Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Mostra antologica, opere scelte di Alfredo Catarsini

centanario dalla nascita


a cura di Antonella Serafini


inaugurazione: sabato 25 marzo 2000 -  h. 17.30

esposizione: dall' 1 al 16 aprile

luogo: Sala dei Putti - Centro Culturale "Luigi Russo" - Pietrasanta

orario: da martedi a sabato h. 15.30-19.00

ingresso libero


Comunicato stampa

Presentazione

Critica

Alfredo Catarsini e Lodi

 

La vicenda lodigiana di Alfredo Catarsini è legata alla presenza a Lodi della nipote Elena Martinelli; tra il 1988 e i primi anni novanta il pittore amava trascorrere alcuni periodi dell'anno nella città lombarda, soprattutto la primavera e l'inizio dell'autunno quando Lodi e la sua campagna danno i segni della imminente fioritura e delle svariate sfumature colorate che caratterizzano la ricca piantumazione del territorio lodigiano. Luoghi che sono poi diventati elettivi per l'artista così come lo era la Versilia, il paesaggio marino con i suoi entroterra e i borghi carichi di storia di quella parte di Toscana.

Sono cose queste di cui mi sono subito reso conto quando, con il rispetto e la venerazione che può avere un estimatore d'arte al cospetto di un Maestro, mi sono messo ad ascoltare il racconto, a più puntate, della sua vita artistica.

Mi sono subito sentito raccontare da Catarsini che a sedici anni, durante un soggiorno a Parigi conosce a Montmarte Amedeo Modigliani e, nel 1933, partecipa a mostre organizzate da Tommaso Filippo Marinetti con Depero, Boccioni e Balla; inoltre veniva spesso invitato a collettive insieme a Rosai, Sironi, Soffici e Carrà. Più di trecento mostre organizzate sin in Italia che all'estero con presenze alla Biennale di Venezia nel 1942/48/50, alla Quadriennale romana nel 1943/48/50/52/56/59.

Le conversazioni con lui avvenivano spesso a quattr'occhi attorno a un tavolino da salotto, mi guardava con due occhi profondi su di una fronte lucida con un viso scavato. L'accostamento a Pablo Picasso era inevitabile, come lui geniale e sempre pronto a superare se stesso: nella ricerca artistica e "nelle cose della vita". Vita vissuta, in epoca più recente, tra Viareggio e Pietrasanta da un lato e Lodi dall'altro. In provincia dunque, una provincia che ha i suoi vantaggi quando chi vi abita possiede la consapevolezza di sé, la giusta dimensione del proprio valore. A questo proposito Catarsini mi raccontava che vivere in provincia non significa estraniarsi dall'enigmatico e controverso mondo dell'arte, anzi, viverci significa recepirlo in una dimensione più umana ed essenziale, senza il pericolo di essere mortificati e travolti. Era questa la sua consapevolezza, la sua dimensione del vivere.

Uno dei ricordi che ho più vivi di lui è quello degli incontri del settembre del 1989, Catarsini aveva da poco compiuto novant'anni ed io avevo la convinzione di avere di fronte uno dei pochi pittori di "Scuola toscana" che ancora lavoravano, organizzavano mostre ed erano una presenza artistica viva e creativa. Era reduce dal successo di una sua rassegna antologica a Torino, organizzata dal Comune e dalla Regione Piemonte e durante quella sua breve vacanza lodigiana non aveva mai smesso di dipingere, anzi. In quei giorni capitava spesso di vederlo in giro per Lodi in bicicletta, Lodi era ormai la sua seconda città, la conosceva, aveva voluto scoprire la sua storia, studiare le sue architetture, le sue bellezze artistiche e Lodi ne ha parecchie. Non mancava mai di visitare ogni mattina le chiese romaniche di questa città che, va detto, ha una data precisa per la sua edificazione, 1158, e i primi edifici costruiti sono stati le chiese: la Cattedrale, la chiesa di San Francesco, di San Lorenzo, e di Sant'Agnese e Catarsini si era studiato gli stili, controllava - con molta discrezione - i restauri, faceva i dovuti confronti e dava suggerimenti con quel tono bonario che lo rendeva molto stimato dai nuovi amici che si era fatto in città. Ma l'apprezzamento per l'arte religiosa in Catarsini non era solo riconoscenza alla storia dell'arte del passato ma era anche ricerca di spiritualità, di quella essenza di cristianità che caratterizzava il suo essere religioso, quel modo particolare di esternare la propria fede che è tipico dei toscani quando sembra che voglian dire che la Chiesa è una cosa e chi la gestisce un'altra. Eravamo perciò in molti a ritenere Catarsini uno di quegli artisti che fioriscono qua e là per grazia di Dio - e se stessi - che poi crescono senza fare rumore, ma alla fine danno frutti veri, sinceri e autentici. E Catarsini si è addentrato nella vivace selva padana, o longobarda che sia, con la determinazione e l'innocenza di un monaco medievale, di quelli che hanno "disegnato" con le loro bonifiche, nei secoli passati. il paesaggio lombardo con i suoi canali irrigatori, le livellazioni dei campi, i vasti agglomerati rurali. Ed e quello che Catarsini vedeva nelle sue lunghe passeggiate lungo il fiume Adda, salutare vena d'acqua che attraversa il territorio lodigiano e che lui ritraeva sul suo blocco degli schizzi che venivano poi ripresi a casa per diventare brevi lavori compiuti.

 

Il fiume. l'acqua, il ricordo della Versilia e ancora l'acqua che Catarsini, nelle sue opere, faceva vivere con le sue trasparenze, il suo greto sabbioso e la sua natura fertile che ingloba sogni e memoria della gente che ancora vive sul fiume. Ma l'Adda è stato anche soggetto di una nota poetica scritta dall'artista nel settembre 1989 che pubblichiamo qui.

Ritengo si possa considerare Catarsini un artista della "Maniera grande" dell'arte figurativa del nostro paese, forse il più novecentesco degli artisti della sua generazione. Egli sapeva dare alle sue opere - e quelle rimaste nel lodigiano ne sono una testimonianza - il senso della costruzione, come una macchina dell'immagine, l'idea della pittura come elaborazione tecnica, come "arte segreta" nel senso leonardesco del termine.

Se si pensa perciò alla crisi delle concezioni artistiche e della percezione comune del "reale" in atto ormai da parecchi anni, si rilegge l'opera di Catarsini con rinnovato entusiasmo. Che cosa è stato sostituito alla visione novecentesca ferma e sicura di Catarsini? Il panorama è vasto e contraddittorio sotto il sole. I suoi paesaggi, le sue "nature silenti" (fu lui a dirmi che De Chirico le chiamava così), i suoi personaggi invece sono sempre stati figurati con aperto ardore e nobiltà che deve essere assolutamente valorizzata. Quindi una pittura, la sua, oggettivamente legata ai luoghi di appartenenza temporale ma che trasmette valori e simboli straordinariamente universali. In questo senso l'arte di Catarsini è portatrice d'una memoria culturale che lo tiene lontano da un facile edonismo estetizzante e lo immette - a cento anni dalla sua nascita - in un circuito di rimandi, un intreccio di andate e di ritorni sui temi che germi nano dal profondo della coscienza umana. Queste sue doti particolari gli sono state riconosciute dalla città di Lodi con una segnalazione di prestigio, in uno dei suoi soggiorni in città, nel settembre del 1990 gli è stato consegnato il Premio Arvini; un riconoscimento ufficiale conferito solo ad artisti di chiara fama che in qualche modo si sono legati alla città; gli hanno fatto compagnia, negli anni successivi, Aligi Sassu, Giò Pomodoro, Trento Longaretti ed altri. Catarsini ebbe a dire in quella occasione che iniziò a "pittare" da ragazzo e si ricordava che Lorenzo Viani, suo grande maestro e come lui viareggino, affermava che non si diventa artisti andando dentro le accademie ma vivendo l'arte totalmente. Da allora Catarsini si era convinto che l'arte non si apprende ma ... "E' materia dello spirito".

 

Spirito che solo i grandi come lui sanno trasformare in materia pitturata.

 

                                                                                                                             Mario Quadraroli

 

Nella soffitta di Paolina

 

L o ricordo ancora. come se il tempo si fosse per incanto fermato. nel r atto di aprirsi un varco tra un cavalletto e un mucchio di tele. per mostrami. con una punta di orgoglio e di civetteria. lo studio allestito nella soffitta della villa Paolina. la dimora che appartenne un tempo alla sorella di Napoleone e che noi per tanti anni abbiamo colpevolmente trascurato, come si è fatto con quel po') di patrimonio pubblico che la città possiede.

Alfredo Catarsini aveva avuto dall'amministrazione comunale due stanze sottotetto. nella parte nord-est della villa. a cui si accedeva da una stretta e tortuosa scalina e dalle cui finestre si vedeva un pezzo di giardino e una fetta della via Paolina.

L’aveva avute come riconoscimento alla sua arte. finalmente. dopo che le bombe dell’ ultima guerra gli avevano distrutto lo stanzone diviso con Danilo Di Prete e la necessità di abbattere quanto restava della reggia di Maria Luisa, sul canale Burlamacca, lo aveva poi costretto ad abbandonare anche quel momentaneo rifugio.

Lì, nella soffitta di villa Paolina. Alfredo Catarsini trascorse le ore più belle e più feconde della seconda parte di vita. specie dopo che. andato in pensione dall'insegnamento all'istituto d'arte "Stagio Stagi" di Pietrasanta. poteva scandire il suo tempo senza assilli di orario e con un ritmo più adatto al suo temperamento. Allora girava in bicicletta per mezza Viareggio. parlava con questo e con quello, si interessava di tutto, dall’arte alla politica, all'amministrazione, e poi saliva quelle ripide scale che lo portavano dalla porticina sul giardinetto di via dell'Oglio su su fino al sottotetto, il suo regno quotidiano. dove si perdeva nei sogni e nei colori.

"Nullo die sine linea" sole va ripetere: e fino alla fine ha mantenuto fede all'impegno. anche dopo l'ictus. quando i disegni gli venivano storti ed egli non si dava pace. cercando di raddrizzare la carta come poteva.

Fra gli ultimi desideri ebbe quello di realizzare una tela enorme. lui che aveva sempre dipinto "francobolli" (come gli diceva scherzando sua nipote Elena), forse perché sentiva sfuggirgli di mano la divina capacità di fissare immagini e sensazioni coi colori e pensa va che se più in grande avesse lavorato. meno incerta sarebbe stata la sua opera.

Da buon artista era quasi sempre fra le nuvole, perso nel suo mondo, dietro i suoi sogni. anche se attento alla realtà del proprio tempo e vivace nel seguire la vita politica, sociale, culturale di Viareggio. almeno fino a tutti gli anni Settanta.

Della sua distrazione dirò tra poco un aneddoto che coinvolge anche un altro simpatico artista. Uberto Bonetti. il papà di Burlamacco. Del suo essere invece presente al mondo viareggino sono testimonianza tra l" altro due bellissime lettere: la prima è della vedova di Lorenzo Viani (di cui Alfredo era e si sentiva. come tutti gli artisti viareggini. del resto. figlio spirituale). che lo ringrazia per aver sostenuto con forza la necessità di collocare il monumento ai Caduti in Piazza Garibaldi, contro il parere di molti che non vedevan di buon occhio quella sistemazione: la seconda lettera è di Leonida Rèpaci, il fondatore del premio Viareggio, che gli dà atto di averlo sostenuto quando il Comune voleva estromet1erlo dalla Presidenza del più prestigioso premio letterario italiano.

Una telefonata, invece, la dice lunga sul modo di vivere di due personaggi amici da sempre e divenuti poi colleghi d'insegnamento all’ istituto d'arte "Stagio Stagi". Squilla dunque il telefono in casa Catarsini e quando Alfredo alza la cornetta all'altro capo del filo c'è Uberto Bonetti il quale. ben conoscendo i suoi polli.) vuol ricordare all'amico di non mancare ad un appuntamento importante come il collegio dei docenti a scuola.

 

- Alfredo, ricordati che abbiamo il collegio.

 

- Grazie, Uberto: meno male che me l'hai detto. perché me l'ero dimenticato. Ma quando c'è?

 

- C'è giovedì prossimo. alle tre.

 

- Aspeua che prendo una penna e me I" appunto senno me lo scordo lo stesso.

 

E dopo una piccola pausa:

 

- Dio buono, Uberto, non mi riesce di trovare una penna.

 

L altro, tutto serio e tutto compreso della difficoltà dell’ amico. gli replica all'istante:

 

- Non ti preoccupare. te la presto io.

 

- O scemo. come me la mandi, col filo del telefono?

 

Un' omerica risata concluse la surreale conversazione: una volta tan10. tra le nuvole si trovava Uberto BoneHi e Alfredo Catarsini era disceso sulla terra.

Si volevano un gran bene. ques1i artisti. pur nella inevitabile concorrenza: Santini. Ordavo. D·Arliano. Pardini. Di Prete: eran venuti su insieme. fin da ragazzi. la fame e la miseria il loro cemento. l'arte e la passione la loro vita. le mostre. gli incontri al caffè. le passeggiate in darsena il loro mondo: come in una grande famiglia., nella quale ognuno aveva un proprio ruolo. ognuno cercava una propria strada. un'atmosfera che si è persa con l'inesorabile passar degli anni, un profumo di schiettezza che si riverberava anche sulla città e ha contribuito a renderla quel che è. piaccia o non piaccia: siamo tutti un pochettino figli anche di quel sodalizio. di quella famiglia. di quegli artisti con la testa tra le nuvole e l'anima immersa nelle stupende praterie del fantastico.

Mi piace concludere con la citazione di un appunto, fra i tanti che Alfredo ha lasciato ai suoi cari: "Quando nella notte fonda. nei momenti dell' insonnia, penso ai miei lavori dipinti o da dipingere e li elenco sottovoce, appaiono allora alla mia coscienza di uomo modesto cose non riuscite: questo del resto è il divino tormento che ogni artista dovrebbe sentire per non offendere oltre la vera arte. L'accettazione di questa verità significa umiltà. ma non bisogna dichiararsi del tutto sconfitti di fronte all’arte".

In queste parole c'è tutto l’uomo e tutto l'artista. con la sua semplicità e la sua caparbietà: da questo stato cl' animo affiorano le belle cose che ci ha lasciato, compresa una Darsena stupenda che conservo in casa mia, considerandola tra i beni più preziosi e dalla quale traggo godimento spirituale ogni volta che ne ho bisogno.

 

                                                                                                                 Carlo Alberto di Grazia

Biografia