Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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La grazia indifesa

Matthew Spender


inaugurazione: sabato 7 ottobre 2000 - h. 17.00

esposizione: dal 7 ottobre al 5 novembre 2000

luogo: Chiesa di Sant'Agostino - Centro Culturale "Luigi Russo" - Pietrasanta

orario: da martedi a domenica 15.30-19.00

ingresso libero


Comunicato stampa

Presentazione

Per Pietrasanta Città d' Arte, questa è un occasione importante per avvicinarsi ad un artista inglese di livello internazionale che da anni ha eletto la Toscana come sua dimora.

 

"La grazia indifesa" di Matthew Spender trova nella Chiesa di Sant'Agostino a Pietrasanta la sua degna cornice a coronamento di un percorso culturale. Le opere infondono un' ansia religiosa, un'intima unione tra essere umano e natura. Diceva Bernardo Bertolucci, nella presentazione alla mostra al Berkeley Square Gallery nel 1989 " ... Matteo conosce il peso specifico dei corpi, che si ammucchiano nelle sue sculture come sfollati che si rifugiano in una chiesa, in un tempio."

 

La sua scultura figurativa, la ricercata policromia fa rivivere in me una recente visita al Grand Louvre dove nell'ala Denon si possono ammirare i "ritratti del Fayyum" rinvenuti in numerose sepolture ad 80 km a sud-ovest del Cairo. Essi erano dipinti su pannelli di legno che venivano inseriti all'interno delle bende di un sudario di lino che ricopriva la mummia. La tecnica di Spender ci riporta all'Egitto dopo i Faraoni, a quell'Egitto Ellenistico che sembra pervadere le sue opere; la struttura in pioppo formata dall'unione di due pezzi è il sarcofago, la scultura è il ritratto che rifiuta oscuri simbolismi ma ci colpisce per la sua immediatezza.

 

                                                                                                       L'Assessore alla Cultura

                                                                                                          Massimiliano Simoni

Critica

"LA GRAZIA INDIFESA"

 

Sulla cultura femminile nella scultura di Matthew Spender

 

Guardando alla beltà che si rivela

 

"Quando tu, ombra in divisa di scolara, uscisti dall'oscurità della camera dell'albergo, io, ragazzo, senza sapere chi eri, compresi quanta forza fosse nel dolore che si sprigionava da te. Questa ragazza magrolina e fragile è carica di tutta la femminilità pensabile al mondo, come una corrente elettrica. Se ti avvicini o la tocchi con un dito, una scintilla illuminerà la stanza fulminandoti o prenderà possesso di te, per tutta la vita con la potenza magnetica della sua tristezza. Fui sconvolto dall'emozione, come folgorato e cominciai a piangere. Sentivo una sconfinata pietà per me stesso ragazzo e ancor più per la bambina che eri tu. Tutto il mio essere si stupiva e si chiedeva: se fa così male amare, assorbire questa elettricità, come dev'esser ancor più doloroso esser donna, esser questa elettricità, e suscitare amore. "

 

Niente meglio di questa intuizione suggerita da un passo del "Dottor Zivago" di Pasternak è può fornirei la giusta chiave per entrare nel mondo poetico della scultura di Matthew Spender. Perché essa ha sempre rivolto un'attenzione esclusiva proprio al prodigio e agli effetti della beltà femminile. Cos' è infatti quella grazia che, manifestandosi in un corpo di donna, lo sottomette ad una legge sconosciuta di armonia? Una porta d'ingresso che si schiude nel tempio del Cosmo: la perfezione del Tutto rivelata in un frammento? O un'irruzione improvvisa dell'Essere nella monotonia del tempo che ci sfugge? La sorpresa d'un dono che è capace di alleviarci dal peso dell'esistenza? Un dono che, per la sua gratuità, allo stesso tempo ci seduce e sgomenta; ci libera e ci disorienta.

 

Perché, in qualunque modo si manifesti, essa non è mai pacifica. nè per la donna che la rivela, nè per l'uomo che ne subisce la folgorazione. Perché persino il luogo che l'accoglie resta subito modificato dall'irradiarsi della sua energia. Come avevano ben compreso tutti gli stilnovisti; ed in particolare Cavalcanti: "Chi è costei che ve n, ch'ogn'om la mirai che fa tremar di claritate l'are?" Può capitare infatti che tutta la luce di questo mondo non basti più a sorprenderei e a stupirei. Cosicchè soltanto opaca si mantiene la nostra percezione delle cose. E proprio la più consueta delle evidenze, ci nasconde la loro verità. Deve allora questa luce naturale rabbrividire e ritrarsi. Deve cedere il passo all'altra luce d'una grazia sconosciuta che sovverte ogni ordine apparente.

 

In altre epoche è toccato sempre al linguaggio dell'arte e della poesia l'arduo compito di tradurcene la visione più numinosa. Ma può accadere anche oggi che la fantasia d'un artista resti, per cosÌ dire, soggiogato dalla nostalgia d'una beltà muliebre che si manifesti come messaggera d'un sorriso che trascende ogni umano artificio. Come un centro in cui il mistero tocchi il vertice della trasparenza. E non v'è dubbio che la scultura di Matthew Spender abbia cercato di cogliere proprio una simile epifania che, per dirla con Pasternak, ci illumina e ci ferisce nelle fibre più profonde dell' essere. così ad attrarlo in ogni corpo non era tanto lo statico disporsi dei suoi volumi, quanto piuttosto l'energia spirituale che la attraversa. Ed egli sentiva dunque, nelle linee di eleganza e di forza che animano dal di dentro una figura, il suo venire alla luce e il "rivelarsi" di un evento interiore. Era questa sua ondosa mobilità a traghettare la vita da un punto all'altro del tempo. E può darsi che Spender, con quella sua prima anima inglese, sia rimasto suggestionato anche dalla beltà del loro naturale mistero; e che siano state proprio le organiche e ovoidali, femminili forme-nave di Moore, a trasmettergli questo senso di arcana sacralità che le avvolge.

 

La "Maestà" paradigma di grazia che si dona

 

Ma la loro era pur sempre e soltanto l'impronta d'una struttura armonica che sostiene e attraversa le viscere mutevoli della Natura. Mentre la nostalgia di Matthew Spender era invece tutta rivolta ad una forma di beltà femminile che era stata in grado di trascendere ogni limite naturale; che aveva sfidato la stessa fugacità del tempo umano, dilatandolo nella sua trasparenza, e sottomettendolo per sempre alla forza del suo sorriso. Quante volte una simile beltà ha saputo rischiarare le tenebre della nostra esistenza individuale e la storia dell'arte? Con questa meta Spender allora s' é fatto viaggiatore e pellegrino nello spazio e nel tempo proprio per alimentare le risorse del suo linguaggio di queste epifanie in cui l'immagine della donna riveste un valore di perfezione illimitata. E forse ancor più che l'apollineo e platonico equilibrio della grazia greca, a suggestionarlo é stata innanzitutto la ieratica tensione di certe figure egizie o l'imperturbabile felicità dei volti etruschi scolpiti.

 

Ma é soltanto nel cuore della Toscana gotica senese che Spender ha percepito l'apoteosi paradisiaca di questa beltà muliebre "rivelata" .

 

Qui, ad uno stesso tempo, virginale, sponsale e materna, l'immagine mariana s'é ingentilita intronandosi nella mente come il mistico centro verso cui tutta la storia umana e celeste converge. Non altrimenti poteva manifestarsi quell'idea stessa di "Maestà" che impera soltanto con divina dolcezza sui cuori. E certamente non é un caso se proprio a Siena l'immaginario collettivo medioevale reclama ovunque la sua presenza salvifica. Ogni dimensione, religiosa o civile che sia, si svolge sotto il suo sguardo materno. cosi, per mano di Duccio, abita il silenzio della cattedrale, come, per quella di Simone Martini, sorveglia sul buon governo della città nella severa sala del Consiglio.

 

Per Spender che è diventato senese non già per adozione, quanto piuttosto per vocazione: ovvero per un mima necessità estetica che non poteva non conduco qui, persino la ruvida gentilezza del paesaggio chiantigiano sembra dilatarsi nell'aura d'una certezza di grazia che ancora emana da un simile archetipo del femminile. così l'idea stessa di tornare a "scolpirne" almeno la persistenza mitica, se non religiosa, ha significato per lui prima di tutto sapere come appropriarsi dei materiali adeguati. E non poteva che fado attingendoli proprio dal corpo vivo di questa sua terra senese: dalla calda porosità delle sue crete; o dai legni d'alberi secolari che emanano dalla loro anima il segno e il profumo delle stagioni passate; o dal silenzio stesso della pietra serena; e persino dal marmo: dal candido marmo apuano, che così possente qui emerge dalla memoria gotica nei volti solenni dei profeti, delle sibille o delle maestà di Giovanni Pisano.

 

Hanno iniziato così le sue grandi terrecotte, a soggetto mariano, a reclamare in chi le guarda un'autentica attitudine contemplativa. Proprio quella spirituale disposizione d'animo che oggi ci appare quantomeno inconsueta. E, come passando attraverso gradi diversi di sacralità, le tre" maestà" presenti in questa mostra, rivelano fra madre e bambino un dinamico intreccio di forme dialoganti. Più terrena la prima "Mater amabilis" evoca nel rosso grezzo del cotto una domestica intimità; e sembra, così raccolta e tutta chiusa in sé, la figura della madre seduta prendere fiato dalla sua fatica, mentre con quale naturalezza il Bambino, libero sul suo grembo, ci porge un frutto maturo. La si direbbe ingigantita e sognata, una di quelle sacre maternità votive che la pietà popolare ha collocato nei tabernacoli al margine dei campi.

 

Ma l'altra"Mater admirabilis", appena ingobbiata di bianco, esulta in questa sua frontalità il cui stiacciato rammenta l'eco d'una visione bizantina. Allora, ieratici e regali, madre e figlio danno qui luogo con le loro membra ad un serrato gioco leggiadro di ritmi che prefigura la gloria d'un "magnificat" che già si compie. Ed ancor più nel marmo statuario di "Virgo potens" questo dialogo fra le figure si realizza in una straordinaria eppur dinamica stabilità compositiva. Nella linea avvolgente che musicalmente né scandisce l'intimità. Negli ovali dei volumi che decisi vi eliminano ogni contrasto. Nei parallelismi e nella sobrietà degli stiacciati che mirano ad armonizzare, a fondere, a renderei ancor più segreto e vitale il flusso di amore che le attraversa.

 

Scavando dentro l'anima del legno

 

Ungaretti era solito ripetere che i poeti hanno a che fare soltanto con problemi di metrica. E ciò vale indubbiamente sempre per ogni forma di espressione. Nella sua profonda evoluzione plastica tutta la scultura di Matthew Spender ben ha dovuto sempre fare i conti con questa inderogabile necessità. Sia nella tecnica dell'aggiungere che del cavare egli poteva contare sempre sulle risorse d'una materia illimitata. Poteva, nella creta che lievita sotto le dita, modellare la sua idea d'una grazia che si espande. Ed anche la mole del blocco "in fondo" poteva essere scelta secondo la figura immaginata. Ma quanto più viva lo coglieva la nostalgia d'una beltà sacrale, superiore e duratura, tanto più lo colpiva lo stato di assoluta precarietà in cui versano oggi la ricerca d'ogni paradigma di bellezza femminile e la sua percezione.

 

Sembra infatti che ad illuminarla non vi sia più bisogno di alcun supplemento d'anima. E si é ben lungi ormai dal considerarla come un dono di grazia o come la grazia d'un dono. Essa piuttosto la si concepisce quasi sempre come il risultato di una forza imposta o subita. Come l'arma d'un potere assoluto di seduzione, provvisorio e violento al pari d'ogni altro potere che stabilisca fra le creature l'esercizio d'un dominio o d'un possesso.

 

E quale donna allora può più dirsi libera in questo gioco di potere; e capace di attingere soltanto in se stessa le ragioni e i modi del proprio apparire? O non resta piuttosto tanto più sola e irretita dietro gli immani artifici che l'impero d'una moda onnipresente, seducendola, le impone?

 

Tutti i "legni" di questa mostra rappresentano i retroscena psicologici e spirituali di tutti i riflettori che bersagliano una grazia ormai indifesa. Sono gli emblemi discreti d'un viaggio che s'avventura in questa odierna solitudine femminile. Ne decifrano gli umori, le perplessità e le metamorfosi. Diventano tante figure isolate, immobili come alberi che crescono avvolti soltanto nel loro silenzio. E la loro rappresentazione non può svilupparsi che ubbidendo ad una scelta di contenuto slancio verticale. Perché é sempre la dimensione stessa del fusto prescelto che ne determina la disposizione metrica dei volumi. E lo scultore deve necessariamente adeguarsi alla realtà d'un limite che condiziona e stimola la sua immaginazione plastica. E inoltre, fra tutti i materiali di cui egli dispone, proprio il legno, organico e peribile, così dolce e armonioso in ogni suo intimo verso, può essere considerato fra tutti senz'altro il più "umano". Un materiale, come dire, "femminile" per eccellenza, con un'anima che si nutre proprio di tempo che fugge; e che reca già impresse su di sé tutte le rughe sinuose d'ogni stagione sfiorita.

 

Le bagnanti sorprese

 

Niente di meglio, dunque, di questo tronco di pioppo vergine e levigato che Spender utilizza per dispiegare lì, sotto un sole d'estate, tutta la meraviglia d'un possente, giovane corpo nudo. La sua naturale pienezza dialoga con la luce. Non vi sarebbe gioia più innocente, se lo sguardo d'un intruso non violasse questa loro intimità. Così la grande bagnante di "Davanti al Paradise" viene proprio colta in quest' attimo di sorpresa. Ed ecco allora tutta la sua mole avvitarsi, quasi che per un istintivo pudore ella potesse nascondersi nella luce. Persino le vene del legno danno risalto a questo movimento. La scultura allora esclude qualsiasi lettura frontale. Il ventre ed il seno quasi si ritraggono e si appiattiscono, mentre la massa immensa dei capelli sviluppa attorno un ombra misteriosa.

 

Al contrario, così imponente, la figura seduta di "Live and let live" ci appare invece come affamata di spazio. Al corpo che afferma il calmo e possente dispiegarsi dei suoi volumi, contrasta il profilo severo e solitario d'un volto che non si scompone. E sembra che qui la donna voglia infine riappropriarsi d'un imperio regale che le compete nell'ordine stesso della vita. Ma non si tratta che d'un esito piuttosto inconsueto in cui il corpo femminile riesce veramente ad esaltare una sua sicurezza di esistere.

 

Questo motivo delle bagnanti, avvertito come una panica immersione della figura umana in grembo a una natura felice, è sempre stato assai più frequente in pittura. Come non ricordare il velluto dei rosa nelle carni festose delle ragazze nude di Renoir, o lo svettare di giovani corpi femminili, simili a pioppi sottili lungo la riva d'un fiume, nelle tele orchestrate da Cézanne. E come in entrambi, per vie diverse, questo loro svelarsi al mondo che li contiene, mai non tradisca alcuna esitazione. É un "esserci" senza smentite: la visione d'una realtà indelebile che si concretizza per la gioia dei nostri sensi, o per il rigore della nostra mente. Ora se Spender, in un modo assai originale, ci traduce invece sotto forma plastica lo stesso tema della nudità del corpo femminile nella natura, egli lo fa soprattutto per denunciare la sua sopravvenuta estraneità al mondo che lo circonda. Basta, a tale proposito osservare lo splendido trittico delle "Bagnanti con asciugamano". Appena delineate con estrema sobrietà di contorni, sembrano dinnanzi a noi stralunate apparizioni, desiderose solo di ritrarsi, malgrado l'ossimorico contrasto cromatico bianco-blu, bianco-giallo, biancorosso che le vivacizza. (Anche l'anima del legno grezzo é stata qui laccata per segnare ormai una distanza incolmabile dalla natura!).

 

Esse giungono dunque a percepire questo loro bel corpo quasi come un'entità negativa, eccessiva e ingombrante, da nascondere. Lo sottolinea questa loro rigida postura delle mani, mentre tentano di ricoprirlo, nel timore che le sorprende e le irretisce adesso rischiando questa loro presenza svestita.

 

Sotto i riflettori della passerella

 

Si direbbe che Spender indichi allora nei mutevoli umori della moda non soltanto uno dei modi più vistosi con il potere di seduzione tenta di affermarsi. Ma, quasi per paradosso, egli vi individua anche una sorta di schermo protettivo dietro il quale la donna occulta le sue esitazioni. Perché cos' é ogni sfilata, se non un evento teatrale in cui deve dominare soltanto l'epifania d'una grazia asettica e senza radici? Invano i riflettori scandagliano fra i passi quasi di danza un'anima che non si vede. Perché il vestito, pur minuscolo che sia, sempre diventa velo e sipario, maschera e gioco, sorpresa e meraviglia, sortilegio ed inganno fra chi osserva e un'anima che non emerge più.

 

Mentre diversamente, in questa sfilata scolpita, ogni donna di Spender riporta alla luce il contrasto fra tutto il fulgore di fuori e tutte le inquietudini di dentro. Si guardi come l'esile "Kimiko", col suo piccolo volto di bambina, sparisca fra le gonfie volute del suo rosso kimono. O come "Clare", esitando, proceda con circospezione, avvolta in un suo manto monacale. O come la ragazzina in "Hotpants" che, al pari dell'ispirata liceale di Pasternak, ancora avverta, con trepidazione, tutto il prodigio che si sta compiendo nel suo corpo di giovinetta; e come si disorienti, e tema per la sua grazia erme.

 

L'ansia nell'Istituto di Bellezza

 

così si dibatte allora l'identità femminile: fra un'incessante metamorfosi della propria immagine esteriore e un' anima che invece cerca al centro del suo essere una ragione di stabilità. Perchè dunque in essa convivono, con la medesima intensità, sia l'effimero più superficiale che la ricerca di se stessa più profonda. E' un contrasto insanabile, e comunque vitale, che trova nelle sei figure a grandezza naturale dell' "Istituto di Bellezza" la sua metafora più efficace. Tre ragazze sedute affidano non già le loro capigliature, ma la summa di tutte le loro aspettative estetiche alle mani magiche di tre acconciatrici. Quanto quest'ultime ci appaiono comprese nella scienza che guida i loro gesti! Solenni e distaccate, come sacerdotesse immerse nel vivo d'un rito. E work in progress potrebbe dirsi questa loro ricerca di beltà mai compiuta. Mentre i mobili volti delle ragazze tradiscono uno stato d'ansiosa soggezione: prese come sono dall'impazienza di ammirarsi e dal timore di non potersi mai riconoscere all'altezza dei propri desideri. Nervosamente allora, con pochi colpi di sgorbia profondi, Spender traccia nel legno vivo questo loro stato costante di delusa approssimazione. Tale da farcele apparire, smarrite dietro questa loro chimera esistenziale, infinitamente finite.

 

Personaggi in punto di morte

 

Ma i registri della sensibilità di questa scultura verso l'immagine della donna non si estendono soltanto fra l'idea dell'eterno e dell'effimero. V'é una terza dimensione -tragica- della bellezza che Matthew Spender sa cogliere in quello stillicidio di violenza che, senza fine, avvelena i nostri giorni. In quello scempio di beltà che la donna subisce non già su di se, ma nell'altro ancor più intollerabile che é costretta a sopportare sul corpo del figlio sacrificato.

 

Come dunque conciliare questi due poli estremi: la visione d'una "maestà" che radiosa mostra il frutto del proprio seno; e quella dell' "addolorata" che assiste invece impietrita ai piedi d'ogni

 

calvario? Ecco allora nel gruppo "Personaggi in punto di morte" suggerito dalla recente guerra nei Balcani, (ma che senza dubbio potrebbe riferirsi a qualsiasi altra guerra) che si manifesta l'estrema negazione d'ogni grazia possibile. Una delle tante immagini d'inferno che ancora affollano il nostro pianeta.

 

Di certo sul luogo dell'eccidio é già scesa la notte. E una luna esangue e senz'anima sbianca la carne dei vivi e dei morti. Come tronchi abbattuti, i corpi dei figli trucidati sono caduti già distesi, spalancando l'angolo smisurato d'una croce. Il solo angolo in grado di contenere qui la muta agonia delle madri. Sono in tre ad apparirei come le "Charites", le tre divine dispensatrici di grazia e di vita. Ma ormai mutilate del loro dono, raggelate nei loro gesti, sanno esprimere soltanto paralisi, abbandono e disperata invocazione. Lo spettacolo irredimibile d'un tale scempio di beltà fa di loro delle creature segnate per sempre. Sono loro i veri "personaggi sul punto di morte". E questo nero dolore, questo lutto che mortifica per sempre il loro cuore e la loro carne, attraversa tutta la storia e bussa senza risposta alla porta dell'Eterno." Tra un fiore colto e l'altro donato/ l'inesprimibile nulla".

 

                                                                                          Pietrasanta, 30 settembre 2000

                                                                                                 Giuseppe Cordoni

Biografia

Matthew Spender è nato a Londra nel 1945 da padre poeta e da madre musicista. Ha studiato Storia Moderna all'Università di Oxford, e arte al Slade School of Art di Londra. Nel 1967 ha sposato la pittrice Maro Gorky, e insieme si sono trasferiti in Italia, in un casolare isolato della Toscana.

 

Da 1989 Matthew Spender espone regolarmente al Berkeley Square Gallery di Londra, dove i suoi lavori vengono acquistati, fra altri, da Francis Bacon e da Bernardo Bertolucci.

 

Benché ha iniziato la sua carriera come pittore, nell'ultimo decennio Matthew Spender si è dedicato prevalentemente alla scultura figurativa, in terracotta, pietra e legno. Fra le commissioni più importanti: un basso rilievo di tiglio lungo quattro metri per "Milano Finanza" di Paolo Panerai, (1990); un Crocefisso di tiglio per la Chiesa di San Giusto in Salcio presso Radda in Chianti, (1991); un "San Giuseppe" di terracotta alto tre metri per la ditta Fitzpatrick a Londra, (1992); una figura di vetroresina lunga sei metri per il Barbican Centre di Londra, (199331994); e una "Madonna con Bambino" di terracotta per la Chiesa del Corpus Domine a San Miniato alle Scotte, Siena, (1994).

 

Nel 1995 il regista Bernardo Bertolucci ha usato 47 sculture di Matthew Spender per rappresentare il lavoro del personaggio dello scultore, nel suo film, "lo ballo da sola." Le opere usate nel film sono quindi stati esposti nei Magazzini del Sale, ospite del Comune di Siena. Successivamente questa mostra ha dato spunto ad una serie di esposizione più specialisti, a Torino, San Quirico d'Orcia, Milano, Roma, Londra e Ravello.

 

Nel 1999 Matthew Spender ha lavorato a Carrara, ospite della ditta "Statuaria Marmi." Ha completato una nuova serie di venti sculture in marmo, di cui tre grande teste ed una colonna alto più di quattro metri. La serie fu esposto alla Chiesa del Suffragio nell' estate di 1999, all'invito del Comune di Carrara, e di seguito, a Volterra.