Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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charta imago

Rosario Bruno


inaugurazione mostra: sabato 8 ottobre 1994 - h. 18.00

esposizione: dall' 8 al 30 ottobre 1994

luogo: Sala del Capitolo - Chiostro di S. Agostino,  Pietrasanta

orario: da martedì a domenica 18.00-20.00/21.00-24.00

ingresso libero

 

Rosario Bruno è presente nella collezione del Museo dei Bozzetti


Comunicato stampa

Presentazione

Critica

La materia immaginativamente congenita per Rosario Bruno è la carta, che manipola da vent'anni a questa parte. Ma attenzione: Bruno non è l'artista operante "in chartis", cioè che costruisca immagini, strutture, tracce, o altro con la carta. E non soltanto perché appunto non se ne serva episodicamente ma abitualmente. Quanto perché si costruisce la propria carta, manipolandola aggiuntivamente in un esito che a riscontro della tradizione ama indicare come "cartone romano". Vale a dire che della carta come "mezzo", per sua natura flessibile, piegabile, ritagliabile, sottile ed aereo, "mezzo" dunque particolarissimo che affascina come tale, della carta dico Bruno si fa invece una propria "materia"; ed esattamente una materia plastica, la cui consistenza contraddice gli agi consueti dell' uso della carta. Cartone romano e non cartapesta, giacché quest'ultima si fa materia plastica manipolabile quasi come potrebbe esserlo l'argilla, in quanto carta macerata, mentre Bruno procede per aggiunzioni stratificate. La sua carta si fa materia plastica per via di sovrapposizione a colla; ed è così appunto che acquista la propria consistenza, e l'acquista attraverso una sorta di ritualità gestuale intimamente inerente dunque il fare dello scultore siciliano.

Scultore perché tale infine enuncia di essere Bruno nelle sue proposizioni affidate ad un' indubbia evidente consistenza plastica, sia pure nella preferita misura del rilievo. E d'altra parte il processo di stratificazione non esclude, né ha escluso nel tempo, l'intromissione di altre materie flessibili, come la tela, e da aggregare in una concrezione robusta e appunto plasticamente confermabile. Attraverso la quale Bruno in questi vent'anni ha operato con molta libertà e senza scrupoli di opzioni definitive, come fra non-figurazione o figurazione, giacché il suo termine basico di riscontro, costante, è quella del tutto propria materia, che egli si costruisce utilizzando le carte più diverse, dal giornale, al rotocalco, dalla carta da pacchi alla velina, ciascuna con i propri segni e i propri colori, accettati come tali, o rialzati cromaticamente, con colore locale o segni, a seconda della necessità inventiva del momento.

Schwitters utilizzava frammenti cartacei nei suoi "Merzbild", evidenziando elegiacamente il senso di brano di vissuto a ciascun frammento pertinente, in un orizzonte sostanzialmente quotidiano, e giocando sull'incongruità dei rapporti che si venivano a stabilire. Bruno accetta i frammenti di carta nella loro originaria caratterizzazione soltanto spegnendoli di un' immediatezza di riferimento e di relazione, giacché destinati nel nuovo costrutto plastico-materico ad un compito di relazioni diverso, mirato infatti ad una sorta di varietà tissulare, sedimentati dunque, in qualche modo spenti nella loro eventuale originaria virulenza, brani di un diverso contesto, ironicamente destituiti e come ricollocati in un'origine che tutto sembra riassorbire. Che è quella materia che Bruno si costruisce per modellarla, e che tuttavia si costruisce perciò tassellarmente variegata, e a volte giocata su gamme spente e neutre, a volte rialzata in vibrazioni cromatiche accese.

Ed è così che si possono cogliere le peraltro evidenti costanti del suo lavoro in questi lunghi anni. E anzitutto la totale dedizione alla manualità come atto primario del costruire, e anzitutto del costruirsi appunto la propria materia operativa, quindi del modellarla, flettarla, inciderla, secondo le particolari intenzioni del momento, le curiosità della ricerca, le accensioni fantastiche. Nel lavoro di Bruno si può cogliere una costante vena elegiaca in questa sorta di sacralizzazione di una materia povera e quotidiana (dal giornale al sacchetto del supermercato), e non v'è dubbio che vi sia presente. Tuttavia credo che s'intrecci paradossalmente con un esercizio sottile di ironia, che vedo anzitutto avvertibile nella scelta stessa della materia plastica. Povera appunto per propria origine, e sia rispetto alle auliche materie della scultura, sia anche rispetto a quelle sensuosamente godibili della pittura. Ironia nella scelta del mezzo, ma anche poi subito nella sua capacità di analogismo mimico, giacché è materia di volta in volta disponibile a mimare il muro, o gli oggetti, una costruzione formale o una figura. Ed è infatti ironia che si espande nella suggestione formale della costruzione proposta: come quando è disponibile a mimare un rilievo figurato, o invece una costruzione formale d'ascendenza geometrica.

Quella materia stessa ammicca al gioco della possibilità mimetica e demitizzante, giacché riporta al livello corsivo, quasi domestico, della manipolazione. La quale si dichiara sempre nella costruzione plastica di Bruno attraverso la scoperta evidenza del processo assemblativo stratificatorio che la ha costruita. Intendo in quella parcellizzazione che è spesso cromatica, ma che è evidente anche in soluzioni monocromatiche, o quasi. Come se insomma tutto il mondo fosse frammento, e frammentato, e possibile sia ricostruirne qualche brano soltanto riconnettendone i cocci, proprio come fa il restauratore (ma che qui lascia ben denunciabile il proprio fare) di un piatto o di un vaso, variegati o figurati.

Se vogliamo ciò implica la presenza di una componente di memoria, alla quale tuttavia Bruno non sembra affidarsi se non per farsene in qualche modo gioco, per imprimerla sì nella materia, ma espellerla dal senso finale del costruito, ironizzandovela nell' evidenza del gioco mimetico, che rifiuta sostanzialmente la credulità memoriale. Memoria in ironia, dunque, se vogliamo, perché costretta entro il gioco di una sorta di "patch work" cartaceo stratificato.

Se mai è sul tempo implicito in queste proposizioni che si può riflettere, e che mi sembra connesso ad un osservatorio geograficamente caratterizzato come quello nel quale Bruno opera. Spesso avverto in artisti siciliani attuali una capacità di distacco riflessivo temporale altrove non altrettanto riscontrabile, come se l'autonomia insulare agevolasse la liberazione dalle coordinate spazio-temporali di un presente obbligante e spingesse ad un colloquio cosmico, oppure - e può essere il caso di Bruno - ad una sorta di antica ironica saggezza che destituisca il tempo orizzontale quotidiano dalla sua infernale capacità di assillo, spiazzandolo in una temporalità remota, immemoriale, capace di riacquisire sensi antichi (qui in terra di rovine di Magna Grecia), spingendo verso archetipi antropologici. Che possono essere immagini oppure modalità operative, come mi sembra sia il caso della manualità di Bruno, antropologicamente smemorata, remotissima o presente, infantile o adulta. La manualità che trasforma immaginativamente e poeticamente, ma che garantisce l'affabilità della concretezza domestica, quotidiana, negando l'aulicità impropria e coattiva.

Ed è così che Bruno può dialogare con qualsiasi livello di riferimento, antico (come nei ritratti egizi, o nelle scene botticelliane, o negli ammiccamenti vangoghiani), o presente (come nei ritratti "ad personam", o nelle nature morte), senza batter ciglio, senza modificare atteggiamento, altrettanto che immaginando un muro, o una costruzione plastica contemporanea, ricostruita con la libertà trasgressiva del "far da sé", e tutta la soddisfazione che comporta.

Malinconicamente "homo ludens" dunque in certa misura Bruno, capace di prendersi distanze sufficienti a dispiegare uno sguardo sottilmente ironico, e tuttavia sufficientemente saggio da non lasciarsi prendere nelle trappole di un' ironia professionale. Ed è proprio la spontanea concretezza della manipolazione che lo sottrae a un simile rischio, e che lo rende, libero, e forse felice.

 

Enrico Crispolti

Biografia