Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Botero a Pietrasanta

Fernando Botero


inaugurazione: sabato 15 luglio 2000 h. 19.00

esposizione: dal 15 luglio al 17 settembre 2001

luogo: Piazza Duomo - Complesso di Sant'Agostino - Pietrasanta

orario: da martedi a domenica 18.00-20.00/21.00-24.00

ingresso libero

 

Fernando Botero è presente nella collezione del Museo dei Bozzetti


Comunicato stampa

Presentazione

La nostra città ha ormai acquisito negli anni una grande valenza nel mondo dell'arte. Grandi Maestri contemporanei ne sono profondamente attratti e innamorati, eleggendola spesso e volentieri a loro dimora. Sarà per le fonderie, per i suoi artigiani, sarà forse per la qualità della vita, per il clima, per l'ambiente che la circonda? Il mare, la spiaggia, la collina, le splendide Apuane!

Quante volte noi pietrasantini ci siamo fermati ad ascoltare il rumore e il profumo della nostra natura? Sicuramente mai quanto avremmo dovuto.

Crediamo che proprio nel sapersi calare nell'universo che lo circonda stia l"'innamoramento" dell' Artista che prova il gusto di immergersi nei colori e nell'odore di trementina come fosse il blu del mare e il forte odore di salmastro. La vera Arte non è stravolgere la natura, ma interpretarla normalmente, magari in modo diverso.

Fernando Botero è per noi tutto questo. Con la sua Arte "normale" dalle profonde radici, ha in questi anni fatto moltissimo per la nostra Pietrasanta, piccola città di provincia. Non solo .vive d'estate all'ombra della Rocca, ma ha delineato un percorso ed uno stile inconfondibile, Il Guerriero, Il Paradiso e L'Inferno, e non pago, dopo i grandi successi di Firenze, Parigi e Torino, ha voluto portare nella Città la sua vita artistica; le sculture monumentali, i grandi quadri ad olio, i disegni, gli acquerelli.

Portando il concetto di volume al parossismo, con la pienezza delle forme, le sue opere, cosi lontane dal linguaggio occulto delle avanguardie, sintesi tra il classico del Rinascimento italiano e la cultura sudamericana e precolombiana, subito ci sono istintivamente simpatiche e ci portano ad uno stato di piena calma interiore e sereno ottimismo, cosi come solo la nostra terra con le sue bellezze riesce a fare.

 

                                                                                                             Assessore alla Cultura

                                                                                                               Massimiliano Simoni

Critica

Un giorno di quasi trent'anni fa Pierre Levai, direttore della Marlborough Gallery di New York, si reca a Pietrasanta per vedere le opere lasciate nell'atelier dallo scultore Jacques Lipchitz appena scomparso. In quel viaggio è accompagnato da Fernando Botero che reca con sé un piccolo modello: vuoi provarne la fusione in uno di quei celebrati laboratori. Inizia così il suo rapporto con una località che ormai gli è entrata nel cuore: da qualche lustro possiede una casa tra gli ulivi che accompagnano la via su per la Rocca e ha aperto uno studio in un ampio locale non distante da piazza del Duomo. Qui di solito si ritira in estate a progettare e ad assemblare le sculture; qui si rifugia quando Parigi, New York o Montecarlo gli procurano il desiderio della tranquillità. Botero è ormai un protagonista di Pietrasanta che vive tra la gente e la gente vive con lui ora che la sua arte è entrata nel tessuto cittadino: la chiesa della Misericordia accoglie dal 1993 i due grandi affreschi intitolati La porta del Paradiso e La porta dell'Inferno; piazza Matteotti offre invece ai visitatori l'ironica bellicosità di un opulento soldato romano. Anche il tetto della sua abitazione porta un segno distintivo: un rotondo gallo in bronzo dalle corte ali in perenne attesa dell' alba.

 

Se Pietrasanta non è la nativa Medellfn, un soffio dello spirito colombiano e più genericamente latino-americano è calato su questi luoghi a permeare l'immaginario delle persone.

 

D'altronde è logico che sia così: è stato il destino a far compiere a Fernando un viaggio a ritroso. Nel 1780 due fratelli, Giuseppe e Paolo Botero, erano partiti da Genova (lontana appena uno sguardo di mare dalla Versi li a) e, una volta sbarcati in America, avevano raggiunto in Colombia la regione di Medellfn sospinti dal miraggio dell'oro. Non si sa se abbiano trovato il biondo metallo ma di certo hanno trovato un riparo al sogno nei paesi di Santa Barbara e di El Retiro.

 

Discendono da loro tutti i Botero della zona. Idealmente sono tornati con lui anche i due avventurosi antenati aggiungendo ulteriori sogni ai sogni di chi si incontra per la strada.

 

Per tale motivo una mostra di Ferdinando Botero a Pietrasanta non è e non può essere come le altre. Reclama e regala qualcosa che i più celebrati musei o le più celebrate platee del mondo (a parte quelle colombiane) non possiedono.

 

Botero riesce a coniugare mirabilmente la cultura europea alla cultura latino-americana alimentata dall'iperbole e dal gusto del fantastico. Quando diciamo cultura europea intendiamo soprattutto la cultura pittorica tramandata dai maestri, dagli amatissimi Leonardo, Velazquez, Goya, Giotto e Piero della Francesca, punti nodali di riferimento durante il suo soggiorno in Spagna, in Francia e in Italia tra il 1952 e il 1954. A costoro si aggiungeranno poi Rubens e Diirer, Manet e Bonnard. E quando diciamo cultura latino-americana ci soffermiamo non solo su certe espressioni dell' arte precolombiana, ma anche o soprattutto su particolari aspetti del barocco contaminato dall'arte popolare. Inoltre teniamo nel giusto conto quella letteratura dei Garda Marrquez e degli Amado che gode di straordinaria fortuna per la capacità di sollecitare la fantasia di un lettore recuperato ai desideri dell' infanzia, desideri che l'odierna società ipertecnologica tende a cancellare per sostituirli con una virtualità lontana dai miti senza tempo legati alla nostra esistenza. A tal proposito egli afferma: "Voglio che la mia pittura abbia radici, ma nello stesso tempo non voglio dipingere soltanto 'campesinos' sudamericani. Voglio essere capace di dipingere tutto, anche Maria Antonietta e Luigi XVI, ma sempre con la speranza che tutto ciò che faccio sia pervaso dall'anima latino-americana".

 

Attraverso un continuo processo di aggiustamento poetico Botero è riuscito a rendere plausibile questo suo mondo costituito da persone e da cose ipertrofiche, esagerate come le vicende che succedono in quelle contrade, reali o immaginarie non importa, dove tutto ha la dimensione concessa dalla contemplazione, da un movimento armonioso e compiaciuto, in un ambiente che lo accoglie come il frutto della quotidiana normalità.

 

Le piccole o le grandi tragedie, quando succedono (per esempio esternate dalle lacrime di Donna che piange, tanto per entrare nel merito della mostra), volgono alla teatralità o, come nel caso de La piea, rimangono nell'ambito della finzione poiché il sangue che sgorga dalla ferita del toro non è sangue vero ma una macchia di colore che si manifesta per compiacere l'immagine. La facilità e l'immediatezza della lettura dei lavori di Botero discendono da un processo creativo supportato da una raffinata perizia tecnica che a Pietrasanta molti hanno potuto verificare durante l'esecuzione degli affreschi nella chiesa della Misericordia. L'occasione gli ha permesso di mettere a frutto gli studi fiorentini sulla pittura a fresco frequentati quasi mezzo secolo fa durante il primo soggiorno in Italia. Le due scene racchiudono l'intero campionario dei personaggi boteriani: l'Inferno, suggerito da Luca Signorelli e dalla tradizionale iconografia apocalittica, stempera la terribilità del gran diavolo centrale nei diavoletti paffuti e negli scheletri ridanciani e "in carne". I dannati (compreso lo stesso autore) nuotano nel fango o bruciano negli avelli (dove si riconosce un Hitler preoccupato da una duplice lancia di fuoco che gli tormenta il viso). Dal grand-guignol dei peccatori si passa alla dirimpettaia pacificazione edenica dominata da una florida Madonna sostenuta in aria da pingui angeli dalle improbabili aluccie. Ma con Botero non bisogna tener conto della forza di gravità bensì della propulsione della fantasia che rende logico l'impossibile. Così anche il serpente, che fa da posa piedi alla Vergine, cerca di salvaguardare un residuo di terribilità, tanto da giustificare la minaccia della spada di un impacciato armigero. Mentre gli eletti tentano una faticosa lievitazione tra nubi poppute, una donna-angelo in gita campestre strimpella la chitarra sul prato e una Madre Teresa di Calcutta liberata dalle rughe è assorta in preghiera.

 

Sacro e profano si mescolano e convivono al pari della realtà e della finzione che aiutano ad affrontare la vita con le opportune consolazioni e le necessarie fughe dai problemi che l' accompagnano e sovente la determinano.

 

Le due composizioni eseguite nella chiesa della Misericordia si agganciano alle opere esposte nella chiesa di Sant' Agostino e nelle sale del Chiostro. Gli affreschi sono il promemoria di un futuro recentissimo poiché i dipinti, gli acquerelli e i disegni esibiti nella circostanza riguardano la produzione posteriore al 1993. E, tanto per ribaltare una comune regola, ci troviamo al cospetto di piccoli olii e di grandi disegni e acquerelli, dove si dimostra ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, come Botero riesca a manifestare compiutamente la personale capacità narrativa nei diversi ambiti e nelle varie situazioni. Nel primo caso la contenuta dimensione della tela non mortifica, anzi tende a impreziosire, l'abbondanza dei volumi; nel secondo la perizia calligrafica abbinata al sapiente uso del chiaroscuro, o il concorso del colore stemperato con liquida e tenue gradualità, sollecita le qualità timbriche dei toni sfumati che accolgono le figure. A proposito dei dipinti, si parte da una Donna del 1994 che nell'atteggiamento ricorda la Signora con ventaglio di Velazquez. Ma se la modella cerca di mi mare quel ruolo, è l'abbigliamento a vanificare i suoi sforzi: il guanto in primo piano, il cappello con la piuma e la fila di perle al collo ne fanno una dama di provincia che ostenta il vestito della festa e i gioielli di famiglia. Uno dei pregi di Botero è quello di tramandare non la caricatura della realtà ma la nostalgia di un tempo nutrito di appaganti illusioni.

 

Purtroppo noi abbiamo riposto con eccessiva fretta le favole.

 

Il suo racconto è vigile e libero nello stesso tempo, ovvero il rigore compositivo si unisce a quell'immaginario che lo nutre per grazia di nascita e per una sensibilità interpretativa specchiata nell'ironia e nell'autoironia. Prendiamo Il ratto di Europa del 1995: osserviamo un toro nell'arena con una procace fanciulla in groppa che non è affatto dispiaciuta del rapimento, tanto che afferra un comò per non cadere e rendere vana l'impresa. Con Toelette del 1996 inauguriamo una piccola serie di nudi femminili dai fianchi generosi (a rammentare quelle veneri preistoriche elette a simbolo di fertilità), dai seni infantili e dal volto atteggiato a perpetua stupefazione. Regalano un canone di bellezza antica, rubensiana, che sollecita fantasie popolari e concessioni a uno sguardo senza malizia, piuttosto soccorso dall'innocente civetteria dei pensieri semplici. Uomo a cavallo è da parte sua un ritratto d'orgoglio e di narrazione essenziale che prende alimento dalla terra natale e dalla cultura italiana: quel paesaggio sullo sfondo e quella casa sono degni del "ritorno all'ordine" di un Carrà che ha riscoperto Giotto e Masaccio e pertanto inventa Il pino sul mare e Le figlie di Loth. E se parliamo di echi del passato, come non considerare Natura morta con frutta e Natura morta con cipolle un recupero dei climi di Zurbanin e di Caravaggio? In queste ultime prove in apparenza meno caratteristiche perché l'iperplasia formale viene assorbita dalla complessità del progetto, c'è il Botero più sensibile, quello che distribuisce perfettamente ogni palpito di crescita. Non a caso è stata una Natura morta con mando lino del 1956 a svelargli la capacità di dilatare il volume delle cose per renderle suggestive e magiche agli occhi della gente. E veniamo ai ritratti di Picasso, di Ingres, di Delacroix e di Giacometti adeguatamente irrobustiti seppur nell'ambito di una facile riconoscibilità. A proposito di Giacornetti, ecco il motivo di una profonda ammirazione: "In un certo modo mi comporto come lui. Con la differenza che egli scarnificava e scavava i suoi personaggi, io invece ne amplio le forme". Il problema di Botero non è dissimile da quello di altri artisti: assegnare una collocazione armonica e un equilibrio timbrico agli interpreti. Con l'aggiunta di una singolare vocazione e di un impegno: offrire un rifugio poetico alla verità, a quella verità accresciuta e corroborata dal generoso alimento della fantasia. Non bisogna però confondere l'approccio fantastico con quello naif che è di colui che dipinge in modo primitivo o infantile perché non conosce un'altra soluzione. Qui siamo invece di fronte a un continuo controllo della tecnica e dell'ordine compositivo. Un'altra questione da sottolineare: certi riferimenti a capolavori del passato sono da ritenersi una nuova e originale dichiarazione di pittura suscitata dal modello di confronto. Il risultato finale è sempre frutto della coerenza. La creazione segue un procedimento rigoroso, per stadi: "Ogni gennaio mi ritiro su una spiaggia solitaria: lì non posso dipingere, però faccio piccoli disegni, fisso delle idee. Sono il punto di partenza da trasferire in seguito sulla tela. All'inizio si tratta di figure piatte perché a quel punto non mi interessa ancora il colore. La terza parte del procedimento creativo consiste nella preoccupazione di fornire colore, forma e spazio all' intera opera". Con tale viatico ci accostiamo ai disegni di rara perizia e preziosità, dal tratto delicato e dallo sfumato che ne determina già il carattere preannunciando le tonalità dalla festa. La vita di paese e di frontiera (una frontiera per il nostro mondo assediato dalla fretta e dalla perniciosa concretezza) si assapora nei romantici Ballerini, nell'austero e pompieristico Presidente, nel ricamo calligrafico de La siesta, ne La famiglia sigillata come in un dagherrotipo, nel languore pomeridiano della Donna sul letto, nella serena nudità di Madre e bambino. E si dilata nella tenue luminosità di un'assorta Donna seduta e nell'esercizio mirabile delle "nature morte" ripetute e reinventate con insistita passione, negli Amanti impacciati a recitarne il ruolo. Questi che abbiamo rapidamente passato in rassegna sono alcuni dei fogli di piccola dimensione. Altri disegni riguardano invece l'ampia misura, quasi a voler dimostrare che la quaalità non conosce limiti spazi ali d'espressione. Uomo e Donna del 1998 occupano tele di due metri d'altezza e più d'uno di larghezza. Sono esercizi di bravura risolti al carboncino e non richiedono nulla di più, se non l'ammirazione di chi guarda.

 

Lo stesso discorso vale per gli acquerelli che diluiscono un poco i contorni delle figure a vantaggio di una morbidezza all'impatto che sfiora l'impalpabilità e il rischio di una sparizione o di una lievitazione. In Natura morta del 1999 compare EI Tiempo, il quotidiano di Bogotà che ha pubblicato nel 1958 alcune sue illustrazioni per La siesta del Martes di Garda Marquez. E il cerchio si chiude, ma il discorso continua.

 

Fernando Botero si accosta alla scultura per la prima volta nel 1973: fonde nel bronzo a Parigi una piccola mano, ma il seguito e il successo del nuovo impegno artistico sono da abbinarsi alla scoperta e alla frequentazione di Pietrasanta. Perché Botero sceglie di diventare scultore a un certo punto della sua vita?

 

Perché in effetti i suoi personaggi agivano già in una tipica e concreta tridimensionalità che andava estratta dal quadro. Il procedimento non era e non è stato poi così semplice: occorreva trasferire quel seme, quel clima persuasivo in un ambito completamente diverso. Nei dipinti assume una fondamentale importanza la coreografia, il contesto in cui si svolge una narrazione arricchita dalla suggestione cromatica; l'immagine scultorea possiede invece un respiro autonomo e, quando diventa monumento, va a interagire con l'ambiente che la circonda.

 

Botero ha sostituito il colore con la plasticità: il metallo si espande armoniosamente e perentoriamente nello spazio. L'ingenuità si trasforma in ieraticità: i volti inespressivi paiono ora rubati a personaggi dell'iconografia etrusca o egizia; i corpi pescano nella classicità certi canoni strutturali o nel mondo arcaico certe soluzioni semplici ed essenziali di racconto. Botero ha dovuto modificare un poco il suo atteggiamento narrativo per essere ancora se stesso in maniera convincente. L'ironia ora si sposa alla maestosità e al mistero più ampio che si nasconde dietro un viso enigmatico, proiettato fino a noi da un tempo immobile. A Pietrasanta, a far compagnia al Guerriero di piazza Matteotti, sono stati radunati di fronte al Duomo alcuni protagonisti dei percorsi cittadini di tutto il mondo celebrati dalla storia espositiva del nostro autore.

 

Ci piace innanzitutto citare una Mano del 1992 che idealmente ci riconduce ai suoi esordi col bronzo. Questa è una mano gigantesca dal carattere allegorico e concettuale di immensa reliquia, di frammento armonico che disegna un gesto aereo. Il Torso femminile del 1982 discende invece dallo spirito delle veneri paleolitiche e vive la sua apparente incompiutezza, memore della storia greca e romana, nell'equilibrio maestoso in cui respirano le modulate forme di un Arp o di un Brancusi. Con Donna che fuma del 1987 si rientra nel mondo colombiano dell'opulenza estetica a cui si associa una solare sensualità e il piacere della piccola trasgressione. Il Cavallo del 1992 sembra invece attingere alla purezza strutturale della statuaria Ming, mentre il Gatto si impone con l'autorità di un oracolo. Testa (un autoritratto?), estratta da un nucleo sferico, provoca un atteggiamento di devozionale rispetto e di profonda suggestione magnetica.

 

Con Uomo a cavallo si celebra la compiaciuta fierezza del cavaliere assecondata dalla possanza del destriero.

 

Donna sdraiata svela la florida sinuosità del corpo in una evocazione rinascimentale di godimento e di seduzione estetica. Maternità e Uomo che cammina dominano infine la scena tramite la severa imponenza delle figure, con sacrale impassibilità nel primo caso, con una inquietante allegoria nel secondo. Un accenno ora ad alcune piccole sculture che sovente troviamo riproposte in versioni monumentali, come è il caso del Cavallo, per esempio. Incontriamo intanto l'Uccello dalle zampe poderose, dal corpo tozzo e dalle ali tanto minute da rendere vana ogni vocazione al volo. La vita colloca sul medesimo piedistallo un nudo maschile e uno femminile (questo rammenta le "pomone" di Marino Marini), prossimi nell'impostazione e nella distribuzione dei volumi ad Adamo e a Eva. Leda e il cigno si scrutano in segreto mentre Venere e Piccola Venere sdraiata hanno moti di sospensione nell'estasi in un confronto di sontuose nudità coi modi di Mailol. Anche in tali prove di dimensioni più contenute gli equilibri e le atmosfere non mutano: i personaggi non tradiscono sentimenti. Dice in proposito Fernando Botero: "Nessuno si è mai chiesto che cosa pensi la Venere di Milo. Non importa. Non interessa".

 

Quindi evitiamo le indagini psicologiche nei riguardi di Donna sdraiata con frutto, Donna seduta, Donna seduta con mela o di Donna sul letto. E godiamoci un evento che unisce felicemente la grande arte alla profonda emozione. Questa sì, tutta nostra.

Biografia