Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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La luce della pietra

Mostra collettiva di scultori e laboratori


Espongono gli scultori: Dora Bendixen; Michele Benedetto; Rinaldo Bigi; Paolo Borghi; Pietro Cascella; Girolamo Ciulla; Pietro Consagra; Daniel Couvreur; Novello Finotti; Maria Gamundi; Alba Gonzales; Andrea Grassi; Gigi Guadagnucci; Tomek Kawiak; Ervin Løffler; Pasquale Martini; Franco Miozzo; Athos Ongaro; Franco Pegonzi; Luciano Pera; Giò Pomodoro; Antonio Recalcati; Cesare Riva; Jens Flemming Sørensen; Alexandre Sosno; Gunther Stilling; Alessandro Tagliolini; Viliano Tarabella; Ivan Theimer; Antonio Trotta

 

e i laboratori: Bottega Versiliese; Laboratorio Giorgio Angeli; Laboratorio Franco Cervietti & C.; Laboratorio Giuseppe Giannoni; Laboratorio Sergio e Marco Giannoni; Laboratorio Stefano Giannoni; Laboratorio Ulderigo Giannoni; Laboratorio Ferdinando Palla; Laboratorio Pio Rossi & Figli; Laboratorio Franco Spadaccini; Laboratorio Nicola Stagetti; Laboratorio Umberto Togni; Studio Sem & Associati

 

a cura di: Enrico Botti e Giuseppe Cordoni

inaugurazione mostra: sabato 23 luglio 1994 - h. 21.30

esposizione: dal 23 luglio al 4 settembre 1994

luogo: Piazza Duomo, Pietrasanta

ingresso libero


Comunicato stampa

Presentazione

LA LUCE DELLA PIETRA

Terra di scultura. L'idea, il luogo, la vita.

di Luigi Cavallo

 

La luce della pietra, titolo unificante di questa antologia riservata a immagini di marmo o pietra. La paternità dell’ iniziativa è del poeta e critico Giuseppe Cordoni e di Enrico Botti, dell'omonima galleria di scultura contemporanea.

Lo scorso anno essi idearono un'altra insegna, Pietrasanta. La veste del vuoto. Artisti e fonderie, e organizzarono, con ottimo seguito, nel centro .storico pietrasantino, una mostra dedicata a opere in bronzo, promossa dall' Ascom locale.

È stabilita ora una concordanza unitaria nella nuova riunione: figurano esposte creazioni che hanno una patria comune, sono state elaborate nelle botteghe di Pietrasanta.

Due spazi eccellenti per l'arte plastica e fra loro connessi da antica sinergia di devozione, di sensibilità architetturale, di gusto nel fabbricare immagini in marmo per via d'intaglio, sono stati scelti per accogliere questa mostra di scultori d'oggi che sfida così ben ardue comparazioni: ancora Pietrasanta, nella piazza di quel Duomo di San Martino ornato dai rilievi degli Stagi, di Donato Benti, dei Casoni; e, in seconda tappa, per interessamento di Francesco Fenudi, l'area circostante la Cattedrale di San Martino a Lucca, tempio di Jacopo della Quercia e dei Civitali.

In accordo con la terra di Versilia e in aspro confronto qui sono nate nei secoli le forme della scultura. Gli artisti vi hanno trovato la materia eletta, i marmi, e le suggestioni plastiche delle masse apuane in controluce. Il contrasto tra il pieno roccioso e il vuoto, la trasparenza che è il cielo sagomato dai profili dei rilievi. Il volume opaco e solido consiste a riscontro con il complesso lucente del mare, insieme corporeo - «Acqua di sassi», come diceva Lorenzo Viani - e incorporeo. Un monumento immobile, le pareti del monte che biancheggiano di ferite, e un piano ondoso d'erba azzurra in continuo movimento.

Per chi ha mestiere e idea le stagioni, le luci, l'ambiente e la storia di questa costa tirrena sono ritmi e motivi sollecitanti, suggerimenti che valgono percezioni, aiutano il procedimento materiale, quella fatica di trasformazione che è una sfida per conferire emozioni e presenza alla pietra, per renderla organismo, per far pulsare nella forma magari il senso della natura o l'indizio, il germe di una condizione poetica.

Larga parte di questa producente fascinazione proviene dal pregio del passato che fa qui risuonare le culture etrusche, romane e rinascimentali: ed è fresca memoria di quella splendida mostra Le vie del marmo. Aspetti della produzione e della diffusione dei manufatti marmorei tra '400 e '500 allestita nella Chiesa di Sant' Agostino a Pietrasanta nel 1992, che permetteva una visita approfondita alle formidabili risorse di disegno, di tecnica e di capacità inventiva, se non altro, dei rinomati maestri. Un appoggio che l'artista uso a misurare nella pietra il proprio linguaggio tiene sempre in alta stima, come si può vedere in diversi autori qui presenti.

Ininterrotto è stato comunque il flusso di mestiere e di creatività dall'epoca barocca fino al purismo neoclassico che prediligeva il candido statuario, e al liberty che richiedeva sfoggio decorativo, fino ai maestri del nostro Novecento, Arturo Martini, Arturo Dazzi, Marino Marini, Francesco Messina, fra molti altri, che in Versilia ebbero stazioni importanti di lavoro e valentissimi collaboratori.

Conviene porre mente anche alle grandi correnti delle imprese edili che da queste parti attingevano e tuttora si procurano materiale nobile per le costruzioni, ornamenti, arredi, statue celebrative, fontane: tutto ha concorso a mantenere qualità di luogo deputato a questo paese di cave e di officine dove l'arte sempre è impastata con le cure artigiane, il maestro scruta l'abilità dell' operaio e, senza distinzione fra gli artefici poiché li accomunano i medesimi interessi, l'energia dell'uomo rimane intera nella sua accensione verso un sublime irraggiungibile.

 

Una dedica viene riservata non solo in frontespizio ma nel cuore di tutti coloro che hanno collaborato alla mostra: per lo storico e critico d'arte Pier Carlo Santini scomparso lo scorso giugno, nel pieno della sua attività. Da lui negli anni abbiamo appreso amicalmente con che silenziosa serietà si possa amare l'arte e scriverne senza fame vezzo accademico e tanto peggio argomento di vanitosa esibizione.

Dalla Fondazione Ragghianti di Lucca della quale era direttore, circondato dai libri della sua biblioteca, occupandosi di mostre memorabili, di pubblicazioni e di convegni sui problemi attuali della cultura figurativa, teneva alto il registro dell'attenzione sui contemporanei, con l'occhio mai distolto dagli interessi educativi, didattici, dalla funzione sociale dell' arte, credendo nelle risorse creative e civili del proprio tempo, con la passione e la semplicità che si conoscono negli studiosi di vero talento e di generosa, illuminante umanità.

Basti il ricordo di Pier Carlo Santini per accompagnarci degnamente nel percorso tra queste pietre scolpite. Anzi almeno due avvenimenti critici dei quali si occupò ci piace considerarli in certo senso premessa della presente rassegna: l'esposizione Scultura italiana del nostro tempo, ordinata nel 1982 nella sede della Fondazione a San Micheletto di Lucca, e Scolpire tra Carrara e Pietrasanta, nei Giardini Pubblici di Carrara, 1989, con un eccellente «Omaggio ai maestri scalpellini di Versilia» scritto da Giò Pomodoro che indicava «un approccio più giusto e corretto» per considerare la scultura, «questa particolare forma di produzione spirituale», addentrandosi nella «sua storia materiale, cioè delle sue tecniche e modalità e rapporti produttivi».

Conviene rileggere qualche riga ancora di quanto Giò Pomodoro ricavava dalla propria militanza di scultore abituato a lavorare fianco a fianco con le maestranze versiliesi: «Non ci si improvvisa tagliapietre e cavatori perché il tirocinio è lungo e l'apprendimento lento. Perché fondato sulla pratica manuale quotidiana ininterrotta, sull' esperienza diretta, con la necessità dell’ invenzione continua di metodi e di tecniche operative connesse alla conoscenza profonda del materiale lavorato. (...) Quello della lavorazione della pietra è un universo dove i gesti e le azioni che si compiono sono fedeli ad un unico codice scarno e archetipo, feriale e dimesso, dove il rito, anche se grandioso in alcuni casi, come quello delle varate di cava nel momento dell' estrazione e calata a valle di bancate di pietra del peso di migliaia di tonnellate è austero, non fastoso, ma mitico».

In quell' occasione del 1989 , come pure ora avviene, le sculture erano disposte in spazi pubblici, all'aperto, come in un ideale «laboratorio aperto e problematico» secondo quanto auspicava Santini già nel 1982, poiché in ogni caso si tratta «di provocare e stimolare interessi nuovi, di rendere abituali certi incontri vincendo pregiudizi e diffidenze».

Mettendole in piazza non solo si restituisce alle opere il senso di prestanza monumentale, ma si cerca di sanare una frattura fra chi guarda e l'opera artistica, si rende naturale l'azione rappresentativa e attiva della scultura, più disinvolto il contatto - e magari il contrasto - con le forme erette nel contesto architettonico; si fanno vivere insieme con noi partecipi della quotidianità urbana, non in un momento eccezionale, per una sporadica visita al museo.

Le forme perdurano nel paesaggio e con esso costituiscono una prosecuzione di esperienza visiva, narrativa, figurativa, di fantasia e di realtà. Ma non si creda che il rapporto possa essere unicamente di contemplazione, di tranquilla fruizione, come uno spettacolo che ha l'appagamento o il piacere per risultato. Ricordiamo un avvertimento tutt'altro che consolatorio di Pietro Consagra del 1960 e quanto mai valido: «L'agguato c'è» nell' arte contemporanea, il dramma esterno è serrato nelle opere, le complicazioni, le delusioni, gli strappi del nostro tempo sono tutti compressi negli oggetti che escono dalle mani dell' artista. Non può che essere così. Spesso restiamo feriti e scossi dall'osservazione delle forme. Consagra poteva ben dire: «L'arte è fatta per chi dall' arte vuole qualcosa: qualcosa però che l'arte sia disposta a dare. Se una volta dava il suo appoggio incondizionato al potere adesso dà il suo appoggio incondizionato alla libertà dell'uomo e per ciò con un senso mai statico ed unilaterale (...). L'arte non può tirare fuori dai guai nessuno ed il suo senso della realtà è camuffato nei mille aspetti della furberia complicatissima di chi ha pudore di sentirsi impegnato in un mondo aggrovigliato di ricatti. E proprio le sue contraddizioni e la sua poetica risiedono in questo pudore dove la violenza e la protesta possono apparire gesti donchisciotteschi, dove l'amore può apparire cinismo, l'interesse formale e materico un trastullarsi bizantino davanti alla catastrofe. »

Sono ormai state combattute - e vinte - tante battaglie in favore degli eventi nuovi dell' arte. Uno scorcio di quanto avveniva oltre mezzo secolo fa può darci l'idea dello scontro sempre vivace fra artista e società. Scriveva Arturo Martini, da Carrara, 24 giugno 1942, all'amico don Giovanni Fallani di Roma: «Avrai visto dai giornali cosa abbia scatenato la mia ultima produzione a Venezia [alla Biennale esponeva quindici sculture, fra cui Tuffo di nuotatrice e Donna che nuota sott' acqua, capolavori del nostro secolo], uragano di insulti verso chi tenta e spende la sua vita per portare nuove parole alla storia, ad ogni modo è sempre stato così; quando disturbi il quieto vivere (…). Il mondo della critica è vecchio e ama troppo lavorare col catalogo, mentre io fino in fondo devo scoprire la parte viva del mondo plastico e quindi camminare, sostare, tornare come chi ha da trovare dal mondo smarrito la verità (...) io indago mondi eterni». Non si creda però che tutto quanto è dato per avanguardia, per arte di punta sia legittimato da quelle molto serie contese; il giudizio' interessante' si spende troppo facilmente. Non si può accettare ogni cosa in nome dello scatenamento lirico, emotivo, dell'antiarte, della protesta, della provocazione, della negazione per la negazione. Si rischia di valorizzare uno stupidario nefasto per ogni intelligenza. C'è piuttosto un avviamento antiromantico, inquietante, che può aiutare a calarsi senza reti pregiudiziali nelle opere veramente degne, nei messaggi più intensi con atteggiamento disponibile: scintilla dalle parole di Consagra: «Per amare un' opera d'arte moderna bisogna avere il gusto della cospirazione anche verso i propri sentimenti.»

In questo modo la scultura agisce a fondo e può imporsi nella distratta dinamica odierna, muove la sensibilità e serve anche il luogo in cui è stata materialmente concepita.

Non bisogna altresì dimenticare che questa visione ravvicinata di opere d'arte è consentita dalla fiducia che gli autori ripongono nel pubblico, e la fiducia non può che essere ripagata, almeno, con la responsabilità e il rispetto che ciascun visitatore deve avere per le delicatissime e preziose superfici. Lo schema di massima che una volta si usava per ripartire le correnti dell'arte plastica è divenuto inutilizzabile: ordine astratto-costruttivistico-razionale; informale-materico-irrazionale-composito; figurativo-imitativo-realistico-naturalistico; simbolico-surreale. Nient'altro che moduli; male si applicano alle individualità di ciascun autore. Eppure, moltiplicandosi le tendenze, non si può negare che vi siano dei filoni entro i quali scorrono certi gruppi di interessi espressivi, desinenze che a un certo punto dovranno ben essere individuate con una qualificazione sintetica.

Articolare il discorso a seconda dei materiali adoperati, così da consentire, almeno di partenza, un denominatore comune in una nutrita serie di proposte e maniere, potrebbe essere un modo accettabile per segnare dei capitoli omogenei, per certi termini, nelle vicende artistiche dei nostri giorni.

Se vogliamo distinguere una sorta di linea rappresentativa nelle ricerche attuali - e vista la caducità delle formule critiche e tanto più delle 'categorie' - perché non affidarsi, anche a titolo sperimentale, a condizioni oggettive, il riconoscimento dei materiali, appunto, e delle tecniche fra loro simili. Ciò pare tanto più utile in scultura che in pittura.

Lo constatiamo in questa mostra. In un campo di linguaggi vari, con tanti temperamenti e voci, non selezionati per stile, valori, assetti plastici, tanto meno per tematica e dimensione, sembra plausibile imparentare opere sostanziate con forme di pietra, solidi ricavati 'per via di levare' .

Scultori che mantengono fiducia in una materia 'tradizionale' - come i pittori che insistono a dipingere con colori a olio su tela - e usano quindi un veicolo comune per esprimersi. Questo consente un raggruppamento non fittizio sapendo altresì quali coacervi dei più impensabili materiali vengano assemblati, quali ibridazioni siano oggi inventate per produrre opere a tre dimensioni che è invalso denominare' sculture'. Gli artisti che partecipano alla manifestazione, alcuni assai noti anche in ambito internazionale e con una cospicua letteratura, altri più giovani ma seguiti dalla critica e che già hanno dato prove significative di spiccata individualità, sono di diverse provenienze, di vario orientamento estetico e di più nazionalità. Si può dire che la maggior parte delle scuole odierne del marmo siano presenti sebbene con forze ineguali. Rinunciando a un vaglio stretto, a un indirizzo precostituito che favorisce condizioni schematiche e, in fondo, immobili, si è rivelata la ricchezza della mostra che ribadisce la libertà creativa nella molteplicità delle esperienze, ma tenendo fermi quei valori di fondo che sono la capacità di tradurre manualmente nella pietra.

Certo non è stato possibile, per indisponibilità di opere, per necessità di contenerne il numero, dare un ragguaglio completo di quanti scultori hanno a Pietrasanta un loro punto di attività. Spiace che siano assenti le firme di Niki de Saint-Phalle, Knut Steen, Giuliano Vangi, Kan Yasuda, Maria Papa. Ciascuno potrà idealmente completare, a seconda delle proprie preferenze, le pagine mancanti.

 

maggio 1994

Critica

Biografia