Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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Il Dono dei Magi

Collettiva di scultura


a cura di Giuseppe Cordoni e Antonella Serafini

Hanno Partecipato: Alessandro Tagliolini, Andrea Grassi , Anna Chromy,Aristide Coluccini, Arturo Dazzi, Augusto Perez, Carolina Van Der Merwe, Costantino Nivola, Federico Severino, Fernando Botero, Francesco Messina, Gabriele Rovai, Gianni Fenu, Girolamo Ciulla, Giulio Ciniglia, Henry Moore, Ivan Theimer, kawiak Tomek, Lucilla Gattini, Marcello Tommasi, Maria Gamundi, Marino Marini, Massimo Pellegrinetti, Novello Finotti, Rinaldo Bigi, Rosario Murabito, Serafino Beconi, Sergio Cervietti, Ugo Guidi


inaugurazione: sabato 14 dicembre 1996 - h. 17.00

posizione: dal 14 dicembre 1996 al 14 febbraio 1997

luogo: Chiesa di Sant' Agostino e Centro Antico - Pietrasanta

orario: da martedi a domenica h. 16.00-19.00

ingresso libero


Comunicato stampa

Presentazione

Pietrasanta in questo anno che si sta chiudendo si è trovata improvvisamente a confrontarsi con la tragedia e il dolore. In questa terra benedetta da Dio e dalla natura, da cui per tanto tempo avevamo avuto solo i frutti positivi, improvvisamente è arrivato il disastro.

 

Convinti della necessità di tenere vivo il ricordo delle vittime e delle sofferenze provocate dall'alluvione del 19 giugno, abbiamo voluto organizzare in occasione delle festività natalizie questa mostra il cui tema, il materno, possa divenire celebrazione della speranza di una rapida ricostruzione, fiducioso nella volontà e nella tenacia della gente versiliese.

 

Ringraziamo gli artisti, gli artigiani del marmo, i collezionisti e tutti quanti hanno collaborato alla realizzazione di questa mostra e che, attraverso l'arte, hanno voluto dimostrare solidarietà alla nostra città.

 

Il Sindaco

 Manrico Nicolai

Critica

 

IL DONO DEI MAGI

In nativitate flurninis

 

di Giuseppe Cordoni

 

Il profilo di Versilia, pur nel!a sua rude e maestosa difformità, s'è imposto sempre nell'immaginario poetico come fertile e materno. Generare, trasformarsi e creare bellezza sono state nel corso dei secoli le attitudini più radicate nel!a sua gente. Del resto persino nel!a sua stessa configurazione fisica trova il suo nome e la sua anima da uno sposalizio fra due fiumi che scendono da due montagne regali. Da una Pania tetragona e paterna e dall'immenso grembo d'Altissimo che spalanca il suo manto di pietra sul!e val!i degradanti verso il mal'e. E sempre la forza del!'acqua rapida del suo corso breve s'è imposta come grande modellatrice. La voce latina versare, nel senso di spingere innanzi, da cui forse discende il nome stesso di Versilia, non rende forse cosi bene l'idea di questo fiume rapido e bizzarro dagli umori mutevoli e crudeli?

Ma la grazia de!!'amore umano che genera e nutre e sostiene, come quel!a del!'arte che immagina e pre fìgura il volto del nostro destino non si affermano mai, qui come altrove, ma qui con quanta più efficacia che altrove, senza restare avvolti dal mistero d'un dramma senza fine. Sia nell'arte come nel!a sensibilità del!a sua gente vi sono state infatti costantemente due letture opposte e concomitanti del profilo versiliese, due modi differenti eppure intimamente legati di esprimente questo sentimento d'amore: uno così intimo ed elegiaco e l'altro tragico in assoluto, come se ogni madre vedesse nel Calvario adombrarsi la sua sorte. Così lungo il corso dei secoli e del fiume qui il cuore materno è stato percepito mentre oscilla sempre fra tenerezza e pietà

Moore deve aver carezzato i candidi ciotoli malbacchini, dolcemente incavati e lisci come il ventre che ci ha portato, tanto da credere che ognuno di essi prima o poi avrebbe partorito una montagna. E Michelangelo, appollaiato sui contrafforti della Polla del Serra, deve aver guardato giù, al grande grembo di pietra su cui il nostro fiume-madre rimbalza e canta e versa lacrime senza fine. La vertigine deve averlo colto! Come mai potrà esser quel vuoto colmato? Ed ecco riapparirgli l'altro grembo della sua giovane Madre di tutti noi viventi, mentre accoglie il Figlio senza più vita; quella sua prima Pietà che i nostri scalpellini copieranno all'infinito come segno o tentativo di consolazione d'ogni amore materno mutilato. E Vine1r e Viani avrebbero poi dipinto fra gli umili di questa terra uno stillicidio quotidiano di lutti anonimi e immedicabili nel corpo del figlio cavatore rimasto sepolto sotto una varata, o della nera figura d'una vecchia madre di pescatore, mentr'ella scruta invano un mare livido dopo il fortunale.

Nondimeno dolce e appassionata si è levata la voce dei poeti dinnanzi al volto dell'Apua Mater: nella girovaga nostalgia del vagero Ceccardo, o nella fertile solarità dannunziana di tutte le sue madri alcyoniche: sempre vitalistiche o tragiche, come la grande Niobe scorta nel profilo delle cime marmoree; o nella mitica popolare sacralità che in Pea avvolge ogni nascita; o infine nel montaliano sconforto dinnanzi a questo nostro tempo insterilito che smarrendo la sua umana 1nisura, ha lasciato che si aprisse "questo mare di creta e di mondiglia" 

Inaudita è stata la forza degli elementi; ma la furia stessa del fiume è sembrata scatenarsi proprio dopo quei nostri anni così rapaci dell'abbondanza senz'anima. Quando una cultura del dominio indiscusso dell'Uomo sulla Natura ha prevalso; quando con tanta più sacrilega empietà, è caduta in oblio l'idea stessa d'una terra come madre e fonte inesauribile di vita; quando la si è totalmente dissacrata sino a ridurla ad un 'inerte riserva di cose necessarie da poter depredare all'infinito.

Quando improvvisa la valanga d'acqua e terra e alberi e cose e creature ha sventrato Cardoso e Ponte Stazzemese e Ruosina e l'Argentiera, quando alla curva di S. Bartolomeo furioso ha ricercato il solco del suo vecchio letto: la sua tremenda memoria naturale, spazzando via l'argine della nostra fragile e orgogliosa resistenza, soltanto allora si è compreso quanto precario fosse l'equilibrio che con tanta fatica o imprevidenza avevamo stabilito con questa nostra madre-fiumeVersilia. Ogni tentativo fatto in oltre mezzo millennio per regimentarne il corso è risultato cos'l'effimero e inadeguato. E come se non bastasse, proprio in questi ultimi decenni di più espansione tecnologica e economica, in cui poteva risultare più agevole e facile tentar di addomesticarne le piene, la sua presenza è addirittura caduta in oblio. A lungo è stata rimossa in una collettiva, incosciente e dolosa trascuratezza.

Così la Grande Alluvione del 19 giugno scorso il fiume ha riaffermato tutta la sua tragica maestà naturale. Ha mostrato tutto il peso della sua esistenza; ha rise ritto nel lutto la sua legge inflessibile. Dolce o terribile a seconda delle stagioni, esso è ancora il più forte. Vuole dunque essere temuto, amato, servito, goduto, ascoltato e cantato; ma non tollera più d'essere trascurato, dimenticato, inquinato, profanato e immiserito. Esige pertanto che una nuova cultura del fiume si formi nell'immaginario collettivo, riaffermando come da sempre il legame armonico che in Versilia e lungo il Versilia sussite fra uomo e natura, sia sempre stato il frutto d'un equilibrio raggiunto soltanto attraverso una misura poetica che pretende passione, pazienza e fatica. Come se si trattasse d'un'opera d'arte a suo modo riplasmata con le forze più elementari del Creato.

 

Un presepe per la rinascita

 

Ma ogni fatto apocalittico lascia sempre dietro di sé, nell'anima, una mutilazione irreparabile. Mai niente ci sarà restituito di ciò che la furia del fango ci ha rubato e travolto: né la grazia della piccola Giulia o del piccolo Alessio, né l'affetto di tutti gli scomparsi, né il prezzo umano d'ogni cosa perita. Cancellato dalle acque, l'archivio della memoria dei paesi versiliesi, non potrà più dettarci chi eravamo. Ogni catastrofe naturale, come un'immane devastazione bellica, azzera sempre il senso del nostro destino, obbligandoci a reinventarci un 'identità necessaria e in molti casi quasi a ripartire dal nulla.

Abbiamo chiesto dunque anche all'arte di restituirei il senso del tragico di questi eventi e allo stesso tempo di medicarci un poco, per quanto essa possa, d'ogni lutto subito. Memoria e consolazione non sono forse le sue risorse più profonde, quelle che a Pietrasanta, attraverso la scultura, costituiscono una sua prerogativa vitale. E nata così l'idea di questo insolito grande presepe internazionale di scultura: Il dono dei magi - In natitivate fiuminis, allestito nel centro antico della città e nella monumentale Chiesa di San Agostino. Una mostra per celebrare la speranza della rinascita, la volontà di riscatto e una ritrovata umiltà dell'uomo verso una troppa offesa madre-natura. Una mostra concepita come una sorta di ex voto, a cui sono stati invitati alcuni scultori nati in Versilia ed altri che pur provenienti da molte parti della Terra sono qui rinati alla vita dell'arte. Ed essa non poteva che essere incentrata sull'archetipo dominante della cultura versiliese, in quella sua vocazione al materno che, come abbiamo veduto, in modo così esclusivo l'alimenta.

Il suo percorso si snoda partendo dal cuore antico della piazza del Duomo. Vi spicca il volo una candida Nike di Samotracia, copia perfetta dei nostri maestri artigiani e simbolo anch'esso di un modello di lavoro materno e creativo, perché sfuggito miracolosamente alla schiavitù d'una fatica anonima e alienata. Nessun altro emblema poteva meglio di questo ispirarci l'essenza d'ogni vittoria umana che in fine risulta esserci sempre alata e decapitata. Mentre sotto le volte della grande navata del Sant'Agostino, dove più struggente ci è stato l'ulti1no addio a tutte le vittime della Grande Alluvione, una semplice e solenne memoria michelangiolesca suggerisce il sobrio presepe della nascita e del sacrificio. Al centro ci attira a sé, con la calma di un porto agognato, la dolce maestà della Madonna di Bruges; e la linea dell'amore che avvolge e plasma in un 'unica figura madre e bambino, segue una sua spirale infinita verso l'Alto. Mentre di lato alla sua sinistra le sta questo Schiavo morente schiacciato come Sisifo sotto il peso d'una colpa non ancora riscattata; e alla sua destra svetta, facendole da pendant, la trasparente figura dell'Annunciazione di Novello Finotti. Sguscia fuori da un sogno, questa giovane donna eretta in bilico sul cuscino di tutte le sue notti d'attesa. Quanto distano lo schiavo e la fanciulla dall'amore che ci manca? Ma dire sì diventare ancora madre, perpetuare quest'oscuro cammino verso un 'altra esistenza e un 'altra morte, e verso un 'altra agognata necessità di salvezza, è come accettare che il corpo intero esploda pur di accogliere il Seme della vita. 

Dove sono i sapienti che ancora scrutano le carte degli astri, s'interrogano nel profondo del loro cuore e si mettono in cammino non appena una stella profetizza loro la rotta della speranza? Di certo anche qui, fra i nostri scultori di Versilia, che seguitano ad inseguire nel candore del marmo, o nel fuoco d'ogni fusione, o nella tenera umiltà della creta, o nella più effimera cartapesta, l'epifania d'una bellezza che trasfigura un 'esistenza incapace di poesia. Sono loro i nostri Magi! L'oro, l'incenso, la mirra che recano in dono in questa mostra, ripercorre qui la distanza, la nostalgia, la tenerezza, il calore della presenza o il gelo mortale dell'assenza, tutta la regalità e l'umiltà d'una Madre salvifica.

Sono questi esempi significativi di cinquant'anni di scultura europea e versiliese (ma potremmo ben dire anche il contrario!) sulla plasticità del materno. E l'itinerario di questi doni della speranza segue una sua precisa orchestrazione mitico-simbolica. Dalla rappresentazione d'una Terra madre originaria, gestante sin dalla sua prima apparizione d'una vita venuta dal mare; all'idea madre-cava versiliese risorsa d'ogni creazione scolpita; dal travaglio di Eva, prima madre di tutti i viventi, alla pietà e alla maestà gioiosa di Maria. Sembra di avvicinarci sempre più ad un centro di luce, al cuore d'un mistero del nostro legame più profondo e diretto con la Vita. Sembra di essere accolti finalmente sotto il manto di quella giottesca Madonna del sole pietrasantina che mitiga le intemperie dei fiumi e dei cuori sconvolti. Ci si aspetterebbe così d'essere finalmente svezzati col latte d'una verità che ancora non ci appartiene. Ma altri scultori-magi segnalano l'esistenza d'un cammino che invece seguita ad andare all' inverso. E ci si ritrova così ancora nel bel mezzo d'un dramma, accanto alla solitudine d'ogni madre negata o d'ogni Niobe sconvolta a cui stanno di nuovo strappando l'ultimo figlio.

 

Pietrasanta, 7 dicembre 1995

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