Museo dei Bozzetti "Pierluigi Gherardi" - Città di Pietrasanta

 
 
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ZAPPETTINI

mostra di pittura a cura di Alberto Mugnaini


inaugurazione: 3 luglio 2010 - h 19.30

esposizione: dal 3 luglio al 4 agosto 2010

luogo: La Fabbrica dei Pinoli - Parco La Versiliana - Marina di Pietrasanta

orario: tutti i giorni 18.00-24.00

ingresso libero 


Comunicato stampa

Presentazione

Quest'anno le energie a La Versiliana si rafforzano e si rinnovano: il Comune di Pietrasanta, la Fondazione La Versiliana e la novella Fondazione Centro Arti Visive Pietrasanta collaborano per presentare nuovi progetti espositivi, interessanti proposte culturali e possibili nuovi scambi internazionali. Il pubblico eterogeneo, ma anche ansioso di conoscere la realtà dell'arte contemporanea, tra luglio e agosto potrà godere della presentazione di ben otto mostre di pittura, scultura e design nella Villa de La Versiliana e nella Fabbrica dei Pinoli, e dell'installazione di due sculture monumentali nel Parco.

Grazie al coordinamento artistico e curatoriale della Fondazione Centro Arti Visive Pietrasanta e all'apporto logistico e organizzativo della Fondazione La Versiliana e del Comune di Pietrasanta, sempre di più l'arte, nelle sue molteplici sfaccettature, diventa protagonista di questa terra di Versilia, proseguendo una consolidata tradizione iniziata già da dannunziana memoria. La simbiosi felice tra Arte e Natura del resto ben si presta in queste zone dedite da sempre alla lavorazione del marmo e del bronzo.

Con questo augurio di sicuro successo per una stagione fervida di brillanti iniziative, si coglie l'occasione per ringraziare tutti quelli che hanno partecipato alla loro organizzazione e promozione, ed in particolare gli artisti che hanno messo a disposizione le loro opere.

Domenico Lombardi

Sindaco Comune di Pietrasanta

 

 

La stagione culturale 2010 de La Versiliana vede un'inedita sinergia tra Fondazione La Versiliana, Comune di Pietrasanta e la neonata Fondazione Centro Arti Visive Pietrasanta per promuovere un'offerta artistico-culturale di alto profilo.

In un'ottica di collaborazione e rispetto delle prerogative delle istituzioni coinvolte nel progetto - una progettazione e gestione delle politiche culturali del territorio da parte dell'Amministrazione Comunale e una programmazione dedita allo spettacolo e intrattenimento culturale basata su una lunga e prestigiosa esperienza da parte della Fondazione La Versiliana - il Centro Arti Visive Pietrasanta fornisce un contributo di coordinamento e progettazione artistica sul versante delle Arti Visive e Plastiche.

Tale contributo, con una forte vocazione didattica testimoniata dalla Scuola di Alta Formazione in Arti Visive e Restauro dell'Arte Contemporanea, fa capo alla Fondazione stessa, che in questa circostanza ha come scopo principale quello di realizzare un progetto espositivo complessivo. In tal senso si riuniscono episodi di elevata qualità da un punto di vista del linguaggio artistico e di cura critica, legati da una comune attenzione alle varie declinazioni delle forme espressive contemporanee. Viene valorizzata inoltre la capacità produttiva del territorio, che ha fatto della creazione artistica e della trasmissione del sapere il proprio fulcro motore, formando una parte importante della propria identità.

Carlo Carli

Presidente Fondazione Centro Arti Visive Pietrasanta

 

 L'arte da sempre costituisce un valore prezioso per il Festival La Versiliana. Arricchisce il palinsesto generale delle nostre attività; colora con forme ed espressioni gli ambienti storici del Parco, dalla Villa, fresca di restauro, alla Fabbrica dei Pinoli, tornata ad essere snodo culturale di richiamo per migliaia di visitatori. L'arte ha il pregio di trasformare suggestioni, visioni e pensieri, in qualcosa di reale e concreto; in qualcosa che si può toccare. E' la più nobile e raffinata delle espressioni del pensiero dell'uomo.
La Versiliana è sempre riuscita, in questi anni, a rendere reali queste suggestioni, visioni e pensieri elevandosi a polo espositivo d'eccellenza nel panorama internazionale.

La trentunesima edizione segna l'avvio della sinergia tra la Fondazione La Versiliana, l'Amministrazione Comunale e il Centro Arti Visive. Il programma di mostre della trentunesima edizione è il primo frutto di questa collaborazione strategica che ci vede impegnati, tutti insieme, in quel processo che dovrà essere capace di unire culturalmente la Versilia.

La possibilità di poter far ruotare e cambiare le mostre, ospitando più appuntamenti espositivi nell'arco dei due mesi, è un punto di forza anche per il palinsesto del Festival. E' un'opportunità per i nostri visitatori che potranno godere di appuntamenti espositivi di assoluta qualità e scoprire, grazie agli artisti che saranno protagonisti questa estate, i luoghi magici del nostro Festival.

Il Presidente Fondazione La Versiliana

Massimiliano Simoni

 

 

 

Critica

IL FILO DELLA PITTURA
La trama e l'ordito di Gianfranco Zappettini

Alberto Mugnaini

In un'intervista rilasciata a Federico Sardella in occasione di una sua personale fiorentina del 2009, Gianfranco Zappettini affronta a viso aperto una serie di problematiche che, nell'arco del suo lavoro, potrebbero apparire legate a contraddizioni irrisolte. Che cosa lega le implicazioni spirituali del ciclo La trama e l'ordito, iniziato nel 2003, all'impianto razionale e concettuale comune alle opere di tre decenni fa? Analiticità e spiritualità: come si conciliano e si integrano, come si passa dall'una all'altra? Per quali vie Zappettini arriva a dire "Se fossi ancora un pittore analitico sarebbe una tragedia, mi limiterei a ribadire concetti esauritisi negli anni settanta"?
Come è avvenuto questo ripensamento? E davvero, proprio di ripensamento si tratta? O non dobbiamo piuttosto sforzarci di cercare di individuare le ragioni più profonde e segrete di uno sviluppo che, dopo un cammino di parecchi anni, si manifesta ora in tutta lo sua coerenza e consequenzialità?
Quello che nel percorso artistico di Gianfranco Zappettini poteva essere apparso come un andare a capo, come un mutamento di prospettiva, a chi accetti di sporgersi più addentro nelle problematiche della sua ricerca, si configura come uno snodo dinamico conseguente e originale, uno svolgimento evolutivo meditato e sofferto della sua incessante meditazione intorno al linguaggio della pittura. Una lenta rielaborazione, che ha richiesto un intervallo di stasi e un periodo di esplorazione e di attivazione. Il tutto nasce dall'impasse che deriva dalla stessa radicalità dei risultati conseguiti in passato dall'artista, dai presupposti e paradigmi di quella Pittura Analitica di cui Zappettini è stato in Italia il più determinato praticante e sostenitore.
Arrivata al suo apogeo nel mezzo degli anni settanta, questa disciplina si imbarcò nell'impresa di far coesistere teoria concettuale e pratica del dipingere, portando quest'ultima a distillare lo quintessenza della propria possibilità di esistere, riducendola ai minimi termini, isolando lo condizione necessaria e sufficiente del suo essere pittura.
In effetti, nella sua teorizzazione più stringente, un tale intendimento parrebbe sortire conseguenze tali da far sì che lo pittura si trovasse barricata in se stessa, senza lasciare più varchi o soglie transitabili: ponendosi al limite estremo dell'astrazione, fondata però su una monadica concretezza, essa finisce per essere un punto d'arrivo difficilmente raggiungibile per assecondare altre ripartenze.
Se si accettano infatti le conclusioni della Pittura Analitica nella sua versione più circoscritta, come fu codificata da Klaus Honnef nel 1974, veramente si tocca un punto d'arrivo storicamente irripetibile, di fronte alla cui algebrica consequenzialità ogni ulteriore sviluppo sarebbe stato una regressione, qualunque apertura un corrompimento. La macchina della pittura era stata decifrata, commentata, indagata in tutti i suoi risvolti. Si può anzi dire che lo pittura arrivò a pensare se stessa, e in questo processo sembrò anche esaurire le possibilità della sua messa in opera, bruciarsi i ponti alle spalle. Ma veramente, tutto era bruciato? E i ponti, pur non percepibili allora, non si sarebbero aperti, sul davanti, in un futuro ancora impregiudicato? Era, del resto, lo stesso problema che aveva investito le sorti del romanzo, che lo sperimentalismo di quegli anni ridusse al suo grado zero, a mero ingranaggio significante. Eppure, grado zero, come nota Marco Meneguzzo in un suo intervento sull'opera di Zappettini, non è sinonimo di azzera mento, non sancisce lo preclusione di evoluzioni future.
E ancora, per quanto concerne i risultati della Pittura Analitica più rigorosa, forse è pure il caso di rivedere e correggere l'ormai vulgata definizione del quadro come oggetto muto, e, come suggerisce Laura Cherubini, parlare piuttosto, con maggiore pertinenza, di oggetto "silente". Sembra un piccolo scarto lessicale, ma implica una intuizione di estrema acutezza, che riposiziona il ruolo dell'arte analitica e lo rimette in gioco nel flusso del divenire della storia artistica contemporanea, dando agio, in una sorta di letargo delle possibilità, di far maturare i germi di ulteriori sviluppi. Il quadro, potenzialmente, può ritrovare una sua intima voce. Per udire questa voce ultrasonica, Zappettini ha dovuto inoltrarsi in un viaggio che si è protratto per diversi lustri.
Nei primi anni ottanta egli ha cercato di compiere, per uscire dall'impasse in cui si sentiva bloccato, una sorta di contrappasso (quasi, si potrebbe dire, una contro-impasse), avventurandosi in una repentina inversione a U, una sorta di auto-provocazione che doveva costituire una verifica per antifrasi delle premesse teoriche del suo lavoro. Ci troviamo così alla paradossale parentesi di una polemica iper-figurazione, con l'esumazione ex abrupto di tutto ciò che si situava agli antipodi della pittura autopensante, della peinture che si ritaglia le sue leggi, per approdare a un esibito ossequio a tutte le convenzioni del tableau, a tutte le ingenuità del contenuto narrativo, a tutti i luoghi comuni della più smaccato referenzialità pittorica. Era come buttarsi a capofitto, senza mediazioni di sorta, dalle stelle fisse della ragione analitica verso le facili pianure delle favole terra-terra, dal conquistato empireo della pittura autoreferenziale alle regioni solforose e ingrommate dei significati, una vera e propria descensus ad inferos. Una caduta pilotata, l'affondamento in una specie di non-luogo dell'intelletto. A quel punto, non rimaneva che un nuovo pellegrinaggio conoscitivo, un rimettersi in cammino per ricongiungersi al nucleo più vitale della propria ricerca attraverso un periplo intellettuale che si dilungherò nello spazio e nel tempo.
Sarà l'accesso al pensiero e alla meditazione sufì, propiziato da un viaggio in Tunisia, la chiave che consentirò di penetrare e intendere quel silenzio della pittura che aveva permeato di sé tutta una gloriosa stagione e pareva destinato a chiudersi sui suoi inappellabili fasti, sulle gloriose ipostasi della sua intransitività. L'accostamento alla mistica islamica sarà così un modo di rendere transitabile l'intransitivo, un modo per far confluire la riflessione pittorica in un alveo più ampio, ricollegandola consapevolmente e non più surrettiziamente a una meditazione di stampo metafisico.
La teoria che faceva capo alla Pittura Analitica parlava di superficie astraendola dal suo principio costitutivo, parlava di tela, ma di una tela che paradossalmente, partendo dalla constatazione della sua materialità, veniva ipostatizzata e considerata come un piano neutro e liscio, diventava il paradigma della bidimensionalità, un campo sterile in cui inoculare, a guisa di batteri, le colture dei pigmenti e delle vernici.
Al pensiero risvegliato, al reduce dai pellegrinaggi, a colui che, rimettendosi in discussione ha preso partito di iniziarsi, di rimettersi in cammino verso un nuovo inizio, la superficie si presenta ora come trama e ordito: ciò che allo sguardo dello scrutatore analitico appariva come impercettibile e trascurabile, diventa, sotto uno sguardo iniziato, di fondamentale importanza. La bidimensionalità era una sorta di partito preso dell'intelletto, a un occhio sensibilizzato la superficie si manifesta come un campo di forza, un territorio di intrecci e di scambi, un piano che in realtà è un relazionarsi di fili.
Ed è a questo punto che si attua lo scatto decisivo che ricollega le istanze del quadro analitico a un nuovo Quadro, a una mappatura di forze, a una intersezione di punti cardinali, a una simbologia incarnata in un intrecciarsi e in uno scorrere incrociato di echi cosmici. Entra qui in scena una visione che si potrebbe definire, prendendola in prestito da Henry Corbin, uno dei pensatori più attenti e recettivi alle suggestioni del sufismo, come immaginale. Vi sono immagini del mondo dotate di un singolare potere: serbando una loro autonomia dal soggetto pensante esse sono in grado di generare una rete di pensieri che hanno la capacità di svolgersi all'infinito. L'immaginazione scopre in queste figure, che non provengono da contenuti percettivi empirici, delle realtà sovrasensibili. Corbin, che intitola il suo studio intorno alle radici del sufismo L'immaginazione creatrice, dice appunto che essa ha "una realtà autonoma e sussistente sui generis sul piano dell'essere che è quello del mondo intermedio, il mondo delle Idee-Immagini, mundus imaginalis".
La pittura, nelle linee definitorie in cui l'aveva incasellata lo riflessione analitica, non può che retropensarsi a partire da una dimensione che ha a che fare con l'immaginale: se lo pittura pensava lo superficie ora è come se avvenisse l'inverso ed essa fosse contro-pensata dalla superficie, intesa, però, nella sua valenza immagina le. Dopo essersi asserragliata entro le proprie regioni più interne, dopo essersi azzardata a concepirsi quintessenziata nel suo farsi più elementare e primario, dopo essersi autopensata come basilare interazione tra un colore e un supporto, lo pittura riparte da una più intima e serrata riflessione sulle caratteristiche di questo supporto inteso nella sua valenza archetipica e simbolica.
Una tessitura è un incrociarsi di fili, o anche, si potrebbe dire, una messa in fila di croci. Dice René Guénon, il pensatore che più ha influito sullo sviluppo del modus operandi del nostro artista: "Se osserviamo un filo dell'ordito e uno della trama vediamo subito che lo loro intersezione determina lo croce, di cui essi costituiscono rispettivamente lo linea verticale e quella orizzontale". In questo moltiplicarsi indefinito di croci si sostanzia l'idea di una realtà cosmica che risplende oltre il velame della simbologia, dando luogo a una visione che scorge punteggiato di infiniti gangli energetici il divenire dell'universo, come se esso fosse senza posa tessuto da mani divine. "Il gesto che segna lo tela è lo stesso dell'antico tessitore che riproduceva nel suo fare l'eterno andirivieni della spola sul telaio cosmico", osserva Zappettini. La pittura dunque si confronta con una superficie che simbolicamente rimanda a un intreccio di forze cosmiche. Modulandosi sulla interazione della trama e dell'ordito il quadro si pone ora per l'artista come campo di forza: "L'ordito con lo sua fissa verticalità rimanda all'elemento immutabile che unisce fra loro tutti gli stati dell'essere e i gradi dell'Esistenza, mentre lo trama, formata dal filo orizzontale che si intreccia con l'ordito, simboleggia l'elemento variabile, contingente, accidentale".
Così come lo pittura del periodo propriamente analitico era qualcosa che trascendeva lo somma dei dati materiali di parrtenza in una realtà superiore, una sorta di metafisica rimossa, ora lo pittura, conformandosi alla struttura fenomenica della tela, al sommarsi e accavallarsi della trama e dell'ordito, ne sviluppa lo contropartita simbolica rimandando ad un'unità più alta, che non nasconde, ma dichiara apertamente lo sua collocazione metafisica.
La materia pittorica è pettinata in modo tale da far concrescere un reticolo accessorio, una ridondanza calcolata, un innerva mento di filamenti vettoriali, produttori di uno scorrimento di forze. Zappettini, ricollegandosi idealmente ai tempi in cui usava rulli da imbianchino per sortire risultati di impersonalità e obiettività, continua a servirsi di strumenti di pratica artigianale e operaia, vari tipi di spazzole con cui striglia il colore e l'orienta in un doppio movimento che mima l'andirivieni del telaio, secernendo dalla viscosità del colore, come un ragno che ordisce lo propria tela, le proprie secrezioni filamentose.
Ovviamente lo pittura, per quanto insista nel suo doppio movimento, non riuscirà mai ad agguagliare il procedimento della tessitura nell'incrociare e sovrapporre i fili nell'opera dell' intreccio. L'assoluto cosmico, il quid metafisico non potrà essere alluso che nelle intenzioni, lo pittura come sovrapposizione alternata di trama e ordito è un'ipotesi destinata allo scacco. Ma non è questo anche lo scacco del linguaggio e del pensiero? La pittura, come il linguaggio, come il pensiero, si autocondanna a mimare il movimento del tessere: è trama e ordito, incessantemente, senza mai riuscire a diventare tessuto, è un tendere verso, un'aspirazione in atto, uno slancio verso l'assoluto.
Anche il filosofo, ha detto qualcuno, muove le mani nel vuoto gesto del tessere senza ricavarne alcun tessuto, senza che sia teso il filo nell'ordito, senza che il filo della trama vibri sulla spola. Perché, come osserva Francesca Rigotti nel suo fondamentale saggio su Il filo del pensiero, "Forse una volta il filosofo si era illuso di poter tessere, seduto al telaio, il tessuto di proposizioni raffiguranti le connessioni del mondo, secondo il miraggio del giovane Wittgenstein, al quale l'universo del linguaggio appariva formato come 'le maglie di una catena' le cui proposizioni si contessevaano tutte come 'in un reticolato infinitamente fine'. Ma l'illusione del giovane filosofo è caduta e al Wittgenstein maturo non resta che sedere davanti a un telaio vuoto, perché il tessuto delle proposizioni non c'è; esiste solo una miriade di fili che vanno per conto loro, che seguono sì le loro regole del gioco ma non sono ricostruibili e collegabili in un tessuto universale di significato". Ma ritornando dalla filosofia alla pittura, e ai dipinti che ci interessano, c'è da prendere atto, in questi, di una sovradeterminazione della superficie "tramata" e "ordita", mediante l'applicazione sulla tela del wallnet - una rete adesiva usata in edilizia per favorire lo tenuta dell'intonaco - a rimarcare il gioco della tessitura. Per cui abbiamo una sorta di raddoppiamento della tessitura della superficie, su cui lo pittura, nel suo andirivieni orizzontale e verticale, con una mimica della realtà fisica sottostante che evoca ed allude una realtà metafisica sovrastante, tesse a sua volta i ritmi delle sue avventure.
E in questa dinamica di flussi ed energie, segnata dai vuoti risultanti dagli alveoli all'interno della griglia, ecco che rivediamo lo filigrana dell'antico ordine, di una pittura che si offre raccolta e regolamentata. Come osserva Alberto Rigoni, "l'indagine di Zappettini è sempre fissa sui fattori interni della Pittura, sulle strutture intime che lo regolano, sui lemmi che ne costituiscono i1lesssico. È una ricerca sui monemi, sugli atomi di questa disciplina". Ma niente è bloccato: in questo ordinato campo di forze, di fili di correnti tra loro perpendicolari, ecco apparire degli elementi di diversione, dei fili controcorrente, deviazioni che eludono l'ortogonalità, incordature sghembe, direttrici deviate, che convergono in angoli, che si diramano da provvisori punti di confluenza, che segnano un diversivo, un "fuori rotta", un sovradiscorso, un'intramatura di sguincio, una sorta di mossa del cavallo nell'incrocio dei flussi energetici del piano. "Queste sono ulteriori zone di tensioni che nascono grazie al colore. Si producono misteriosamente, come se le dita di una mano angelica avessero la possibilità di tirare uno dei fili sulla superficie producendo una sorta di suono che poi prende forma", dice l'artista: tensioni, increspature, che possono rappresentare sia un intoppo che un' ulteriore tappa da cui ripartire.
I colori sono limitati ai tre primari, oltre al bianco e al nero. Ricorriamo che i maestri sufi parlavano di colori aurici, con i quali i colori fisici hanno precise corrispondenze, e di cui conservano la qualità morale e spirituale. Le dimensioni contenute, e il formato quadrato, rispondono all'esigenza che con un solo sguardo si possa captare l'intero. In un settore marginale, notiamo che l'operazione pittorica si ferma a uno stato anteriore, lasciando scoperto il suo sottofondo oscuro, il suo originario 'non finito': si tratta, per Zappettini, di "una zona del dipinto dove l'inizio del tutto traspare, rappresenta una sorta di caos primordiale".
Ecco così che il quadro, nel suo cammino ininterrotto, è arrivato finalmente a conquistarsi un suo significato, quel significato un tempo silente, affidato agli ultrasuoni del cosmo, perduto nella monadologia della ragione analitica. Certo, esso non rinnega la sua referenzialità verso se stesso, ma il suo sé è ora presagito come specchio, come simbolo, come microcosmo immaginale di un inesplorabile altrove.

Milano, giugno 2010

Biografia