Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Omaggio a Mario Marcucci

Mario Marcucci


inaugurazione: sabato 11 luglio 1998 - h. 18.00

posizione: dall' 11 luglio al 9 agosto 1998

luogo: Chiostro di Sant'Agostino - Centro Culturale "Luigi Russo" - Pietrasanta

orario: da martedi a domenica h. 15.30-19.00

ingresso libero


Comunicato stampa

Presentazione

La retrospettiva dedicata a Mario Marcucci rappresenta un evento di particolare rilievo nel programma della stagione espositiva 1998 che, come avviene ormai da diversi anni, l'Amministrazione Comunale promueve per valorizzare e sviluppare il ruolo di Pietrasanta come città dell'arte e degli artisti.

Animato da un indissolubile amore per la pittura e per la terra e la gente della Versilia, Marcucci non si stancò di raffigurare le immagini che quotidianamente si proponevano ai suoi occhi.

Siamo sinceramente lieti ed onorati di poter rendere omaggio al grande artista, ospitando questa mostra nel sesto anniversario dalla sua scomparsa.

 

Sindaco del Comune di Pietrasanta

               Manrico Nicolai

Critica

Mario Marcucci nasce a Viareggio il 28 agosto 1910.

Comincia a dipingere giovanissimo. È un istintivo, che inizia dando importanza essenziale al fatto della luce che modella la forma.

I suoi compagni che lavorano con lui si chiedono chi gli abbia insegnato a dipingere così. Ha un senso innato delle proporzioni. Aborre da ogni riferimento all'eleganza lineare. Prestissimo sceglie come orientamento la via maestra dell'arte italiana - Giotto, Masaccio, Leonardo, Giorgione. Ma anche Velazquez, Cézanne, Van Gogh, e il nostro Morandi.

Su di lui presto si sveglia l'attenzione dei letterati e artisti. Ma rifuggendo dal farsi strada ed evitando gli aperti consensi, Marcucci si riduce a vivere e a lavorare in solitudine, pago dell'apprezzamento dei pochi. Qualche riconoscimento ufficiale - il "Premio Bergamo" nel 1941, il "Premio del Fiorino" 1954 - non cambiano la sua situazione, anzi scatenandogli contro la concorrenza dei colleghi, rendono più decisa la sua solitudine.

Il mondo della sua figurazione non oltrepassa quello della terra natale, i volti dei familiari e di qualche amico, le piazze di Viareggio, la darsena, la pineta, le Apuane. È un amante del mare, del vento che vi irrompe e lo imbianca, del sole che fraziona all'infinito i rami del bosco, e dei caratteri dei suoi compaesani, della sottile e complessa psicologia femminile, della bellezza dell' adolescenza, dell' assorta umanità della vecchiaia. Tuttavia le rassegne dedicate al "ritratto", al "paesaggio", alla "natura morta", ai "soggetti sacri", o a quelle "imitazioni degli antichi" nelle quali non ha paragone, lo ignorano costantemente. Bisogna arrivare agli anni Sessanta, quando la Galleria Farsetti gli dedica una mostra delle "Cento opere" e la Galleria Pananti inizia la serie delle personali a soggetto - i "ritratti dei familiari", i "ritratti degli amici", le "nature morte", le "maternità e soggetti sacri", il "mare" i "paesaggi", i "notturni" - perché un pubblico più vasto si abitui a riconoscere in Marcucci il "pittore nuovo".

Marcucci ha dimostrato col suo lavoro continuo che ogni giorno ha la sua luce, ogni ora la sua felicità. Che il mondo è grande. Che la carità scende da qualsiasi parte la si richieda o la si effonda, che in ogni foglio, in ogni frammento, può accendersi la vita. Molti sono gli artisti che, da un certo punto in poi, tendono a fare il monumento di se stessi, Marcucci, se mai altro artista, ignorò questo bisogno dell’automonumentazione. Restò puro e incantato alunno della poesia come si era sentito fin da fanciullo.

È un lascito immenso il suo, che a volte può dar l'impressione di disperdersi e sparire, ma come un polline si diffonde e rigermoglia di continuo. Così la coscienza che la Versilia abbia avuto in lui un pittore ineguagliabile, l'artista toccato dalla grazia, è destinata a rinascere ogni volta e radicarsi nel cuore di tutti.

Nel generale assoggettamento dell’ arte alle leggi del mercato internazionale, è da domandarsi, uno come Marcucci, che seguitava per la via del .lavoro onesto, e che dipingeva per emozionante e giornaliera necessità di esprimersi, come poteva seguitare a dipingere? Spesso Mario si metteva davanti una pagina del suo piccolo Masaccio dei "Diamanti dell' Arte" e ricominciava di lì a ricostruire l'uomo e il suo risorgere alla libertà della vita. Sovrapponendo un altro paio d'occhiali ai suoi che non andavano più. Finché un giorno l'unico occhio con cui vedeva si chiuse.

Andò avanti altri sei anni. Confortato dagli amici, col popolo d'immagini che gli si spiegava nella memoria, tra le quali riusciva ancora a scegliere, a dare indicazioni con la chiaroveggenza di un tempo. Per gli amici è stato un dovere, e un pianto, seguirlo nei sei lunghi anni in cui sopravvisse alla sua cecità. Finché non si spense, in Viareggio, il 3 maggio 1992.

Ho davanti una piccola carta dove aveva accennato il profilo dei monti di là dalla darsena, con le case e le zone più vicine appena velate di nebbia. Quella immagine mi fu subito familiare appena la vidi, e torno a immergermi in essa come avveniva davanti alla tavoletta, del '56?, che ritraeva il suo orto dietro casa, con tutto il tempo che vi era vissuto, risentendovi i brividi e i trasalimenti provati da fanciullo al passaggio del vento sceso dalle Apuane a fecondare quel suo piccolo, immenso mondo. Ora guardo quest'altro piccolo paesaggio al di là dalla darsena. C'è una riga che lo traversa obliquamente ma non mi dà noia, anzi mi dà il senso che io questo paesaggio lo stia guardando da una finestra, e il vetro è chiuso, e lo attraversa una venatura, che me lo rende più caro, più familiare, più mio all'interno della mia stanza, ed è così che si apre la strada all' interno dei miei pensieri, strazia il ricordo, muove l'immaginazione, appaga il bisogno del cuore.

 

Alessandro Parronchi

Biografia