Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Sculture e disegni

William Crovello


a cura di Giuseppe Cordoni

 

inaugurazione: sabato 3 agosto 1996 - h. 19.00

posizione: dal 3 al 31 agosto 1996

luogo: Chiostro di Sant'Agostino e Sala Putti - Centro Culturale "Lugi Russo" - Pietrasanta

orario: da martedi a domenica h. 18.00-20.00 / 21.00-24.00

ingresso libero


Comunicato stampa

Presentazione

Critica

Il bel cipresso secolare che s'intaglia nella finestra di fronte, scandisce dietro di sé, tutti i piani della collina: le balze malva degli olivi, la mole azzurro cupa del monte, e persino la nuvola che carezza la sua punta. Domina questo paesaggio versiliese, così monumentale. E qui dal suo studio William Crovello si domanda cosa manchi a questo cipresso per essere compreso e ammirato come una grande scultura. Manca la chiave di quel ritmo che lo slancia verso il cielo; la sintassi del movimento interiore che presiede alla sua crescita. Manca una percezione consapevole della sua forma come segno che renda evidente l'enigma della sua presenza. Da questa semplice constatazione prende le mosse la poetica di William Crovello. Ci occorre un alfabeto formale minimo, essenziale e profondo, una grammatica semplice e intuitiva in cui possano conciliarsi il vorticoso fluire delle sensazioni e la calma rigorosa della mente che le distilla.

 

Improprio è ricondurre pertanto l'esperienza di Crovello scultore nei filoni d'una scultura solamente astratta. Egli s'inventa ed elabora invece questo suo codice segnico essenziale in grado d'immetterci immediatamente nel cuore stesso della realtà. La parola segreta del suo passe-partout ci viene allora finalmente svelata, purché, s'abbiano gli occhi giusti per saperla leggere. Eppure quanto complessa, lenta, meditata risulta questa sua genesi linguistica. Con la saggezza dei grandi calligrafi giapponesi l'Estremo Oriente gli ha insegnato come nella perizia d'un solo segno sia possibile giocarci la nostra riscrittura del mondo. E scrivere non è forse catturare in segni il respiro d'una parola che fugge. Scrivere come fa il vento sulla sabbia o sull'acqua; o come stendere sul candore del foglio le volute nero-azzurre d'un fiume d'inchiostro! Cosmica e umana, v'è una stessa attitudine a lasciare una traccia del respiro di ciò che è vivente; perché l'invisibile deve farsi evidente e l'impalpabile certo.

 

Ecco allora la prima scommessa di William Crovello: strappare questi segni della vita che scorre alla loro labilità. Renderli

 

finalmente intellegibili! Scolpirli, dando loro spessore e durezza, consistenza e volume, morbidezza o porosità, ombra e lucentezza gioia tatti le o cromatica. La beltà stessa dei materiali ch'egli utilizza: acciaio, ferro, marmo, pietra, graniti colorati non è mai suggerita da una scelta edonistica. Deve infatti esaltare la pregnanza formale del segno scolpito e diventarne l'inchiostro indelebile e duraturo. Allora, contemplato così dal suo dentro, filtrato attraverso la lente nitida d'una rigorosa riflessione geometrica, quell'oscuro movimento cosmico che tutto sostiene, finisce per sorprenderei e per irradiarci la sua armonica, ariosa e disarmante semplicità.

William Crovello ne intuisce a poco a poco la lingua e nell'arco di trent'anni elabora questo lessico parsimonioso, concentrato in poche famiglie di strutture dinamiche, imparentate fra loro o da una stessa genesi grafica, o dalla traslazione ritmica di forme organiche, o da una più mentale percezione della mobilità dello spazio. Ogni segno è sempre per sua natura dinamica; e viene dunque qui sovvertita ogni idea di scultura tradizionalmente intesa come figura staticamente ancorata ad uno spazio a lei indifferente. AI contrario in ogni opera di Crovello pieno e vuoto interagiscono scambiandosi sempre reciproci impulsi. Aperte o chiuse, compatte o svuotate queste sue forme-chiave chiamano sempre in causa un'idea di totalità e, pur cosi decantate e assolute nel rigore che le circoscrive, obbligano sempre lo spazio immediato che le circonda a dialogare con loro. Portano infatti in superficie un'armonia cosmica latente o possibile. E pur nella vocazione minimalista che la sorregge, ogni sua opera sviluppa dunque una sequenza plastica: una sua linea armonico-melodica che tende ad espandersi quasi che possedesse anche una sua anima sonora.

La nostra gioia percettiva deriva pertanto dal verso, dal ritmo: potremmo dire dal contrappunto, di tali andamenti. E l'autore gioca proprio sulla sorpresa di alcuni paradossi percettivi. E questo scarto semantico lo si riscontra in ogni momento della sua ricerca: nelle piccole sculture, come nelle forme di grandi dimensioni concepite per dialogare con grandi spazi all'aperto, in convulsi contesti urbani come nei silenzi d'una grande nature. Così nella serie delle Twin Ripple egli ribalta l'impressione consueta d'ogni moto ondulatorio, lo accorda con il suo doppio e lo innalza nello slancio cadenzato e aperto d'un mare verticale. Nondimeno che per la poesia o per la musica jazz o per il profilo d'un paesaggio che s'è inciso nella memoria, v'è una metrica del ritmo che lo scultore scandisce sempre con sorvegliato rigore. Può fluire sino a dissolversi in alto come accade nel candore delle sfere di Hanjo (1971); o avvolgersi su se stessa, sinuosamente, come una frase musicale ribattuta, Closed Riff(1972); o aprirsi nella scansione serrata d'un fiore astrale, Pleiade (1980); o instabilmente irradiarsi nel vuoto asimmetrico d'una doppia forma di cuore, Twin Valentine (1974); o perfettamente spalancarsi in due nel mistero del nero granito di Maja (1975)

E questo felice ribaltamento percettivo si sviluppa in impulsi del segno, compiuti e aperti nello stesso tempo, vere e proprie mimesi del moto d'ogni struttura vivente, come nelle danze sinusoidali del DNA o nelle orbite dei corpi celesti, Jonomai (1989). Infinite appaiono così le occasioni e le possibilità di riscrittura e di rilettura del mondo. Anche il cerchio magico in cui il calligrafo zen vorrebbe in un solo gesto abbracciarlo, non è mai concluso. E basta appena mutarne gli spigoli in lisci o taglienti e zigrinati per averne una risposta plastica del tutto opposta, Ensò (1988). Ed anche le figure geometriche auree più elementari: quadrato o cerchio, come arcanamente si animano se appena se ne invertono gli spigoli o se ne taglia una benché, minima porzione, Shadow Square, (1989); o il centro del cerchio vuoto si abbassa rispetto a quello dell'anello che lo contiene, Theodora, 1984.

Così a lungo contemplata la forma più evidente ci diventa allora sempre più misteriosa, Majita (1996), trascinando i nostri sensi dietro di lei fin dove è dato loro di spingersi. Sempre più essenziali le sculture di William Crovello divengono allora la traslazione plastica di gesti rituali invisibili e necessari per varcare il confine d'ogni apparenza, Katsu (1992). Aldilà del titolo che ne ha suggerito il pretesto, vanno comunque sempre intese come puri significanti. Anche la loro simbologia non è mai dunque latente, occultata, soggiacente alla forma. Il loro senso evidente è solo quello di esserci; cose fra le cose, assieme a tutte le altre cose del Creato. Ma contribuiscono così a renderci finalmente presente, esistente, individuabile e amabile, movimentato e vivente ciò che ci circonda. Ci suggeriscono una rilettura contemplativa ed estatica della realtà. Lo scultore ha fatto epochè della sua storia, dei suoi sentimenti, delle sue emozioni: è totalmente sparito in queste forme-segno assolute. Ma così facendo ci aiuta a rientrare nell'unità reale di questo o di qualsiasi altro paesaggio: assieme al cipresso, alle balze con gli olivi, al profilo del monte e alla nuvola che lo carezza.

 

Pietrasanta, 5 Luglio 1996

Giuseppe Cordoni

Biografia