gli oggetti-cose-materie-reperti d'una nuova civiltà tecnologica per farci toccare, il più realisticamente possibile, la più disillusa dimensione del nostro tempo. Sembrava dunque che non vi fosse più posto per un linguaggio plastico che traesse la sua ragione di esistere proprio dalla persistenza mitica e memoriale delle forme d'un corpo sognato.

 

Il percorso creativo della scultura di Francesco Cremoni appare, sotto questo profilo, eccezionalmente emblematico e suggestivo. Proprio per come giunge a smentire questa radicale e diffusa dissolvenza dei codici della memoria scolpita; e recupera invece, a poco a poco e quasi inconsapevolmente, l'eco d'una forma che vive come riflessa nella lontananza. Ma che infine riemerge nel profilo muliebre e misterioso d'un' eterna Afrodite immaginata. E vale veramente la pena di scoprire per quale via segreta questa nostalgia post-moderna verso un motivo classico: figurale e simbolico così rilevante, abbia infine colto proprio un scultore di formazione astratta e di matrice minimalista, come Francesco Cremoni.

 

Si sarebbe detto infatti che il suo repertorio espressivo potesse esaltarsi ed appagarsi anche soltanto su quei pochi motivi plastici chiave da lui elaborati (o ancor meglio: distillati) con estrema raffinatezza. Proprio lui, scultore carrarino innamorato delle viscere della materia apuana prediletta, avvezzo a misurarsi sin da ragazzo con tutti i segreti del marmo e a sentirne ogni conformazione morfologica come il presupposto carnale d'ogni forma pensata, con un lungo e paziente tirocinio aveva appreso veramente a piegare l'inerzia della pietra al filtro delle proprie emozioni. Tantomeno la scuola di rigorosa astrazione in cui si è formato agli inizi degli anni Settanta lo aveva isolato e recluso in un gioco esclusivamente concettuale di felici combinazioni geometriche. Perché per lui niente v' era d'inerte già nella stessa materia che usciva dal cuore della Natura. E la stessa montagna gli appariva allora come un immane corpo addormentato: era l'immagine d'un mondo femminile avvertito come possente, fertile e inesauribile. Non veniva infatti ogni blocco, secondo un' antica felicissima espressione della gente del marmo, strappato al grembo della "madre cava"? E Cremoni lo sentiva come un parto drammatico e l'inizio effettivo dell'atto di scolpire.

 

Così, sin dal suo esordio, ogni sua opera si presentava come l'espressione d'un evento vitale. E già l'intrinseca qualità e bellezza della pietra suggeriscono, più che astratte, le sue organiche invenzioni. Ma, come già scrivevamo, Cosmos e Caos, armonia e sovversione, ordine e mutamento, riposo e fatica, serenità e sofferenza si ponevano come poli contrari irriducibili di questa sua così precisa capacità percettiva. Poli che nel suo linguaggio implicavano scelte conseguenti, per cui da un lato s'imponeva la presenza delle forme chiuse, affusolate e solari, contemplate nella calma del rigore geometrico che le delimita; e dall' altro si rivelava dirompente una forza che devasta la stessa compattezza della materia, come se andasse soggetta a primordiali esplosioni, traversata da ordigni laceranti, o radiante come se agitata dal suo interno da qualche fiamma indistruttibile. Poli che potevano imporsi anche come una metafora efficace dell' originario e amato paesaggio carrarino, dove per dirla con un poeta: "Tutto è violenza o amare, scempio o letizia di luce." O ancor più precisamente cogliere due contrastanti modi di sentire la bellezza e la vita nel suo farsi. O risalendo infine alla memoria delle forme scolpite, l'uno stilizzerebbe la misura d'ogni classica armonia, mentre risuonerebbe nell' altro l'eco d'ogni deflagrazione barocca.

 

È vero! Per molto tempo questi due poli della sensibilità di Cremoni convivono quasi opponendosi. E quegli eventi di vita ci appaiono magistralmente espressi nella pietra piegata: traducono emozioni elementari ed immediate dinnanzi al mistero della Natura. Dilatano con grande efficacia minime sinestesie suggestive.

 

Così gli bastano poche ritmiche scansioni su una grande tastiera verticale di pietra per evocarci l'effetto d'una vibrante modulazione sonora; e sembra che allora a cantarci sotto gli occhi vi sia un grande organo di marmo. O è sufficiente che appena ci suggerisca il moto d'una fiamma attraverso una liscia superficie, per farei percepire la violenza d'una carne martoriata.

 

Ma è occorsa veramente una lenta gestazione perché seppure latente l'idea di corpo scolpito riemergesse stilizzato nel mitico profilo d'una Afrodite sognata. E perché ciò avvenisse è stato innanzitutto necessario

 

che i due poli si sovrapponessero e che la figura organica e chiusa si affermasse imponendo la postura verticale, quella che ci riassume lo stesso organismo umano. Così a questo simulacro classico della beltà al femminile, Cremoni è giunto attraverso un suggestivo repertorio di figure analoghe: naturali o fantastiche, in cui a mano a mano s'è adombrata la tenerezza del germoglio; o s'è sviluppata ubbidendo a imprevedibili metamorfosi, o s'è fatto trasparante lo splendore diafano del calice aperto, o l'arcana maestà delle sue lune ferite. E ancora tutto ciò esprimeva il fascino d'una grazia attinta ancora una volta fra le pieghe del mondo che ci circonda; mentre quella sua spiccata propensione alla sintesi ideativa lo portava ad esigere anche soluzioni che s'aprivano su una dimensione ancor più immateriale e spirituale. Verso quella realtà dell'anima che impone alla pietra un'idea suprema di leggerezza sino a trasfigurarsi giustamente in un'immagine alata: in una celestiale e materna presenza dal fianco ferito, in grado di sollevare nel suo volo anche la nostra dolorosa e limitata esistenza.

 

Proprio allora è ricomparso il simulacro della donna-dea: fra lo stelo del fiore che s'innalza e l'ala dell'angelo che spicca il volo. Così la scultura di Francesco Cremoni ha compiuto il giro di boa del nuovo Millennio tornando a rendere il suo omaggio alla nascita perpetua della grazia di Afrodite. Perché soltanto adesso ci si accorge di come tutte le linee di eleganza e di forza delle sue precedenti figure veramente convergessero verso di lei.

 

La materia e la forma, la compattezza ed il vuoto, la misura e il movimento, la linea che sale avvolgente e compiuta e l'informe dissonanza che la frantuma, la pura immagine mentale che fiorisce senza legami con il passato e l'immagine mitica che invece vi sprofonda e se ne nutre: tutti questi elementi entrano dunque in sintonia, realizzando proprio qui, in questo omaggio alla persistenza mitica di Afrodite, la loro sintesi più compiuta.

 

Ed eccola, allora, questa sua ultima figura femminile maestosamente crescere, avvitarsi, assottigliarsi ed espandersi con un'immateriale levità. Quasi che il suo corpo presente: il suo corpo ritrovato debba essere restituito ad una sua sacrale e perenne dignità di bellezza.

 

E come sempre è accaduto attraverso i secoli, nel candore del marmo. Che sia il silenzio della scultura a sottrarla al chiasso osceno del nostro tempo! Che possa sfuggire alla violenza del suo sguardo inaridito! Che un pudore poetico torni a rivestire la sua nuda immagine, e non appaia più come un segno di grazia profanata, o misero strumento di piacere, o una cosa, o una merce, o un oggetto senz'anima.

 

Perciò Cremoni torna finalmente ad avvolgerla nei veli d'una memoria classica ritrovata. Perché siano proprio loro, le forme archetipe della beltà femminile scolpita, ad imprimerle nuovamente un palpito sacro di mistero e di vita. Stilizzato il bel corpo cresce e si flette come un arco, ma mutilo del capo e delle braccia. Come se stesse risorgendo dalla palude smemorata di questa nostra modernità senza radici. E invece quante immagini di altre Afroditi indimenticabili cela e rivela, a mano a mano che lo sguardo dell' osservatore, lentamente muovendosi a lei torno torno, scopre nei suoi molteplici punti di vista. Quasi che si trattasse di più sculture assieme mentalmente evocate. E questa gamma continua e imprevedibile di esiti plastici differenti che s'innalza e si rompe in un contrappunto così severo e melodioso, fatto di linee decise e di fratture improvvise, ci porge una grazia sfuggente, come quella d'una fontana che zampilla inafferrabile sotto la luce.

 

E appare prima di tutto, così mosso e leggiadro, quel suo flettersi in avanti. Eccola nello slancio deciso d'una Nike senz' ali. Memore del complicato e sublime equilibrio che sorregge una Venere di Milo, ecco la delicata modularci la sua sinuosa verticalità. Eccola investita da un vento che solleva la sua candida veste sotto il seno. Forse quel vento stesso della storia che con la sua violenza ha aggredito la bellezza ogni volta che appariva. Quasi 1'attraversa, la taglia e la ferisce. E la materia del marmo viene allora sottomessa a quest'impeto trasversale; si lacera e si trasfigura in brani di stoffa o di carne che volano strappati via. Eppure quel suo passo di danza non si arresta. E nell'incedere la grazia del suo fianco ci ricorda il venirci incontro d'una Primavera che non deve più sfiorire; o quel suo avvitarsi ripropone altre veneri rinascimentali protette dalla penombra di giardini silenziosi. Non v'è infatti ostacolo che possa fermarla, non fosse altro perché lei è figlia d'un sogno inesauribile, e può tornare a rinascere ogni volta che il mare dischiude ogni sua onda sulla riva.

 

E quali altre classiche forme scolpite quest'ultima Afrodite ci riassume? Cremoni si lascia guidare dalla loro struggente nostalgia; e di certo non soltanto dai residui del loro simulacro. Perché anche in questa occasione ciò che lo avvince ancor più intensamente resta il modo con cui di volta in volta i maestri del passato hanno saputo dialogare con il marmo. Cerca d'intenderre in virtù di quale prodigio tecnico il loro linguaggio abbia saputo tradurci, del mitico corpo della donna-dea, e la pelle e la luce. Quella capacità estrema di cogliere ogni trasalimento, passaggio, e metamorfosi della stessa materia vivente. E gli tornano in mente i precursori supremi della forma che si disfa perché cerca altre nascite e altre morti; e della forma che invece si cristallizza per sempre in un'algida trasparenza lunare. E, poli estremi di tanta sospirata perfezione, Cremoni rivede la crudele durezza d'un tronco di lauro inghiottire le membra melodiose della Dafne berniniana; rivede il gesto quasi di spavento della Venere Italica canoviana, sorpresa al bagno nella sua folgorante nudità, fissarsi per sempre in un moto d'improvviso timore. E sente che fra questi due classici poli la beltà del marmo può seguitare a rispondere, ma soltanto a chi seguita a sognarla con una pazienza ed una fatica infinita.

 

                                                                                                   Pietrasanta 7 agosto 2000

                                                                                                         Giuseppe Cordoni

Biografia